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L'amore che redime: redenzione e amore del prossimo

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 157-161)

Le realtà spirituali: la parola e l'amore 9 L'espressività dello spirituale-religioso

10.9 L'amore che redime: redenzione e amore del prossimo

Il libro della rivelazione, secondo della seconda parte della Stella della redenzione, dopo aver descritto l'intimità dell'incontro tra Dio e l'uomo, termina con il comandamento dell'amore del prossimo.

All'amore di Dio, che si rivela nella parola (rivelazione), deve corrispondere l'amore dell'uomo che si irradia nella creazione (redenzione). “L'anima, ormai dichiarata adulta,

lascia la casa paterna dell'amore divino ed esce a percorrere il mondo ”1026. Essa, di cui nel

Cantico è figura l'amata, "singhiozza verso un aldilà dell'amore (...) desidera con ansia un

1018 F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 354. 1019 Ivi, pag. 362.

1020 “...lo spirito del Cristianesimo esige e può realizzare, ovvero condurre 1'Io nell'uomo alla sua vera vita

nello spirito, porlo in un rapporto con il Tu”. Ivi, pag. 363 Vedi pure ivi, pag. 167-68.

1021 Ivi, pag. 383.

1022 F. Ebner, Nachwort zur Mitarbeit am «Brenner», in Schriften I: Fragmente, Aufsätze, Aphorismen. Zu einer

Pneumatologie des Wortes, a cura di Franz Eeyr, Kösel, München 1963, pag. 625.

1023 F. Ebner, Die Christusfrage, in Schriften I etc., pag. 482.

1024 F. Ebner, Schriften, vol. I, cit., pag. 66. Sull’argomento vedi pure H. U. von Balthasar, Teodrammatica, Jaca

Book, Milano 1990, vol. 1, pag. 618. In questo Ebner “prosegue e completa la lezione di Kierkegaard” S. Zucal, Quel «sottile e ripido pensiero». Hans Urs von Balthasar interpreta Ebner, in Ferdinand Ebner, Communio etc., cit., pag. 91.

1025 F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 383. L'incarnazione è, per Ebner, realtà storica che

“riguarda ogni singolo, perché rende possibile all'uomo assumere la Parola e la Vita di Gesú quale misura assoluta della propria esistenza e della propria vita, sí che in lui avvenga un vero salto qualitativo nel pieno dispiegamento del suo essere e nella piena vittoria sulla morte” E. Ducci, La parola nell'uomo, cit., pag. 248.

eternarsi dell'amore (...), e cioé un perpetuarsi che non cresce più dentro all'io ed al tu ma esige di essere fondato al cospetto del mondo intero "1027. A fronte del rischio che l'amore si

circoscriva o si confonda con l’emozione del momento, essa non deve ritrarsi nel rassicurante calore del suo sentirsi protetta, ma risvegliata dall'amore, deve “addentrarsi nel mondo”. Come, infatti, scrive Rosenzweig, “il mero Dio creatore si trova sempre esposto al pericolo

di inabissarsi nuovamente nel nascondimento, così la mera beatitudine dell'anima immersa nello sguardo d'amore di Dio può sempre risprofondare nella chiusura escludente verso l'esterno”1028.

Due figure servono all'autore a chiarire questo dovere dell'anima. Esse sono il mistico e il santo.

Il mistico è colui che crede di vivere “soltanto con il «suo» Dio” e si chiude a tutto il resto.

Ma, così facendo, “chiude se stesso” e non è “più disponibile per il mondo”1029. Egli, che

pretende di rinchiudere l'amore in una nicchia, in un rapporto esclusivo ed escludente, si

rivela, quindi, “un uomo a metà”1030, un uomo che vive una dimensione sola del suo essere

uomo. “Egli parla, certo, ma ciò che dice é solo risposta, non parola". "La sua vita é soltanto

un attendere, non un andare”, perché egli rifiuta “di passare dalla passività dell'amore ricevuto all'attività dell'amore donato al prossimo”, preferendo rimanere "chiuso nei propri rassicuranti e protetti confini". Gli manca, infatti, la parte attiva dell'amore, la capacità di “prendere il largo inoltrandosi nel mondo”, per infondervi “quella forza che è capace di attuare la redenzione”1031.

