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Rosenzweig: dal premondo alla storia, religione e relazione

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 103-107)

PARTE SECONDA In cerca del Tu

8.3 Rosenzweig: dal premondo alla storia, religione e relazione

Il passaggio dalla filosofia alla teologia, dalla ragione alla fede, coincide in Rosenzweig con il passaggio dalla prima alla seconda parte della Stella.

Il paganesimo incarna, per Rosenzweig, “la possibilità sempre aperta dell’immanenza”641,

“la percezione vivissima, fortemente connotata in senso estetico, delle profonditá insondabili

degli orizzonti del divino, del mondano e dell'umano, ed il conseguente rapimento estatico di fronte ad esse, fino all'incapacitá piú assoluta di pensare una qualsiasi forma possibile di relazione fra ciascuna di esse”. In quanto tale, sarebbe in grado di cogliere, a dispetto di ogni

tentativo successivo di reductio ad unum, l'elemento della differenza, che rende l'essere

“irriducibilmente ed insuperabilmente multidimensionale”642. Ma, per questo stesso motivo, le

sue figure, ossia il dio mitico, il cosmo plastico e l'eroe tragico, si delineano come isolate le une dalle altre, senza vita e senza storia. La differenza le irrigidisce nell'irrelazione, segnando, per così dire, "il limite oltre il quale il pensiero tradizionale non puó piú avanzare pretese, ma

anche fino al quale é in grado di spingersi”643.

La ragione può, in sostanza, attingere le essenze, ma non è in grado di dire nulla circa l’effettiva esistenza di Dio né di cogliere la complessità del reale né, tantomeno, di dedurre la libertà dell’uomo. Quali essenze, Dio, mondo e uomo, sono tre assoluti incomparabili e non articolabili, tre universi irriducibili che, nella loro insuperabile dissociazione, mancano del primo ingrediente dell'esistenza, e cioè della relazione. Ne è segno tangibile il fatto che il

637 F. P. Ciglia, Fra Atene e Gerusalemme etc., cit., pag. 177. 638 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 87.

639 Ivi, pag. 108. La filosofia diventa, pertanto, propedeutica alla teologia: “Quindi la filosofia viene oggi invocata dalla teologia al fine di gettare, teologicamente parlando, un ponte dalla creazione alla rivelazione, un ponte sopra il quale poi possa avvenire anche il collegamento tra rivelazione e redenzione, che é importante e centrale per la teologia odierna. Visto nella prospettiva della teologia, ciò che la filosofia può fare per lei non é già la costruzione a posteriori del contenuto teologico, bensì la sua anticipazione o anzi, più correttamente, la sua fondazione, l'indicazione delle condizioni preliminari sulle quali la teologia riposa. (…) La filosofia, così come é esercitata dal teologo, diventa profezia sulla rivelazione, diventa, per così dire, l'«antico testamento» della teologia”. Ivi, pag. 109-10.

640 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 113. Per il rilievo che la Parola divina ha nel pensiero

grammaticale di Rosenzweig L. Pareyson lo ha interpretato come come ermeneutica dell’esperienza religiosa. Vedi Filosofia ed esperienza religiosa, in «Annuario filosofico», I (1986), pagg. 48-50.

641 G. Piccoli, La Stella che redime l'angoscia della morte, in La Stampa del 24-6-2006. 642 F. P. Ciglia, Fra Atene e Gerusalemme etc., cit., pag. 68-69.

mondo non ha bisogno per essere né di Dio né dell'uomo e che l'uomo, a sua volta, non ha bisogno né di Dio né del mondo per darsi un'identità. Ne è segno ancora più tangibile il silenzio che li caratterizza.

Il problema che appare insormontabile è allora quello “dei loro reciproci rapporti”. “Tre

interi sarebbero possibili, ma tre Tutto sono impensabili” - osserva Rosenzweig644. Occorrerà,

quindi, “strapparli alla loro condizione di reciproca esclusione e inserirli in una connessione

chiara e fluida”645. Ma, nel momento in cui deve cogliere le mutue relazioni fra gli elementi, il

pensiero difetta, mostrando tutti i suoi limiti. La vita lo sopravanza. In essa quelle connessioni, che mancano al pensiero, sono immediatamente presenti, operanti.

