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La coscienza opaca e sorda

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 107-111)

PARTE SECONDA In cerca del Tu

8.5 La coscienza opaca e sorda

Il richiamo allo spirituale configura il recupero di una dimensione oscurata dalla modernità. Da Cartesio in poi, in effetti, la coscienza, intesa in un’accezione totalmente umana, ha smesso di essere spirito. Si è fatta autoevidente, autonoma, bastante a se stessa664, ma ha perso la

proiezione verso la trascendenza, che le riconosceva, ad esempio, Agostino. Affermandosi come prima ed inconfondibile evidenza, si è tramutata in autocoscienza, ossia in coscienza autovalidantesi, del tutto autosufficiente, quanto a giudizio. Si è imposta, quindi, come criterio di ogni certezza e valore, ma si è trasformata, contemporaneamente, in qualcosa di opaco. Soppressa, infatti, quella voce interiore, che Agostino definiva più intima della stessa intimità, la coscienza è divenuta sorda e muta. Si sono, quindi, delineati i contorni di una disperata

solitudine.

Nella coscienza Dio ha smesso di essere l’Essere sempre presente, il Tu dell'io, per derubricarsi a livello di un’idea certa, di un’essenza priva di esistenza665. Cartesio, in

particolare, lo ha assimilato all'idea di perfezione, facendone un’immagine interiore,utile sì ai

fini della costruzione del sapere, ma inutile a spiegare i conati più intimi del cuore666. Ma

662 Il rapporto dell'uomo con Dio non é qualcosa di psicologico - come ritengono gli psicologi che non credono in Dio -; la fede in Dio, questa «decisione personale» dell'uomo per la sua vita spirituale, non é faccenda del sentimento; come non lo é l'amore cristiano del prossimo, che ci fa esperire nell'uomo il vero Tu del nostro Io, ovvero Dio. F. Ebner, Frammenti pneumatologici, cit., pag. 331

663 Vedi W. Hohmann, Ferdinand Ebner. Bedenker und Ebner des Wortes in der Situation der «geistigen Wende», Die

Blaue Eule, Essen 1995, pag. 177.

664In Rousseau il richiamo della coscienza non è più, come in Sant’Agostino, segno (“testimonium”) della presenza interiore di Dio alla nostra anima, ma manifesto della nostra capacità di autodeterminazione morale: “ La sola passione naturale dell’uomo è l’amore di sé…, ed è in se stesso o in rapporto a noi, una cosa buona e utile e, siccome non ha riguardo agli altri alcun rapporto necessario con essi, è naturalmente indifferente; diventa buono o cattivo solo nelle applicazioni che se ne fanno e nelle relazioni in cui esso viene posto”. J. J. Rousseau, Emilio, in Opere, Firenze 1972.

665 Vedi R. Cartesio, Discorso sul metodo, in Opere scientifiche, a cura di E. Lojacono, Torino 1983, pagg. vol II,

144-47

666 Per Cartesio, Dio è un’idea evidente all’interno della coscienza pensante. La sua funzione viene, quindi,

funzionalizzata alla costruzione di un universo matematico, di cui Dio è il garante. Vedi: R. Cartesio, Il discorso sul metodo, in Opere scientifiche, vol II, a cura di E. Lojacono, Torino 1983, pag. 144-47. “Nella logica del cogito, ergo sum, Dio si riduceva ad un contenuto della coscienza umana; non poteva più essere considerato come Colui che spiega fino in fondo il sum umano. (…) Era rimasta soltanto l'idea di Dio, come tema di una libera elaborazione del pensiero umano” K. Wojtyla, Memoria e identità, edizioni Paoline, Milano 2005,

estirpando il desiderio di Dio dalla coscienza, Cartesio ha rinchiuso l’uomo entro i termini di un’evidenza senza luce e di una sussistenza senza relazione. Ha stabilito, infatti, la ragione autofondantesi, ma cancellato la traccia stessa dell’infinito, in quanto infinità vera non circoscrivibile in un’idea. Alla sapienza, che si alimenta di significati profondi, ha sostituito la scienza delle evidenze, al sapere del cuore la scienza dei numeri e delle funzioni matematiche, alla ricerca inesauribile il ripiegamento interiore. “Cartesio, inutile e incerto”

scriverà B. Pascal, alludendo a tutto questo667.

A livello etico, la coscienza è stata poi intesa come libertà, indipendenza e autonomia. Si è imposto l'arbitrio di una volontà che si è creduta e proclamata libera a prescindere, non bisognosa di relazione né, tanto meno, di grazia. Si è voluto proclamare che l'uomo

moralmente è misura di se stesso668 e che, in linea di principio, oltre e al di sopra della

coscienza non c’è altro669.

