• Non ci sono risultati.

Ebner: la tuità della coscienza

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 82-85)

PARTE SECONDA In cerca del Tu

6.3 Ebner: la tuità della coscienza

Il rigetto dell'Io autarchico e solipsista, in Ebner, ha come risvolto positivo il guadagno di una dimensione relazionale dalla forte valenza etico-antropologica. L'aspirazione verso il

tu vi diventa, quindi, “la chiave di volta per interpretare filosoficamente la posizione dell'uomo nei confronti del mondo, degli altri e di Dio”511. Il tu produce, parafrasando

Lévinas, una “curvatura dello spazio intersoggettivo” che permette di cogliere il soggetto

nelle sue profondità e fino alle sue altezze512. Ed Ebner percorre questo spazio tracciando un

cammino singolare, che “penetra nelle fibre più recondite dell'interiorità rivelandone senza posa l'apertura relazionale”513.

fronte alla scolastica araba e nella più profonda divaricazione, proprio su questo punto, da essa, che la facoltà creatrice di Dio é il suo attributo essenziale ed a sviluppare inoltre tutta la dottrina degli attributi essenziali di Dio in chiara e costante analogia con questo attributo della potenza creatrice ”. Ivi, pag. 117- 18.

507 Osserva Rosenzweig: "E proprio la provvidenza illimitata, il fatto che realmente non cade un capello dal capo dell'uomo senza che Dio lo voglia, é il nuovo concetto di Dio che la rivelazione ci reca: é il concetto mediante il quale il suo rapporto con il mondo e l'uomo viene stabilito e fissato con una univocità ed una assolutezza totalmente estranee al paganesimo” 97

508 Vedi L. Bertolino, Il nulla e la filosofia, cit., pag. 197. L’intimo nucleo della sua illimitata libertà “non appena

erompe all’esterno, subito perde la sua interna assolutezza” F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 119.

509 Ivi, pag. 124.

510 Ivi, pag. 135. Se si prende come riferimento il mondo logico, razionale, che coincide con il mondo disegnato

dal paganesimo, si va all'inverso, dalla caverna delle idee alla luce della realtà, dal mondo immobile dei concetti al movimento della vita.Rispetto al mito platonico, il percorso, come osserva Ricci Sindoni - é come invertito: uscire dalla caverna é abbandonare il mondo illusorio delle idee per rituffarsi nella realtá dell'esperienza vissuta in un movimento che non é contrassegnato dal superamento dialettico, ma da una inversione di tendenze” P. Ricci Sindoni, Prigioniero di Dio, Edizioni Studium, Roma 1989, pag. 112-113.

511 P. Ricci Sindoni, «Le stagioni della vita e il dolore del tempo» Ferdinand Ebner e Simone Weil, in Ferdinand

Ebner, Communio, cit., pag. 170.

512 E. Lévinas, Totalità e infinito, cit., pag. 297-99.

513 “E' un'introspezione che quanto piú si immerge tanto piú si allontana dalla solitarietá; quanto piú coglie sé

Il Tu ha il potere di “portare l'io concreto a consapevolezza di se stesso”514. Nel

rivolgerglisi “si concretizza e realizza l'autocoscienza dell'uomo”, perché “l'Io giunge

alla sua vita in pienezza, che é una vita dello spirito”515.

Si scopre, allora, che la pretesa assolutezza della coscienza è, in realtà, solitudine disperata. Per esistere l'io non può fare a meno del Tu516. Senza, l'io è in profonda

contraddizione: “Orientato per natura a un rapporto con il Tu, nella chiusura nei confronti di

questo, si dibatte contro se stesso e la propria esistenza”517. Se, scrive Ebner, “l'Io possedesse un'esistenza assoluta, ovvero indipendente dal suo rapporto con il Tu; se dunque la sua solitudine fosse il suo stato più originario e connaturale e quel rapporto si fosse aggiunto solo in seguito”, l'esistenza dell'Io, in quanto essere personale, sarebbe

compromessa518.

La persona non è autoposizione saccente né autoreclusione, ma appello, rivolgimento. “L'essere personale, dal punto di vista dell'uomo e in una maniera per lui assolutamente

valida, é sempre l'esistere dell'Io in rapporto con il Tu”519. L'uomo non può, quindi, definirsi

sul registro dell'autosufficienza, nella presunzione di bastare a sé. Al contrario, per essere,

“l'Io ha bisogno del rapporto con il Tu”520. Il Tu è “la condizione per trovare e incontrare se stesso”521. La tuità che ha determinato l'io “al principio del suo esserci, é la strada per il suo costante determinarsi, é ció che lo costringe a non cercare inutilmente nella solitarietá la veritá del suo esistere”522, “nell'illusorietà di un'immagine riflessa”523.