Questo passaggio è fondamentale. Dietro di esso, infatti, si cela l'ispirazione profonda, che si traduce poi nel motivo conduttore di tutta la Stella. Lo si evince da quanto lo stesso Rosenzweig ebbe a confidare a M. Buber: “Ho saputo tutto in quel momento. Era il momento

in cui mi é stato confidato il germe del mio libro (non ancora sotto forma di libro). Ho saputo il legame tra la creazione e la rivelazione, e da lí, sei settimane dopo, quando ho cercato di tradurre tutto ció dal pensiero privo di parola alla lingua parlata, tutto é venuto come da sé”646. Il momento a cui l'autore fa riferimento è quello in cui, al fronte, durante

una marcia notturna di ritirata, andò a sbattere contro un tronco d'albero. Il tronco d'albero, nella sua corposa fisicità, gli restituisce il senso della vita reale, interrompendo il circolo chiuso del pensato. Il suo sbattervi contro significa la relazione inevitabile, necessaria, dell'uomo con il mondo e con le cose che lo compongono. Nello stesso tempo, manifesta la creaturalità degli esseri, riportandolo alla tradizione religiosa ebraica in cui era cresciuto.

Rosenzweig ha qui ritrovato la Stella, e cioè la direzione, il senso. Tale senso è quello stesso che agisce in profondità nella rivelazione biblica. La rivelazione non è tanto un sapere, diverso fin che si vuole da quello classico, quanto evento storico. Che essa sia evento indica che si pone su un livello altro rispetto al pensabile, al differenziato e all'irrelato. Che essa sia evento vuol dire che ha il movimento della vita che sopravanza il concetto. Pertanto, la rivelazione respinge il paganesimo nella sfera dell’irrivelato, ne fa il proprio passato perenne, un passato che non

passa e non ritorna, perché manca di destinazione647.

Il pensiero può arrivare pure a determinare gli elementi dell'essere e a raffigurarli, ma non può alitare in essi lo spirito della vita, cogliere cioè, al di là dell'essenza, l'esistenza reale. Il pensiero si arresta al premondo, all'antefatto del mondo, al limite della Terra Promessa. Solo la teologia entra nel mondo reale e si connette alla vita e alla storia. La teologia non parla, quindi, di Dio, del mondo e dell'uomo, come se se ne stesse ciascuno chiuso nella propria solitaria aseità, ma li vede all'opera negli accadimenti che li fanno uscire da sé, che li fanno dischiudere alla vita.

Una potente interrogazione teologica crea, quindi, un dinamismo degli elementi che all’intuizione filosofica erano apparsi immobili e fissi. Il Dio nascosto si rivela, l’uomo

644 Ivi, pag. 86.

645“Se vogliamo introdurre ordine, chiarezza, univocità, cioè realtà in questa ebbra danza del possibile allora é bene

comporre insieme questi elementi sotterraneamente frammentati, strapparli alla loro condizione di reciproca esclusione e inserirli in una connessione chiara e fluida e, anziché «immergersi» nella notte del positivo dove ogni `qualcosa' potrebbe assumere le forme gigantesche del Tutto, «salire» in alto. Ma, in alto, indietro nell'unico Tutto della realtà ci porta soltanto il flusso, unico, del tempo universale che trascina con sé in un movimento rotatorio quegli stessi elementi, apparentemente in quiete, e che, in questo movimento, dal mattino universale, attraverso il mezzogiorno universale alla sera universale, riunisce nuovamente gli elementi del Tutto, frantumati nella caduta dentro l'oscurità del `qualcosa', nell'unico giorno-universale del Signore”. F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit.,pag.89

646 Horwitz R. (introduzione e note), Mihvar Igrot Vekithei Yoman, Ed. Mossad Bialik, Jerusalem 1987, pag. 264. 647 “La rivelazione fa del paganesimo un'epoca storica e, proprio per questo, la rende intranseunte, non la

supera né la toglie, non produce Aufhebung, di sorta ma la conserva come presupposto ormai dispiegato e mai piú dispiegatesi”. E. D’Antuono, Ebraismo e filosofia, cit., pag. 119-20.

chiuso nel suo io si apre, il mondo perde l’incanto del suo eterno ritornare, ma riacquista la vita. Si ha, quindi, rispetto al pensare astratto, un'inversione. Essa consiste in una “una

sorta di metamorfosi del puramente vitale in vivente vita”, non implicante “sviluppo o decadenza, ma apertura di un diverso orizzonte”648. Il conoscere che ne deriva non si ferma

alle essenze, al che cos'è, perché “conoscere Dio, mondo e uomo significa conoscere cosa

fanno l’uno rispetto all’altro, cosa accade di uno rispetto ad altri”649.

