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L'Io nella visione moderna Il pensiero autofondantesi: Cartesio e il solipsismo dell’Io

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 64-66)

PARTE SECONDA In cerca del Tu

5.1 L'Io nella visione moderna Il pensiero autofondantesi: Cartesio e il solipsismo dell’Io

Il percorso teoretico della modernità ha il suo snodo essenziale in Cartesio che formula

l'idea del soggetto pensante come fondamento intrascendibile di certezza401.

Conseguentemente, il filosofo francese basa la verità del mondo sulla certezza di sé, formalizzabile nella proposizione Io sono Io. Vale ad esemplificare questo punto quanto afferma Hegel nelle Lezioni di storia della filosofia: “Solamente con Cartesio (…)

399 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 12. 400 E. Ducci, La parola nell'uomo, cit., pag. 168-173.

401 Per F. Ebner, la parabola teoretica della modernità parte da Cartesio per chiudersi con l’idealismo ed, in

particolare, con Fichte. Vedi Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 247. Per Rosenzweig l'arco è ampio quanto tutto il pensiero occidentale e si estende dalla Jonia fino a Jena.

perveniamo propriamente ad una filosofia autonoma (…), consapevole che l’autonomia è momento essenziale del vero”402.

L'acquisizione dell'autonomia da parte del pensiero avviene attraverso un procedimento che azzera ogni relazione del soggetto col mondo. Cartesio si applica, infatti, a rifondare dalle fondamenta il sapere, avendo escluso ogni relazione col mondo esterno. La solitudine rispetto alle cure del mondo gli appare, quindi, come pregiudiziale per la distruzione di tutte le antiche opinioni: “Ora dunque, che il mio spirito è libero da ogni cura, e che mi son

procurato un riposo sicuro in una pacifica solitudine, mi applicherò seriamente e con libertà a una distruzione generale di tutte le mie antiche opinioni” 403.

Il dubbio, che è parte integrante della via che porta alla certezza ( metodico), risponde, in tale contesto, ad un atteggiamento di chiusura rispetto al mondo, nell’ambito di un discorso che si presenta come del tutto autoreferenziale. Rappresenta una forma di derealizzazione della realtà in nome di un estremo solipsismo, che porta il soggetto a mettere in discussione

tutto ciò che lo circonda404. Ne viene che il dubbio invade ogni campo, destruttura ogni

convinzione, ma, arrivato alla coscienza pensante, inverte la direzione destrutturante. Il dubitare di sé è, infatti, un pensare che sottintende un sé, laddove pensato e pensante, punto di arrivo e di partenza, coincidono: “Ma, subito dopo, - scrive Cartesio nel Discorso sul

metodo - m’accorsi che, mentre volevo in tal modo pensare falsa ogni cosa, bisognava necessariamente che io, che la pensavo, fossi pur qualcosa”405.

Alla fine, il pensiero si autocertifica, perché per certificarsi non ha bisogno di

appoggiarsi ad altro che alla sola percezione immediata di sé406. Procede, quindi, nelle sue

costruzioni come crescendo su se stesso, appoggiandosi per ogni passo successivo sull'esclusiva certezza di sé.

Che cosa pensa il pensiero? Cartesio afferma che il pensiero pensa se stesso. Questa certezza gli appare immediata e avvalorata dallo stesso dubbio che dovrebbe inficiarla. Il soggetto, identificato con la sua mente, ha di essa una visione privilegiata, in quanto i propri stati mentali gli sono noti senza possibilità di dubbio. Se egli pensa di averli, allora li ha e, se li ha, ne è cosciente. Né può commettere errori su di essi, almeno nel momento in cui li ha. Annota

402 G. W. F. Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia, trad. it. E. Codignola e G. Sanna, La Nuova Italia, Firenze

1944, vol. III, 2, pag. 66.