In questo contesto, la religione è stata pensata “come una configurazione

dell'autoformazione etica dell'uomo”670. Essa doveva rientrare “nella chiarezza dello spirito”: “Che io creda – ha scritto B. Casper - lo deve testimoniare il mio spirito”, inteso

come ragione risolutiva, esplicitantesi nel procedere matematico o scientifico671. La

religione è stata circoscritta kantianamente “entro i limiti della semplice ragione”672. Del

resto, già in Descartes Dio era stato ridotto al ruolo, per altro fondamentale nell’ingranaggio della grande costruzione razionalista del mondo, di garantire il passaggio dalla certezza dell’autocoscienza al sapere del mondo.

Ma il Dio di Cartesio non era più il Dio che parla al cuore o che ne ascolti i gemiti inespressi. Dio era sì garante del grande meccanismo dell’universo, ma non era più Dio, non era più la ragione del nostro cercare, colui che solo avrebbe potuto appagare il nostro bisogno metafisico. Quanto a questo bisogno, seppure veniva riconosciuto, non lo si riconosceva più come attinente alla ragione, ma alla fede, pensata, quest'ultima, come un ambito marginale del sapere, un conoscere minore, non avente accesso ai meccanismi che regolano l’universo. Ferma la ragione all’ambito dell'oggettivo e dell'oggetivabile, si è passati dall’infinito inesauribile come senso del mondo alla presunzione della totalità, attingibile

pag. 21.

667B. Pascal, Pensieri, a cura di P. Serini, Einaudi, Torino, 1967, pag. 21

668 Scrive Rousseau nell’Emilio: “Tutta la moralità delle nostre azioni sta nel giudizio che noi stessi ne

portiamo. Se è vero che il bene sia bene, deve esserlo nel fondo dei nostri cuori come delle nostre opere ”. J.J. Rousseau, Emilio, libro IV, in Opere, a cura di P. Rossi, cit., pag. 554-55. La coscienza, di conseguenza, è “istinto divino, voce immortale e celeste, guida sicura di un essere ignorante e limitato, ma intelligente e libero; giudice infallibile del bene e del male, che rendi l’uomo simile a Dio!” Ivi, pag. 558.

669 L’autonomia morale porta, quindi, allo sganciamento dell’etica dalla religione, come si rende evidente in Kant: “La morale, essendo fondata sul concetto dell'uomo come essere libero, il quale, appunto perché tale, sottopone se stesso, mediante la propria ragione, a leggi incondizionate, non ha bisogno né dell'idea di un altro essere superiore all'uomo per conoscere il proprio dovere, né di un altro movente oltre la legge stessa per adempierla [...] non ha quindi bisogno (sia oggettivamente, per ciò che concerne il volere, sia soggettivamente, per ciò che concerne il potere) del sostegno della religione, ma è autosufficiente grazie alla ragion pratica pura”. I. Kant, La religione nei limiti della semplice ragione, Pref. alla 1 a ed., Laterza, Roma-Bari 2004.

670 “La questione delle posizione di religione ed etica é storicamente significativa per il pensiero dialogico, nella misura in cui il neokantismo, e in esso soprattutto Hermann Cohen, aveva tentato di pensare la religione a partire da un'etica kantianamente intesa. Qui la religione appariva come una configurazione dell'autoformazione etica dell'uomo. La religione appare in Cohen come un'appendice naturale e non meno metodica dell'etica. Ma é proprio questo rapporto tra religione ed etica che il pensiero dialogico mette in questione”. B. Casper, Il pensiero dialogico, cit., pag. 326-27.

671 B. Casper, Il pensiero dialogico, cit., pag. 350-51.

tramite l’esattezza del calcolo. Pertanto, il mondo scientifico si è configurato come un mondo congelato nelle sue certezze e nelle sue rassicurazioni.

Ha fatto da sfondo a tutto questo un’antropologia radicale, che si è imperniata sulla struttura dell’autorelazione. La proclamazione dell’autarchia della coscienza si è, infatti, accompagnata alla negazione di ogni relazione con gli altri come esiziale alla propria identità. Più radicalmente si è accompagnata alla rescissione della relazione con Dio. L’uomo, senza inquietudine e con tante certezze, non ha contemplato l’oltre né all’inizio né alla

fine delle proprie scelte e dei propri pensieri673. Espunta la dimensione trascendente, la coscienza

è stata tagliata secondo la dimensione unica dell’immanenza. La memoria dell’uomo è stata, quindi, schiacciata su se stessa674. L'eclissi dello spirituale è diventato allora l'orizzonte

proprio di un pensiero non più agitato dal desiderio trascendente675.

8.6 Il Dio Tu

Nella sua ricerca di Dio Ebner muove da un punto cardine: “ Dio non é una proiezione

dell'Io umano”. Ridurre Dio all'idea umana del divino equivale a non riuscire “a comprendere il reale rapporto dell'uomo con Dio”676.