Srutturata come la prima e come la terza, triadicamente, la seconda parte della Stella descrive, quindi, in 3 libri distinti le relazioni intercorrenti fra gli elementi primordiali. Tali relazioni corrispondono ai tre eventi biblici fondamentali della creazione, rivelazione e redenzione. Con il prodursi di questi eventi si compie, per Rosenzweig, il passaggio non solo dall'orizzonte della filosofia a quello della teologia, ma anche dalla dimensione puramente

ideale del pensiero a quella della realtá concreta ed effettiva. 8.4 L'etico e lo spirituale

Condividendo con Rosenzweig il nuovo protagonismo della fede, Ebner preferisce parlare di

spirituale, piuttosto che di religioso. In particolare, egli kierkegaardianamente enuncia il

primato dello spirituale sull'etico. L'etica – scrive - “non è in grado di porre l'Io in un rapporto

con il Tu”. Ne consegue che “il momento etico non può esistere da solo e dev'essere ancorato nel momento metafisico o in quello religioso”650.

Ebner riconosce all'etica un primato sulla scienza. Essa, infatti, presuppone alla sua base l'io

voglio (il volo pascaliano), anziché l'io penso cartesiano, intercettando, per così dire, l'io più

intimo. Ma, al contempo, Ebner determina la pretesa dell'etica di esistere da sola come implicante la frantumazione spirituale. “La frantumazione spirituale di un uomo é questa – scrive- : l'io in lui non puó trovare il suo tu. La sua esperienza dell'uomo gli fa sperimentare

nell'uomo sempre soltanto l'altro io, ma non il tu del suo io, il suo io medesimo non lo rende mai un tu...”651. Questa frantumazione esistenziale è quella del relativismo teorico e pratico,

che offre ormai un quadro scomposto in cui il desiderio spirituale che è nell'uomo viene del tutto misconosciuto652.

Per Ebner, come per Kierkegaard, ciò implica che l'etica sia superata dalla fede. Se, infatti, la meta della conoscenza etica è il “compimento della coscienza specificamente umana”, ossia l'“adempimento consapevole dell’esistenza”, allora essa sarà raggiungibile solo superando l'etica stessa. L'etica, in quanto “parla all'Io e lo risveglia alla sua verità del volere”, rappresenta un momento nel cammino dell'esistenza che “spinge verso la realtà spirituale della

propria vita”. Il punto è “che nel far ciò non è in grado di porre l'Io in un rapporto con il Tu” ,

non è cioè in grado di superare il solipsismo della coscienza. Pertanto, conclude Ebner, quel

momento “ non può esistere da solo e dev'essere ancorato nel momento metafisico o in quello

648 E. D’Antuono, Ebraismo e filosofia, cit., pag. 120. 649 N. Petrovich, La voce dell’amore, cit., pag. 103.

650 F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 283. Evidenti sono le suggestioni kiekegaardiane. 651 F. Ebner, Schriften, cit., vol. II, pag. 147.

652 "L'ethos della vita generale però si perde alla fine, al di là di tutte le teorie dei filosofi, nella prassi del relativismo etico. Esso lascia al momento personale nell'esistenza umana solamente la sua rilevanza temporale, mentre non gli importa quella extra-temporale, la rilevanza eterna, e ciò significa però anche che la vita generale cerca, se non di distruggere, perlomeno di soggiogare totalmente lo spirituale nell'uomo …" F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 360

religioso”653. Lungo la via che l'uomo percorre alla ricerca del proprio ubi consistam, l'ethos

indica il cammino, ma è solo la grazia che dà la forza di procedere654.

La fede sopravanza l'etica, perché in quest'ultima è sempre presente il rischio di chiudersi nella propria presunta autosufficienza. L'etica prospetta, infatti, una libertà per l'uomo, ma tale libertà si esaurisce nella sfera dei doveri autonomamente concepiti. La fede si pone, invece, oltre ogni acquietamento egoistico, in un movimento eccentrico che porta oltre se stessi e oltre ogni presunzione655. Pertanto, “al primato della legge morale assunta a principio teleologico dell'agire su cui fondare kantianamente la "necessitá" per l'uomo di conformare la propria condotta a determinati imperativi, Ebner sostituisce una diversa concezione dell'ethos, cristianamente e pneumatologicamente inteso come un fiat, come un "dir di sí" alla grazia dell'incontro”656.

