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Il silenzio tragico dell'eroe e la parola come organon della rivelazione

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 126-128)

Le realtà spirituali: la parola e l'amore 9 L'espressività dello spirituale-religioso

9.7 Il silenzio tragico dell'eroe e la parola come organon della rivelazione

Nella prima parte della Stella della redenzione Rosenzweig individua nell’afasia tragica il paradigma dell'irrelazione che caratterizza il premondo. L'eroe della tragedia attica, infatti, “non si compara” né si rapporta. “In caparbio isolamento sul suo trono”, incarna una condizione spirituale di perfetta autarchia. Non ci sono limiti dettati da timidezze o riverenze. Una “volontà caparbia” lo porta, a dispetto di tutto e tutti, a dispetto anche della sua mortalità, a volere e a volere fortissimamente. Nessuna legge, quindi, emerge o splende al di fuori della sua. “Atmosfera della sua esistenza è per lui solo se stesso” e l'intero mondo morale è alle sue spalle “non come se non ne avesse bisogno, ma nel senso che non

riconosce tali leggi come leggi per lui, bensì come meri presupposti che gli appartengono senza che egli in cambio sia tenuto ad obbedir loro”798. Egli vive nel “distacco da tutte le relazioni della vita”, bardato nel “suo superiore esser-limitato in se stesso”799.

Di tale supremo distacco è eloquente sigillo il tacere dell'eroe. Egli è muto. Simile a blocco di inerte coerenza, non parla, non dice e non esterna. Ora, alla luce della rivelazione, quel

793 Ivi, pag. 164.

794 E. Ducci, La parola nell'uomo, cit., pag. 78.

795 E’ il titolo di un famoso saggio di E. Lévinas: Umanesimo dell’altro uomo, il melangolo, Genova 1998. 796 F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 142.

797 Ivi, pag. 150-51. “Il problema della parola é il problema dell'uomo, la veritá della parola é la veritá dell'uomo ”

E. Ducci, La parola nell'uomo, cit., pag. 138.

798 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 73- 74. L’eroe pensa ed agisce unicamente in funzione

del suo ethos. “Per il `sé' il mondo dell'etica é solamente il «suo» ethos, ed al di là di ciò nulla ne é rimasto. Il `sé' non vive in un mondo morale, ha il proprio ethos. Il `sé' é meta-etico ” Ibidem.

799 Ivi, pag. 74. “Rosenzweig, quindi, distingue il sé dalla personalità: “Come già dice la parola, la

personalità è l'uomo in quanto impersona il ruolo che gli è stato attribuito dal destino, una parte accanto ad altre, una voce nella sinfonia polifonica dell'umanità”. F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 69. Questo concetto trova una corrispondenza in Ebner per cui l'uomo naturale mancherebbe di parola: “La natura lo ha portato per così dire (...) soltanto a essere un Io muto, senza parola e senza Tu e dunque anche senza autocoscienza. Questo Io muto della natura però non esiste affatto; così come non vi é in essa di fatto alcuna esistenza individuale - in quanto l'esistenza individuale viene resa reale solo tramite 1'Io - bensì soltanto il suo progetto, indefinitamente ripetitivo ed esposto all'annientamento”. F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 165.

tacere si dimostra come qualcosa di tragico, indice di una disperazione assoluta, “il marchio

della sua debolezza”800, della sua sconfinata solitudine. L'eroe - scrive Rosenzweig “spezza i ponti che lo collegano a Dio ed al mondo e si eleva dai campi piatti e uggiosi della personalità, che parlando si delimita e individualizza rispetto agli altri uomini, nella glaciale solitudine del sé” 801. Egli si leva maestoso ed irriverente “immediatamente di fronte a Dio”802,

come di fronte al mondo e alla storia803. E' un modello perfetto, ma un blocco inerte,

coerente, ma assolutamente “chiuso in sé”.

“Il sé (di cui figura è l'eroe della tragedia classica) – sottolinea Rosenzweig - non ha

relazione alcuna con i figli dell'uomo, ma sempre e soltanto con un unico uomo, con 'sé' appunto”. Di conseguenza, esso è meno di un’anima, meno di una coscienza reale804. “Anima

- scrive Rosenzweig - vuol dire uscire dalla chiusura su se stessi, ma come potrebbe il sé

uscire? Chi potrebbe chiamarlo? Egli è sordo. Chi potrebbe attrarlo fuori? Egli è cieco. Che cosa potrebbe intraprendere là fuori? Egli è muto. Vive totalmente rivolto all'interno ”805. Il sé

non costituisce un uomo vero, perché questi “parlando si delimita e individualizza rispetto agli

altri uomini”, ma il sé neppure si pone “rispetto ad altri uomini”. Lo dimostra in modo

ineccepibile il fatto che gli manca il soffio della parola originaria che dall’esterno “ squarcia

non soltanto il silenzio, bensì anche il muro della solitarietà”806.

Il muro della solitarietà viene infranto solo dalla rivelazione, che è parola che Dio rivolge all'uomo. L'uomo – scrive Rosenzweig - “puó scoprire la propria identitá e missione nel

mondo solo perché fa esperienza di essere chiamato da Dio e dentro una relazione con Lui che si dá nella storia”807. Ciò vuol dire che può conoscere se stesso solo quando si esperisce

fondato su un evento che lo investe dal di fuori, solo quando perde la pretesa di autoconoscenza apriorica a partire dalle sue capacità razionali e si apre alla rivelazione808. La rivelazione

suscita, rinnova e ridesta l’uomo a vita nuova, arricchita da una relazione propria, quella con

800 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 77.