Tutto il pensiero moderno, lo abbiamo ampiamente sottolineato, sarebbe “erede di Cartesio

e delle sue analisi dell'io penso”, a sua volta sottintendenti l'identificazione parmenidea di

essere e pensiero: il pensiero è circolarità, ritorno incessante a se stesso. Ora, Ebner,

514 “Poiché Kierkegaard è consapevole del carattere ideale di ogni pensare oggettivo e anche però del carattere reale della vita spirituale, dell'Io «concreto», proprio per ciò é in grado di fare ciò che non é riuscito a nessun filosofo al mondo da Platone a Kant e Fichte, ovvero di rendere il lettore in maniera immediata un «concreto» Tu, cioé di portare in lui l'Io concreto a consapevolezza di se stesso; gli riesce di costringere il lettore a capire se stesso, mentre i filosofi, quando va loro bene, aiutano il loro lettore solo a una comprensione oggettiva dei loro pensieri e opere”. F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 171-72. A pag. 188 Ebner rimarca: “Solo se é religioso, ovvero nel suo rapporto con Dio, l'uomo é in grado di comprendere se stesso; e anche nell'affermare la proposizione «Io sono», semplicissima e apparentemente chiara per ciascuno, egli si capisce solo in tale rapporto e tramite esso”.

515 F. Ebner, Frammenti pneumatologici, cit., pag. 167. “La persona si sviluppa solo purificandosi continuamente

dall'individuo che è in lei; e a ciò perviene non tanto con l'attenzione continua a se stessa ma piuttosto col rendersi sempre più disponibile (G. Marcel), quindi più trasparente a se stessa e agli altri. E allora avviene come se soltanto in quel momento, non essendo più `occupata di sé', `piena di sé', essa diventasse capace degli altri, raggiungesse lo stato di grazia”. E. Mounier, Il personalismo, cit., pag. 47-48.

516 F. Ebner, Frammenti pneumatologici, cit., pag. 253-54. 517 Ivi, pag. 211.

518 Ivi, pag. 163-64. Quindi, Ebner conclude: “Avrebbero allora ragione quei filosofi che nell'Io vedono una finzione non necessaria nemmeno per la riflessione bensì soltanto dal punto di vista grammaticale, un fatto casuale dell'uso linguistico, quei filosofi agli occhi dei quali è compito della filosofia indagare tale finzione e liberare da essa il pensiero scientifico e filosofico”.

519 Ivi, pag. 167.

520 F. Ebner, Frammenti pneumatologici, cit., pag. 211. “L'io, non puó mai trovarsi in se stesso, e per questo si

de-ve cercare nel tu” F. Ebner, Fragmente, Aufsätze, Aphorismen. Zu einer Pneumatologie des Wortes, in Schriften, vol. I, cit. pag. 34.

521 E. Baccarini, La soggettività dialogica, cit., pag. 221. “...il termine di difficile traduzione: Duhaftigkeit; lo si puó

forse rendere con natura di tu, tuitá, e indica la natura di tu della coscienza umana” E. Ducci, La parola nell'uomo, cit. pag. 95. La Ducci richiama una nota del 17-8-1921, in cui Ebner afferma che la Duhaftigkeit è terra incognita per la filosofia, mentre la Ichhaftigkeit (la natura di io) è stata da sempre esplorata. Vedi F. Ebner, Notizen, Tagebücher, Lebenserinnerungen, in Schriften, vol. II, cit., pag. 201.

522 E. Ducci, La parola nell'uomo, cit. pag. 99.

“riconoscendo l'indigenza essenziale che io percepisco in quanto penso” sorpassa tale limite, perché “riconosce che, proprio nei suoi atti più originari, il pensiero, in quanto pensiero

esperiente, non può ridursi a se stesso”524. Sorpassa l'involversi del pensiero su se stesso, che

ne rappresenta il limite. “L'Io che si chiude al Tu non é il vero e proprio Io”, ma il casus

obliquus dell'Io, ossia “il tentativo dell'uomo di esistere senza Dio oppure in un equivoco circa il rapporto dell'uomo con Dio”525 - afferma. Se si dà, quindi, una possibilità di custodire la

persona in quel suo nucleo di irriducibile libertà questa non è da rintracciarsi nell'io, ma nella tensione che spinge a fare esodo da se stessi.