Il rapporto dell'uomo con Dio – scrive - “non é qualcosa di psicologico, non é faccenda

del sentimento”, ma attiene alla “decisione personale dell'uomo per la sua vita spirituale”677. Né l'esistenza di Dio “può essere espressa o anche affermata oggettivamente”, come se se ne potesse dire “indipendentemente dal rapporto personale con Lui che lo rende Tu”. Dio “ha un'esistenza personale oppure non esiste affatto”. Ma questo essere personale “l'uomo non può coglierlo per via speculativa bensì solo rapportandosi a lui in maniera personale (...) ovvero rendendolo il Tu del proprio Io, col che cessa eo ipso ogni speculazione e ogni riflessione teologica e metafisica carica di pensiero ”678.

L'affermazione oggettiva di Dio misconosce “la dimensione personale”679, traducendo in

terza persona quanto invece si sperimenta come Tu.

Se Dio è il Tu che sperimentiamo, che incontriamo, cui ci rivolgiamo, allora n essuna prova può valere a dimostrarne l'esistenza. Le prove oggettive, secondo Ebner, non sono solo insufficienti gnoseologicamente, ma anche superflue, perché non colgono “la reale esistenza

673 Si può dire che la struttura dell’autorelazione è essenziale alla modernità, quanto il principio della soggettività. La

soggettività è libertà, proprio perché è originariamente autorelazione, coscienza di sé, volere sé, pensare sé. Scrive J. Habermas: “Si tratta della struttura della relazione del soggetto conoscente con se stesso, che si ripiega su di sé come oggetto, per cogliersi come in un’immagine speculare…” J. Habermas, Il discorso filosofico etc., cit., pag. 19.

674 Le antropologie dell'immanenza, le antropologie dell'autosufficienza dell'umano, hanno finito per costituire

altrettante gabbie spirituali. Ha osservato, a tal proposito, B. Casper: “Tutte le antropologie che non assegnano uno spazio reale, non contingente ma strutturante al dialogo perché partono dall'immanenza, dall'esperienza e dall'essere come prodotto del pensiero, come regno di auto-estensione dell'Io, falliscono l'obiettivo dell'identificazione della realtà effettuale dell'uomo ”. B. Casper, Il pensiero dialogico, cit., pag. 14. 675 E Lévinas sottolinea che “il desiderio metafisico tende verso una cosa totalmente altra, verso l'assolutamente altro”. Tale desiderio “non è la possibilità di anticipare il. desiderabile”, di pensarlo preliminarmente. Si “va verso di

lui alla ventura, cioè come verso un'alterità assoluta, inanticipabile, come si va alla morte”. “Questa esteriorità assoluta del termine metafisica, l'irriducibilità del movimento ad un gioco interiore, ad una semplice presenza di sé a sé, è pretesa, se non dimostrata, dalla parola trascendente”. E. Lévinas, Totalità e infinito, cit., pagg. 31-33.

676 F. Ebner, Frammenti pneumatologici, cit., pag. 168 677 Ivi, pag. 331.

678 Ivi, pag. 309-10. “Poiché esiste in maniera personale, anche il suo rapporto con l'uomo é personale e

nient'altro intendiamo dire quando parliamo della grazia divina, alla quale corrisponde nell'uomo l'umile fiducia verso di essa, la fiducia dell'Io verso il «farsi prossimo del Tu»”. Ivi, pag. 163.

di Dio”. Sono formulati all'interno di quel solipsismo che imprigiona l'io e, quindi, “lontano dalle realtà della vita spirituale”680. Sottolinea il Nostro: “Il reale incontro con il Tu eterno crolla quando io voglio riportarlo in modo oggettivo a me stesso, dal momento che esso è reale solo nella misura in cui io incontro”681. La teologia e la metafisica che intendono

parlare di Dio in modo oggettivo non possono, quindi, che fallire.

Come l'uomo, al di là di ogni teoria o ideologia, è un io in cerca di un Tu, così Dio è un Tu, anzi è “la concrezione del tu”, il Tu appreso nella sua irriducibile concretezza682.

L'esistenza dell'uomo è marcata “dal fatto di essere radicalmente orientata ad un rapporto

con qualcosa di spirituale al di fuori di sé, mediante il quale e nel quale essa esiste ” e questi è

Dio683. L'uomo può anche rappresentarsi Dio, ma “la relazione dell'Io con il Tu, nella quale la

vita spirituale dell'uomo ha la propria realtà, non si trova nella sfera della vita rappresentativa”684. Fra lo spirituale e il rappresentativo-razionale c'è sfalsamento685. La rappresentazione non può cogliere la concreta dinamica relazionale, semmai “rende inautentica la vita spirituale”, perché derealizza il Tu “rendendolo una proiezione dell'Io”. Di

conseguenza, la filosofia può abbozzare “un'idea del divino”, ma non è capace di cogliere la vitalità dell'esperienza di Dio. Il suo linguaggio formale è “l'espressione interiore del nostro

essere separati e lontani da Dio”686.