801 Ivi, pag. 78. Il sé (di cui è immagine l'eroe) non “sa di altro fuori di sé” ed è, perciò, “semplicemente solo”

potremmo dire miseramente solo.

802 Ivi, pag. 69.

803 “Assolutamente chiuso in sé, incapace di guardare al di lá dei propri confini, il sé é l'uomo solo, nel

senso piú duro del termine: nulla ha in comune con i viventi che popolano il mondo naturale e nulla con gli uomini che hanno dato vita al mondo della storia. Il sé infatti é ben diverso dalla personalitá, realtá definibile a partire dal ruolo che l'uomo "impersona" all'interno del mondo umano e dunque sottoposta non solo alla legalitá della natura a cui comunque biologicamente appartiene, ma anche alla temporalitá storica” E. D'Antuono, Ebraismo e filosofia, cit., pag. 92.

804 E’ interessante un’annotazione fra le righe di Rosenzweig: “…all’anima nel senso che dà al termine l’antichità e

che espressamente non designa la totalità, bensì solo una parte dell’uomo, quella che non può morire”, in cui traspare come il sé, incarnato nell’eroe, manchi dei caratteri di temporalità e relazione che rendono l’uomo concreto. F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 80.

805 Ivi, pag. 83.

806 E. Baccarini, La soggettività dialogica, cit., pag. 87. “Il sé, nella sua solitudine montana, «nobilmente muta»,

nel suo distacco da tutte le relazioni della vita, nel suo superiore esser-limitato in se stesso, come ci é noto? (…) La risposta diventa facile se ci ricordiamo dove abbiamo intravisto il Dio meta-fisico, il mondo meta- logico come figure della vita. Anche l'uomo meta-etico é stato una figura viva nell'antichità, e ancora una volta innanzitutto nell'antichità veramente classica dei Greci. Proprio là dove la forza demolitrice delle personalità che é tipica della specie si é data forma senza essere limitata da forze contrastanti, nel fenomeno della polis, in quello stesso punto anche la figura del sé, che si arroga orgogliosamente tutti i diritti della specie, ha preso posto in caparbio isolamento sul suo trono; e ciò é accaduto, é vero, nelle pretese teoretiche dei sofisti che hanno voluto il sé misura delle cose, ma ancor più, con tutto il peso della visibilità, nei grandi contemporanei di quelle teorie: gli eroi della tragedia attica”. Ivi, pag. 74. Questo tratto tipico è riscontrabile “nelle pretese teoretiche dei sofisti, che hanno voluto il sé misura delle cose, ma ancor più negli eroi della tragedia attica”come ad esempio, nel «silenzioso» Antigone o nell'arcaica figura attestata nel mito di Prometeo. Ivi, pag. 81.

Dio innanzitutto. Così, “solo nell'amore di Dio dalla roccia del sé incomincia a spuntare il

fiore dell'anima”, perché questa è più del sé. Il sé è “insensibile e muto”809. E' una roccia

refrattaria, impermeabile, ma priva di vita.

L'anima è, rispetto al sé chiuso ed involuto, fiore dischiuso, cuore aperto all'amore. Ma, intanto, l'anima si dischiude, in quanto ad essa viene donata la lingua. “Infatti – osserva il filosofo in un passo estremamente denso -, la lingua è veramente il dono mattutino del

creatore all’umanità, e tuttavia, al tempo stesso, il bene comune dei figli d’uomo, di cui ciascuno partecipa nel proprio modo particolare, ed infine è il sigillo dell’umanità dell’uomo. La lingua è completamente cosa dell’inizio, l’uomo divenne uomo quando parlò…”810. Il linguaggio non è mai confinabile o concertabile in se stessi. Il linguaggio

implica un Tu iniziale. D'altra parte, non c'è nulla di più umano del linguaggio e “ l’uomo

divenne uomo quando parlò”.

Esso ha una logica paradossale, perché implica immediatamente una “fiducia, una fede.

(…) Fiducia che la parola si dará e che in essa si dará anche la veritá. Fiducia nell'Altro, senza la cui alteritá io non sono in grado di parlare. Questa fiducia in ció che eccede il mio potere (...) regge ogni parlare”811. Il linguaggio vivo è evento trascendente per antonomasia e,

perciò, rivelazione.

La Rivelazione non è, per Rosenzweig, un evento esclusivamente teologico, avvenuto nel passato ed attestato in un libro, per quanto sacro esso sia. Essa, infatti, riceve “un ancoraggio

ben concreto e tangibile, sul piano fenomenologico, nel momento in cui viene fatta coincidere totalmente e senza residui con l'evento del linguaggio umano”. “Nella concreta vita quotidiana degli uomini all'interno del mondo” è riconoscibile, esperibile, un orientamento

assoluto, “che dissolve totalmente e per sempre qualsiasi forma di prospettivismo o di

relativismo”812.

D’altra parte, è vero anche l'opposto, e cioè che l’evento biblico della rivelazione avviene nella parola. Dio parla all’uomo e lo ricrea, lo rinnova, ne fa una persona, un'anima. Dio parla e nella sua parola instaura una relazione di alleanza con l'uomo per sempre. Il linguaggio, che della rivelazione è organon, è “il filo sul quale si allinea tutto l’umano che

avanza” all’ombra del splendore miracoloso e “della sua, sempre rinnovata, attualità di esperienza vissuta”813.

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 126-128)

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