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I risvolti antropologici: l'uomo è un parlante

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 124-126)

Le realtà spirituali: la parola e l'amore 9 L'espressività dello spirituale-religioso

9.6 I risvolti antropologici: l'uomo è un parlante

Alla luce delle riflessioni sul linguaggio si chiarisce anche il rilievo antropologico del pensiero ebneriano e dialogico, in senso lato. La parola non può essere considerata, infatti, come qualcosa di aggiunto o di estrinseco all’uomo. Al contrario, la parola è ciò che rende propriamente uomini. L'uomo, scrive Ebner citando Max Scheler, “ha la parola”, è portatore della parola781.

Nell'avere la parola è compreso tutto ciò che la parola implica e, quindi, la capacità di

ascoltare e di ricevere, nonché la capacità di rivolgersi. Pertanto, è caratteristico dell'uomo non

solo il “poter dire qualcosa”, ma anche l'avere qualcosa da dire. L'animale non può dire nulla, “in quanto «non ha la parola»” né “ha qualcosa da dire”. L'avere qualcosa da dire è indice di un potere particolare, che si coagula intorno ad un centro attivo che è dentro l'uomo. Tale centro è rappresentato dall'io. D'altra parte, l'io prende coscienza di sé a partire dalla parola. L'animale non ha né un io né un'interiorità, “poiché gli é interdetto il linguaggio, poiché non ha la

parola”782. Mancandogli la parola, “egli ha sì coscienza ed entro questa un'esperienza del mondo, non però - in senso stretto - la coscienza di essere”. Di conseguenza, “non può mai divenir cosciente di se stesso e della propria esistenza, nemmeno nella sofferenza della propria vita, come nel caso dell'uomo”783. “In mezzo alla natura muta” l'uomo é colui che ha la

parola784 e questa è il punto di concrezione dell'umanità785.

La ragione umana, l'abbiamo ampiamente sottolineato, è linguisticamente configurata. Ragione

– precisa Ebner - è “la speciale coscienza umana, costituita dalla «parola» e dunque non

779 Ciò che si oppone alla verità non è l'errore, ma la menzogna. L'errore si situa su un piano meramente

logico. La menzogna si situa su un piano anche etico, implicando la libertà. Vedi F. Rosenzweig, Der jüdische Mensch, in Zweistromland. Kleinere Schriften zu Glauben und Denken, cit., pag. 563.

780 E. Baccarini, La soggettività dialogica, cit., pag. 12. Più tardi Buber determinerà tutto questo come

l'interumano: “Con la sfera dell'interumano intendo esclusivamente eventi in atto tra gli uomini, sia totalmente reciproci, sia tali da essere in grado di innalzarsi o di completarsi immediatamente nella reciprocità, poiché la partecipazione dei due partner é per principio indispensabile. La sfera dell'interumano é quella del reciproco stare-l'uno-di-fronte-all'altro; il suo dispiegarsi é ciò che chiamiamo il dialogico”. M. Buber, Elementi dell'interumano, in Il pensiero dialogico e altri saggi, cit., pag. 298.

781 Così S. Zucal scrive commentando in una nota (nota 6) ai Frammenti di F. Ebner. Vedi Ivi, pag. 150. 782 F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 150-51.

783 Ivi, pag. 232.

784 E. Ducci, La parola nell'uomo, cit., pag. 34.

scindibile dal linguaggio, e tale coscienza rappresenta la premessa dell'impiego umano dell'intelletto. Consapevolezza e intelletto li ha persino l'animale: non però la ragione. Essa é la possibilità che si radica nel carattere personale-relazionale originario. La facoltà di formare concetti e idee e solo successiva. «Senza parola non c'é ragione» e «la ragione é linguaggio, lògos»786. L’uomo è un pensante che parla e un parlante che pensa, che struttura

cioè in un linguaggio il suo pensiero, prima ancora di esprimerlo. Ebner, quindi, riscopre il nesso coscienza-parola e lo riscopre assegnando la priorità alla parola, perché è questa che fa l'eccezionalità dell'umano, non la coscienza. La coscienza presuppone la parola e non vi sarebbe,

se questa non accadesse787. “La «parola» - scrive nei Frammenti - é la luce mediante la quale

l'esser-consapevole (...) si illumina nell'uomo fino a divenire l'essere-consapevole-di-se-stesso , (…) cosa che l'animale non può essere”. É “la parola che ha creato nell'uomo la possibilità di essere consapevole di sé e la vita spirituale nella sua realtà ”788. L'uomo “é uomo solo grazie al linguaggio”789.