A fronte di quello si pone il santo, che sa "crescere dalla risposta alla parola, dall'attesa

di Dio al camminare al cospetto di Dio" ed è "un uomo reale, un uomo completo”1032. La sua

anima “da semplice recipiente dell'amore di Dio, diviene l'attore stesso dell'amore”, in quanto il santo, pieno dell'amore di Dio, è, a differenza del mistico, totalmente dischiuso e pronto ad uscire da sé, per portare nel mondo l’esperienza di quell'amore e farne un “mondo

rinnovato e incessantemente rinnovantesi”1033. Egli è un uomo vero, “vivente assolutamente

1027 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 211.

1028 “L'anima si era dispiegata davanti a Dio in un sì infinito, pronunciato una volta per tutte. Così essa era uscita dalla propria gelosa chiusura nel sé. Non che avesse negato il sé, no, essa in realtà era soltanto uscita da esso, dalla sua gelosa chiusura, all'aria aperta; ora essa si trovava dispiegata ed aperta. Aperta, dedita, fiduciosa, ma aperta in una direzione soltanto, dedita soltanto ad un Unico, fiduciosa in Lui solo. L'anima ha aperto occhi ed orecchi, ma davanti ai suoi occhi sta una figura sola, una sola voce colpisce le sue orecchie. Ha aperto la sua bocca, ma le sue parole sono pronunciate per Uno solo. Essa non dorme più il sonno rigido del `sé', ma é risvegliata da Uno soltanto e per Uno soltanto. E così anche ora essa rimane in effetti sorda e cieca come il `sé, cioé sorda e cieca per tutto ciò che non é l'Uno. (…) L'anima, é vero, é ora aperta allo sguardo ed alla parola, ma solo in direzione di Dio; da tutte le altre parti invece é ancora chiusa come prima lo era il `sé', ed inoltre essa ora ha perduto anche quella visibilità e quella udibilità, quella vitalità dotata di figure benché tragicamente rigida, che il sé pos-sedeva. Nella beatitudine del suo esser-amato da Dio il `sé' meramente pieno di dedizione é morto al mondo, anzi é morto in generale a tutto ciò che é all'infuori di Dio ”. Ivi, pag. 213-214.

1029 Ivi, pag. 215.

1030 “Questa é la grave colpa del mistico: egli trattiene il `sé' sul suo cammino verso la figura. L'eroe era un uomo, seppure soltanto nel pre-mondo. Il mistico invece non é un uomo, é a malapena un uomo a metà, é solo il recipiente delle estasi da lui esperite. Egli parla, certo, ma ciò che dice é solo risposta, non parola ; la sua vita é soltanto un attendere, non un andare. Eppure soltanto un uomo che sapesse crescere dalla risposta alla parola, dall'attesa di Dio al camminare al cospetto di Dio, sarebbe un uomo reale, un uomo completo”. Ivi, pag. 216.

1031 N. Petrovich, Il rapporto fra l’amore verso Dio e l’amore verso il prossimo etc., cit. 1032 F. Rosenzweig, La Stella della redenzione, cit., pag. 216

1033 Ivi, pag. 219. Il santo non risplende di sé, bensì dell’amore che lo lega a Dio, al di là delle chiusure e degli

nell'assoluto, e quindi aperto a ciò che è più alto, e deciso per ciò che è più alto, al contrario dell'eroe, irrimediabilmente chiuso nell'unica e sempre identica tenebra del sé”1034.

L’amore del prossimo, che il santo coltiva, nasce allora come risposta all’amore di Dio.

“L'uomo ama poiché Dio ama e così come ama Dio”1035, in ragione dell'esperienza dell'essere

da Lui amato. L’amore di Dio feconda, quindi, l’amore del prossimo, per cui “l'altro viene

amato sempre all'ombra dell'Altissimo", "in Dio”1036. D'altra parte l'amore del prossimo

rende visibile l'amore di Dio, lo attualizza, per certi versi, lo completa. L'amata vuole che che la sua fede fedele rinsaldi l'amore dell'amante “facendone un amore durevole”, un amore per

sempre1037. Rosenzweig, riprendendo una sentenza di un maestro della cabbala, si spinge ad

attribuire a Dio quest'affermazione: “Se voi non mi rendete testimonianza Io non sono!”1038.

Si prospetta, quindi, “un'intima connessione tra amore di Dio ed amore verso il

prossimo”1039. Entro questa connessione, il comandamento: Ama il tuo prossimo, viene a

rappresentare “la sintesi di tutti i comandamenti”, il “comandamento di tutti i

comandamenti”, “non il più alto, ma l'unico”, “senso ed essenza” di tutti gli altri1040, perché

“riecheggia nel dettato di tutti i singoli comandamenti..."1041. E', infatti, esso che rende tutti

gli altri, “invece che rigide leggi, comandamenti vivi”1042.