Più profondamente, Ebner riconosce nella legge morale, comunque formulata, il rischio dell'opprimente supremazia dell'universale e dell'astratto sul personale. La legge è un impersonale. Prescrive un bene di cui si parla in terza persona, un bene che non ha volto né espressione. La fede è, invece, intrinsecamente personale, interessata “dall'«intervento» della

dimensione personale e dalla decisione personale, non come nell'ambito dello «scientifico» o del «matematico», dove queste non giocano alcun ruolo; e non esiste alcun altro momento esterno - «oggettivo» - che potrebbe determinare l'uomo in questa decisione oppure alleviargliela o ancor meno risparmiargliela”657. Pertanto, ogni tentativo di assimilare la fede

ad una dottrina, ad una filosofia o ad un'etica, sottintende “ un radicale fraintendimento” di cosa essa sia.

Non può essere “oggetto e contenuto della fede” un principio astratto o una fantasia,

perché essa “sta sempre in relazione con qualcosa di personale”658. Essa “ha come premessa

l'esistenza del Tu e il rapporto con tale esistenza nella fede ” ed è, conseguentemente,

“decisione personale per il Tu”. Lo rivela il senso ultimo di ogni preghiera, che è racchiuso in un’elementare convinzione: "Tu esisti e grazie a Te io sono”. “Se dunque

devo credere nel senso autentico del termine – conclude Ebner -, allora ciò ha come premessa il «venir appellato» dello spirituale in me e non invece l'«esprimersi» dello stesso; ovvero ciò ha come premessa il fatto che l'Io in me viene reso il Tu della parola o dell'amore da uno spirituale che sta al di fuori di me”659.

Ci si dovrà, quindi, porre non sul piano dell'io, ossia dell' io credo e dell'io penso, nell’ostinazione della propria idea, ma sul piano della relazione. La fede è personale nella

misura in cui è relazionale, nella misura in cui implica una decisione rispetto ad un Tu660,

nella misura in cui, più precisamente, è “fiducia nel venirci incontro del Tu”661. Pertanto, 653 Frammenti pneumatologici, cit., pag. 283.

654 “L'ethos e la grazia però vanno insieme. (…) L'ethos senza la grazia però spinge l'uomo alla disperazione, in un orgoglio spirituale che non permette più di cogliere lo smarrimento spirituale, oppure a un disperato irrigidimento in essa, senza la possibilità di ricevere aiuto. Nel caos del mondo l'ethos é per l'uomo l'indicatore stradale sul suo cammino verso Dio; la grazia é però la forza per il cammino. Una fiducia in essa che facesse del tutto scordare l'ethos non ci porterebbe affatto vicini a Dio, ma nemmeno la coscienza dell'ethos in noi che non fosse informata dalla grazia”. Ivi, pag. 362.

655 Vedi Ivi, pag 164.

656 A. Bertoldi, Il pensatore della parola etc., cit., pag. 38. Si veda anche B. Casper, «Che tutto l'essere é grazia».

Riflessioni sulla concezione dell'essere nel pensiero di Ferdinand Ebner, in S. Zucal- A. Bertoldi, La filosofia della parola di Ferdinand Ebner, cit., pagg. 44-45)

657 F. Ebner, Frammenti pneumatologici, cit., pag. 188. 658 Ivi, pag. 288-89.

659 Ivi, pag. 289. 660 Ivi, pag. 300. 661 Ivi, 362

rinchiuderla nel soggettivo, nello psicologico o nell’emotivo-sentimentale, equivale a

snaturarla662. Essa prospetta invece di uscire dallo psicologico e dall'emotivo per incontrare

non un tu astratto, ma il Tu personale, reale, unico. Pertanto, è costitutivamente eteronoma. Essa ricerca non la libertà incondizionata, ma la libertà condizionata dall'amore e dall'infinita responsabilità che ne deriva663.

L'eteronomia della fede è precisamente ciò che avvicina Ebner, Rosenzweig e Buber, nel momento in cui hanno proposto la religione come uscita dalla crisi del moderno. Lo abbiamo specificatamente visto in Rosenzweig. Ma, detto questo, dobbiamo segnalare che Ebner ha approfondito il versante intimo dell'eteronomia della fede. Nell'uomo, infatti, ha rintracciato, al di là delle sue inconsistenze e fragilità, una relazione essenziale con Dio ed in quella relazione ha riconosciuto un'eccedenza rispetto ad ogni circoscrivibilità in concetti o idee. Ha postulato, quindi, che nel suo nucleo, ossia nella coscienza, l'uomo non è identità, ma apertura, orientamento, ricerca, autotrascendenza.

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 103-107)

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