Il linguaggio implica, quindi, un io non più configurabile secondo i parametri della

solitarietà, dell'isolamento solipsistico. Se, infatti, “il linguaggio presuppone da una parte l'Io - come la possibilità spirituale di essere persona parlante e di «prendere la parola», di esprimersi e di affermare la propria esistenza”, ossia l'«Io sono» di cartesiana memoria,

“dall'altra però al tempo stesso presuppone la coscienza dello spirituale nell'altro, in

riferimento alla sua «appellabilità»”. Sottostà al linguaggio, come suo fuoco, come suo

motore, la capacità di rivolgersi al Tu. Il linguaggio non presuppone, infatti, solo la coscienza di sé, ma anche la coscienza dell'altro e, quindi, la possibilità di rivolgerglisi. Ed è precisamente qui che si coglie la differenza specifica dell'umano, secondo Ebner. “L'animale – scrive - ha

una coscienza, che non comporta altro se non un'esperienza del mondo, (…); coscienza che non implica in sé alcun Io e non può dunque porsi in rapporto con una coscienza nell'altro, con un Tu”790.

C'è una novità assoluta rispetto alla tradizione razionalista, cartesiana. La parola modifica il senso del cogito, ampliandone gli orizzonti, contraddice la pretesa di autosufficienza della coscienza. “Il senso ultimo del cogito che si qui compie – ebbe a scrivere qualche anno più

tardi Ebner -, è che esso cammina attraverso la parola» ”791. Io sono, diventa allora, in Ebner,

io sono un parlante. Un parlante si rivolge sempre un Tu e lo presuppone anche. “La parola “passa dalla «prima» alla «seconda persona»” ed “ha come premessa, nell'attualità del suo venir detto, il carattere personale della relazione dell'Io con il Tu”792. La stessa asserzione io

786 Ivi, pag. 212-13.

787 “Non la coscienza implica l'io, ma la parola, e la parola é relazione al tu. Fuori di essa l'uomo non giunge alla

coscienza di sé” E. Ducci, La parola nell'uomo, cit., pag. 117.

788 F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 165. Così scrive nella stessa pagina: “Quei filosofi che

negavano l'esistenza reale dell'Io si erano ben accorti che l'autocoscienza non é identica se non con il fatto che l'uomo é un essere parlante: eppure essi non compresero la rilevanza di tale identità, poiché non avevano visto il radicamento e l'ancoraggio del linguaggio nelle realtà spirituali della vita” Ibidem.

789 “L'uomo, la cui intera umanità é talmente radicata nel fatto della parola da poter e dover con altrettanta ragione affermare che egli é divenuto grazie alla parola, al linguaggio, quello che é, cioé un uomo? Anche Wilhelm von Humboldt, forse intravedendo l'«uscita dal circolo chiuso» che la «pneumatologia» da parte sua vede, mentre la scienza non vede e non può vedere, sosteneva: l'uomo é uomo solo grazie al linguaggio; per inventare il linguaggio doveva però già essere uomo”. Ivi, pag. 153.

790 Ivi, pag. 232.

791 F. Ebner, Schriften etc.,cit. vol. II, pag. 260.

792F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 146. Così precisa in un passo successivo: “Dietro a ogni

«proposizione» - e a ogni parola che é una proposizione - sta come suo senso profondo e più intimo la «posizione» del rapporto tra 1'Io e il Tu, la posizione reale o anche puramente ideale della vita spirituale” Ivi, pag. 148.

sono, in quanto asserita, si pone nella consapevolezza di essere di fronte a qualcuno793. “Per l'uomo principiare a parlare e affermare il proprio io sono la medesima cosa, ma l'affermazione dell'io non c'é senza l'affermazione del tu. Questo filo sottile e tenace é ció che fa umano il linguaggio”794.

Il primato della parola comporta, quindi, la trasformazione del paradigma antropologico da singolarità irrelata a struttura dialogale. Comporta un nuovo umanesimo, che potremmo

definire, con Lévinas, umanesimo dell'altro uomo795. Contraddice, quindi, l'idea di un uomo

chiuso in un io inaccessibile. L'uomo è un essere di linguaggio, un parlante e un parlante non può porsi solitariamente. La parola è diretta fuori ed oltre la ragione come possibilità di determinazione solitaria. Come tale, “la sua esistenza non consiste nel suo riferirsi a se stesso,

bensì... nel suo rapporto con il Tu”796. “Senza la relazione dell'Io con il Tu non vi sarebbe alcun Io, ma nemmeno alcun linguaggio”79 7.

Questo movimento essenziale è ciò che solleva il sé dalla sua condizione di solitudine e ne fa un'anima, ciò che dell'individuo fa una persona, insignita di una realtà più vera di quella di un'idea. Nel fatto che egli ha la parola il suo essere singolo non si rivela, infatti, come condanna all'isolamento, ma come tendenza insopprimibile verso l'altro ed oltre se stesso.

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 124-126)

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