All'opposto della filosofia, la fede è decisione che si prende all'interno di una relazione personale. Questa relazione è il nucleo inscindibile della vita spirituale. Perciò, “quando

l'uomo ha a che fare con Dio, non parli di Lui (...) ma a Lui; almeno nell'intimo del proprio cuore, tenendo presente che Dio lo ascolta e che un giorno chiederà conto di ogni parola inutile che é stata pronunciata (Matteo 12,36) ”687. Dio è il Tu dell'uomo, il Tu che

“si trova nell'uomo come la premessa della sua vita spirituale”688. Scrive Ebner: “Non c'era

dapprima una più o meno ineffabile rappresentazione di Dio (...) nella quale sarebbe poi stata inserita la relazione con il Tu; é stata piuttosto questa a rendere possibile, quale fatto che sta alla base della vita spirituale dell'uomo, pur nella sua oscurità, l'immagine di Dio. E solo in quanto viene intesa dall'uomo come la relazione del proprio Io, dello spirituale in lui,

680 Ivi, pag. 158 “Non sono comunque queste prove nella loro «oggettività» a spingerlo fuori dalla sua solitudine,

quanto invece la presa di coscienza circa se stesso nella «decisione personale» della fede. Se sono i matti, scrive Hamann a Jacobi, coloro che negano in cuor loro l'esistenza di Dio, allora mi sembrano ancor più folli quelli che cercano anzitutto di dimostrarla. A questa insufficienza gnoseologica e, ciò che più tocca la vita spirituale dell'uomo, a questa opinabilità di ogni prova dell'esistenza di Dio, si aggiunge anche la sua superfluità, che si rivela in un contesto oltremodo degno di nota”. Ivi, pag. 158

681 B. Casper, Il pensiero dialogico, cit., pag. 338. Come nella concezione del mondo Ebner è al limite

dell'acosmismo, così nella concezione di Dio, è al limite di un fideismo negante ogni approccio razionale: “Certamente Dio ha anche una relazione con il mondo e con quanto vi avviene. Lì però non riusciamo a comprenderlo, come non riusciamo a coglierlo nel suo essere assoluto, che non necessita per sussistere dell'esistenza dell'Io, così come viceversa questa non potrebbe sussistere senza l'esistenza di Dio ” F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 319.

682 F. Ebner, Frammenti pneumatologici, cit., pag. 320. 683 Ivi, pag. 137-38.

684 Ivi, pag. 333-34. “Il carattere personale di un'esistenza non può mai essere compreso dal pensiero e per tale

motivo la filosofia e la metafisica non sono in grado di indicare all'uomo la via verso Dio, in quanto questi é una realtà spirituale. Nessuna filosofia si é spinta oltre l'abbozzo di una idea del divino...”. Ivi, pag. 163.

685 Ciò lo apparenta a Buber quando scrive che l'idea di dio “non è altro che l'immagine delle immagini, la più

sublime delle immagini che l'uomo si fa dell'essere inimmaginabile”. M. Buber, L'eclissi di Dio. Considerazioni sul rapporto tra religione e filosofia, trad. it. Di U. Schnabel, Passigli, Firenze 2001, pag. 59.

686 F. Ebner, Frammenti pneumatologici, cit., pag. 334. 687 Ivi, pag. 312.

con Dio, può costituire il vero e retto rapporto dell'uomo con l'uomo nella sua effettiva umanità”689.

L'intimità della relazione personale ha, quindi, una priorità assoluta sulla sua estensibilità in concetti. Non è possibile parlare di Dio al di fuori dell'esperienza spirituale in cui lo si incontra, in cui ci si rivolge a lui: “Credere nel nome di Dio significa credere a Dio come all'essere

invocato, come alla «persona appellata», come appunto al Tu dell'Io che é nell'uomo; in altri termini, credere alla sua esistenza personale”690. Ad un livello esistenziale, non intellettuale né

intellettualistico, l'uomo è un cercatore di Dio”691, l'essente la cui indigenza spirituale692 può

trovare risposta solo in Dio693.

Da cristiano Ebner ha, dunque, sentito e pensato Dio non chiuso nella sua trascendenza, ma vicino e parlante alla coscienza. Il Tu sei, a fondamento dell'Io, è Dio appreso nella confidenza dei figli immessi in Cristo in una nuova relazione col Padre. N on tanto, quindi, l'Io

sono della tradizione vetero-testamentaria, quanto, appunto, il Tu della preghiera intima. “Dio – annota Ebner - é il vero tu dell'io nell'uomo: il piú grandioso documento letterario di ció lo abbiamo nelle Confessioni di Agostino”694.

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 107-111)

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