403 R. Descartes, Meditazioni metafisiche, a cura di E. Garin, Laterza, Bari, 1967, vol. I, pp.199. Cartesio instaura una sorta di monologo interiore: non cerca interlocutori né si riferisce ad una grammatica comune, ossia ad un comune orizzonte di senso, per ritirarsi “in un regno isolato dalla realtà fisica” (R. Scruton, La filosofia moderna. Un compendio per temi, La nuova Italia, Firenze 1998, pag. 57). Il procedimento, come rileva Wittgenstein, appare zoppicante, in quanto, se è vero che posso essere assolutamente certo dei miei stati mentali, è vero altresì che a questa certezza arrivo tramite regole di un linguaggio pubblico, pregiudizialmente ammesse. Restando confinato in un discorso tutto intimo, non avrei nessuna garanzia che anche la credenza di aver scoperto dei fondamenti non sia vittima di una colossale autosuggestione. Pertanto, il linguaggio privato, privo di riscontri, risulta impossibile. (vedi L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, trad. it. R. Piovesan e M. Trinchero, Einaudi, Torino 1983, pag., 202). Per il giudizio di Ebner su Cartesio vedi: F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 277.

404 “…esso si vede spinto sulla via della propria «derealizzazione» da quella tendenza alla sostanzializzazione che scaturisce dal «solipsismo dell'Io», divenendo così insicuro di tutta la realtà in genere, della realtà di ciò che esperisce”. Ivi, pag. 316-17.

405 R. Descartes, Discorso sul metodo, Laterza 1997, Roma-Bari, pag. 81. Per Rosenzweig, nonostante la sua pretesa radicalità, il dubbio cartesiano non mette in discussione l'idea di un Tutto unico e universale. Vedi La stella della redenzione, cit., pag. 42. Un riscontro critico è rinvenibile in E. Baccarini: “ Il cammino che inizia con Descartes, anche se in lui continua ad agire un motivo di fondazione metafisica, l'idea di Dio come idea dell'infinito, che mantiene l'equilibrio dei gradi dell'essere, condurrà lentamente all'affermazione, autoaffermazione, del soggetto assoluto”. La soggettività dialogica, cit., pag. 25.

406 Vedi R. Descartes, Meditazioni metafisiche, cit., pag.199-202. Chiarezza e distinzione, segni distintivi della certezza, sono presenti nell’intuizione stessa del sé, nella percezione della coscienza da parte della coscienza stessa.

Rosenzweig: “Il sapere che il sé ha di se stesso, l'autocoscienza, ha fama di essere il sapere

meglio garantito”407.

La dimostrazione disegna, quindi, un movimento che ritorna su se stesso, cui corrisponde l’identità di un pensiero che nel pensare non esce da sé, non riferendosi ad alcunché di esterno, ma riflettendo unicamente se stesso. “Si potrebbe dire – osserva F. Ebner - che l'Io é

per il fatto di pensarsi. Ovvero ancora cogito, ergo sum. Così esso diviene identità di pensare ed essere: é, perché si pensa e si pensa perché é; e anche all'identità tra soggetto e oggetto: é il soggetto che, nell'atto di pensarsi, é al tempo stesso il proprio oggetto ”. La

proposizione “Io sono”, nella forma concettuale in cui viene espressa, viene a coincidere, quindi, con la formulazione del “principio d'identità nella sua sottrazione e mancanza di

oggetto”; nulla che abbia a che fare con l’esistenza reale, con l’incontro fra persone, con

l’esperienza del mondo. “Si pensa – puntualizza Ebner - il pensiero senza un oggetto cui si

riferirebbe, ovvero, l'Io si pensa in maniera assoluta senza in ciò capire se stesso. Può infatti capirsi solo nella relazione con il Tu”408. Si pensa all’interno di un discorso del tutto

privato ed intimo, che si sottrae al confronto e fa astrazione dalla parola viva.

La critica investe qui quella che J. Habermas definisce struttura teoretica prevalente della

modernità, le cui implicazione etiche ed antropologiche risultano decisive. “Si tratta – scrive il

filosofo - della struttura della relazione del soggetto conoscente con se stesso, che si

ripiega su di sé come oggetto, per cogliersi come in un’immagine speculare…”409. Essa si

giustifica sulla base del fatto che l'affermazione Io sono conterrebbe garanzie evidenti di autovalidazione.

Ebner, contrapponendosi alla tradizione iniziata da Cartesio, afferma all'opposto che la proposizione Io sono non è né può essere intesa nel senso di un'autoaffermazione.

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 64-66)

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