A questo punto Ebner dà “nel suo ambito dimensionato” “una sfaccettatura essenziale e

prima non emersa” all'esistere del singolo526.

Kierkegaard con la sua posizione del «singolo davanti a Dio» gli aveva offerto una via di uscita dal solipsismo. Ebner l'ha presa, questa via, cercando di portarsi oltre la solitudine della coscienza. A questo punto il singolo con la sua coscienza è diventato “il contropolo

dell' Io solitario”527, qualcosa di diverso e di nuovo rispetto anche al singolo di

Kierkegaard. Così, il Tu reale, non solo quello vivente nell'intimità della coscienza, com'era in Kierkegaard, è stato posto come leva di una nuova etica e di una nuova visione dell'uomo. A questo l'ha portato l'esegesi del vangelo di Giovanni ed, in particolare del Prologo, perché egli ha identificato il Tu nel Logos, Tu di Dio e Tu dell'uomo. La lettura di Feuerbach ha permesso, infine, a Ebner di pensare il Tu anche in termini umani, in

un'accezione prettamente etica528, per rifondare dal di dentro i rapporti tra gli uomini.

Alla fine, ne viene che il baricentro della persona non è da ricercarsi, per Ebner, nel ripiegamento solitario, ma in quel moto che porta l'io a rompere le incomunicabilità, a scompaginare le teorizzazioni astratte e le formule irrigidite nel concetto. L'uomo non esaurisce le sue possibilità nel corto circuito dell'autoreferenzialità, schiacciato nell'immanenza delle sue prospettive, ma si protende oltre. L'uomo è essenzialmente

524 “Può raggiungere se stesso, solo riconoscendo di essere indigente: necessita dell'Altro, che si manifesta

innanzitutto come libertà estranea e irriducibile”. B. Casper, Indigenza dell'Altro ed esperienza di Dio. L'importanza dell'opera di Ferdinand Ebner per la filosofia della religione e la teologia, in Ferdinand Ebner, Communio, cit., pag. 36.

525 Questo caso obliquo sarebbe l'oggetto di studio della psicologia: “É l'uomo senza Dio, dunque, che diviene

«oggetto della psicologia». Colui però che ha ritrovato l'autentico rapporto con Dio e in esso ha realizzato e salvato l'esistenza del proprio Io, cioé la propria personalità, é psicologicamente inafferrabile” Ivi, pag. 234.

526 E. Ducci, La parola nell'uomo, cit., pag. 126.

527 S. Zucal, Quel «sottile e ripido pensiero» etc., in Ferdinand Ebner, Communio, cit., pag. 93.

528 Ebner condivide la critica di Feuerbach a Hegel e il suo tentativo di porre le basi di un'antropologia dell'uomo concreto. Lo “smarrimento idealistico dell'uomo concreto si supera solo (...) nel momento decisivo dell'amore. (…) La vera conoscenza non é dunque quella del pensiero ma quella che ha la sua origine nei sensi, o meglio in quell'intuizione immediata del sensibile che trova la sua più compiuta espressione nell'amore. (…) L'amore dunque per Feuerbach non é un semplice sentimento ma una passione epifanica, rivelatrice dell'esistenza. Solo ciò che provoca dolore o gioia esiste e solo l'amore é in grado di cogliere e l'uno e l'altra. Solo chi ama o é amato può quindi esistere. L'uomo dunque non rimane più entro la logica insulare in cui l'ha abbandonato l'idealismo grazie al potere astraente dell'idea, ma risulta concretamente innestato nel tessuto relazionale, inserito in un rapporto con gli altri uomini. In piena sintonia con Ebner, per Feuerbach l'Io non può mai stare senza il Tu e viceversa e l'uomo può acquistare vera coscienza di sé solo attraverso l'«altro da sé». Per Ebner Feuerbach, nonostante si ritrovi addosso la cattiva reputazione di puro e semplice materialista e sensualista in virtù del suo «ateismo pieno d'amore», é il vero disvelatore e scopritore dell'Io e del Tu in relazione”. S. Zucal, Il miracolo della parola, cit., pag. 70-71

eccentrico. Il suo io consiste solo nell'orientarsi verso il Tu529. Al di fuori di questo,

dell'esistenza non ne è nulla.

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 82-85)

Outline

Documenti correlati