1034 Ivi, pag. 219. L'eroe appartiene al pre-mondo immobile, al mondo da cui non c'è uscita, al mondo ripetitivo e

disperato, il santo al Scrive il Nostro: “Il santo é tanto al di qua della chiusura umana quanto l'eroe ne é al di là. É lo stesso rapporto che ritroviamo tra il Dio manifesto dell'amore e quello, vivente in sé soltanto, del mito, in mezzo ai quali sta a discrimine la notte del nascondimento di Dio” Ivi pag. 216.

1035 Ivi, pag. 205. “E l'anima, in questo suo uscire dal miracolo dell'amore divino per addentrarsi nel mondo terreno,

soltanto nel più profondo del cuore può conservare la parola degli antichi: “Come Egli ama, così ama anche tu” F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 211.

1036 Ivi, pag. 213. Vedi anche pag. 183.

1037 “Questo per l'eternità che l'anima avverte dentro di sé, nel suo primo essere investita dell'amore

dell'amante, non é illusione, non rimane confinato al suo intimo, si dimostra invece una forza viva, creatrice....” Ivi, pag. 175-76.

1038 L'affermazione si trova per la prima volta in E Rosenzweig, Atheistische Theologie, in La Scrittura etc, cit., pag 239 e poi in La Stella della redenzione, cit., pag. 176. La frase é attribuita a Rabbi Simeon BarYochai che la tradizione ebraica ritiene l'autore dello Sefer ha-Zohar (il Libro dello Splendore), il libro piú importante della corrente cabbalistica. Rosenzweig propone qui la relazione o persino la dipendenza del divino dall'umano.

1039 Nel Cantico “l'amante divino non permette che l'amata si richiuda come il mistico nel calore di un

abbraccio soffocante, ma con il comandamento dell'amore la sospinge verso il prossimo, verso ogni prossimo che in ciascun momento della vita si presenta come il più vicino: viene, quindi, incamminata verso il mondo intero. L'amata è chiamata a percorrere orizzonti sempre più vasti in un'apertura che possiede una portata cosmica: viene abbracciato il mondo intero” N. Petrovich, Il rapporto tra amore verso Dio e amore verso il prossimo etc., cit..

1040 Ivi, pag. 181.

1041 Ivi, pag. 213. “Ama il tuo prossimo. Questa, ci assicurano ebrei e cristiani, é la sintesi di tutti i

comandamenti. Con questo comandamento l'anima, ormai dichiarata adulta, lascia la casa paterna dell'amore divino ed esce a percorrere il mondo. Un comandamento d'amore quindi, come quel comandamento originario della rivelazione che riecheggia nel dettato di tutti i singoli comandamenti e che, solo, li rende, invece che rigide leggi, comandamenti vivi”

“Chiaro ed univoco quanto al contenuto”1043, il comandamento dell'amore si contrappone

alla legge morale, inevitabilmente ambigua e illimitatamente equivoca nel suo formalismo. Il suo contenuto è chiaro, reale, consistente: il prossimo, che “ non è un'essenza

universale e anonima, ma possiede un sempre un nome e cognome, ha il volto della singolarità unica che interpellala libertà ad amare…”1044. Il prossimo è esterno ad ogni

legislazione universale, per forza di cose disattenta nei confronti del particolare, e chiede di essere amato per se stesso, in modo personale. Amare non significa, quindi, avere una

conoscenza anonima, ma semmai apprendere “apprende a dire Tu al lui”1045.

La sua direzione è univoca, perché si indirizza a chi “é di volta in volta prossimo, (…)

all'insieme di tutti coloro (uomini e cose) che potrebbero una volta o l'altra occupare questo posto, é indirizzato, cioé, in definitiva a tutto, al mondo1046, a chi nell'istante

presente si trova ad essere il più vicino da amare1047, il vicario1048, di tutti gli altri possibili

prossimi.

Il suo adempimento non si restringe ad un atto singolo, ma impegna un'intera serie di atti, perché l'amore “ritorna incessantemente ad erompere” e mai si irrigidisce “in atto

schematico, organizzato”1049. L'amore deve sgorgare “sempre improvviso e sempre sorprendente”1050, per spezzare “nella relazione reciproca, quella inerzia in cui versa il mondo nel suo isolamento”1051. Pertanto, il per-l'altro della prossimità ridefinisce anche la

temporalità dell'uomo che in ogni istante attende ed è attento a colui che è di volta in volta

1043 Esso, “che scaturisce dalla libertà indirizzata del carattere, ha bisogno di un presupposto al di là della

libertà”. “Il fatto che Dio «comanda ciò che vuole» dev'essere preceduto – spiega Rosenzweig -, giacché qui il contenuto del comandamento é di amare, dal divino «esser già fatto» ciò che egli comanda. Solo l'anima amata da Dio può accogliere il comandamento dell'amore del prossimo fino a dargli adempimento. Dio deve essersi rivolto all'uomo prima che l'uomo possa convertirsi alla volontà di Dio”. Ibidem, pag. 222-23. L’autore richiama qui Agostino “fac quod jubes et jube quod vis”. Il testo è, in realtà, “da quod jubes et jube quod vis”; Vedi, A. Agostino, Le Confessioni, Città nuova editrice, Roma 1965, pag. 334. L'amore del prossimo è, infatti, “ciò che ad ogni istante supera la semplice dedizione e tuttavia sempre la presuppone” Ivi, pag. 221-22.

1044 “Il prossimo non è mai un’essenza universale, ma possiede sempre un nome e cognome, ha il volto della

singolarità unica che interpellala libertà ad amare…” N. Petrovich, La voce dell'amore, cit., pag. 339.

1045“Infatti, che altro sarebbe la redenzione se non questo: che l'io apprende a dire Tu al lui ” Ivi, pag. 282. 1046 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 225-26

1047 “…colui che di volta in volta è, nell'istante stesso dell'amare, il più vicino, colui che, comunque, qualunque cosa sia stato prima di questo istante d'amore o sarà in seguito, é per me in questo istante soltanto il prossimo”. Ivi, pag. 175

1048 Il prossimo si identifica con “tutti coloro che potrebbero una volta o l'altra occupare questo posto ”:“...il

termine, sia nella lingua sacra che in greco, significa sicuramente colui che di volta in volta é, nell'istante stesso dell'amare, il più vicino, colui che, comunque, qualunque cosa sia stato prima di questo istante d'amore o sarà in seguito, é per me in questo istante soltanto il prossimo. Il prossimo quindi é solo il rappresentante, egli non viene amato per se stesso, per i suoi begli occhi, bensì soltanto perché si trova proprio qui, perché é proprio il mio prossimo. Al suo posto (…) potrebbe stare chiunque altro; il prossimo é l'altro, il plesios dei Settanta, il ple-sios allos di Omero. Come si é dunque detto il prossimo é solo un vicario; l'amore, in quanto é indirizzato a titolo di rappresentanza va verso colui che, nel fuggevole istante della sua effettiva presenza, gli é di volta in volta prossimo, é in verità indirizzato all'insieme di tutti coloro (uomini e cose) che potrebbero una volta o l'altra occupare questo posto, é indirizzato, cioé, in definitiva a tutto, al mondo ”. Ivi, pag. 225-26. Vedi N. M. Samuelson, A User's Guide to Franz Rosenzweig's Star of Redemption, Curzon Press, Richmond 1999, pag. 180-81. “Ogni mio singolo prossimo rappresenta legittimamente ai miei occhi il mondo intero ” F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 245.

1049 Ivi, pag. 223. 1050 Ivi, pag. 225.

1051 N. Petrovich, La voce dell'amore, cit., pag. 133-34. Con riferimento a E. Lévinas, Nell'ora delle nazioni: letture

prossimo, “il più vicino, colui che, comunque, qualunque cosa sia stato prima di questo

istante d'amore o sarà in seguito, è per me in questo istante soltanto il prossimo”1052

Il percorso rosenzweighiano può essere, quindi, sintetizzato con un'espressione di forte contrapposizione hegeliana dal per sé al per-l'altro, dove l'elemento di mediazione è appunto l'evento dell'amore di Dio. L'amore è il vincolo della perfezione. La dialogicità si trasforma qui in prospettiva etica di apertura ai tu nel mondo. L'uomo che si apre al prossimo

si pone al di là “della chiusura umana”1053, oltre il sé immobile e sterile, oltre il mutismo e

l'inanimazione che caratterizzavano il premondo.

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 157-161)

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