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Buber l'alternativa tra l'unico di Stirner e il singolo di Kierkegaard

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 50-53)

4. L'attraversamento della crisi: oltre il nulla universale ed astratto del nichilismo

4.2 Buber l'alternativa tra l'unico di Stirner e il singolo di Kierkegaard

Nel marcare il passaggio dalla filosofia sistematica alla filosofia dell'esistente, Rosenzweig

fa riferimento non solo al singolo di Kierkegaard, ma anche all'Unico di Stirner314. Questo è

chiamato in causa a rappresentare l'altro polo della filosofia che guarda all'uomo “ nella pura

307 S. Zucal, in F. Ebner, Frammenti pneumatologici, cit., pag. 18. 308 F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 286-87.

309 “La parola Icheinsamkeit é un'espressione cruciale in Ebner, un termine intraducibile che riesce ad evocare una molteplicitá di sfumature semantiche: insularitá dell'Io; Io a-relazionale; autoreferenzialitá dell'Io; autoisolamento dell'Io; solitarietá dell'Io; l'Io in solitudine; identitá (illusoria) dell'Io colta in solitudine (I'Io é solo ma nel contempo presume di costituirsi e fondarsi attraverso la solitudine, barricandovisi); naufragio dell'Io nella sua solitudine allorché s'accontenta di brandelli di fasulla comunicazione cui aggrapparsi, incapace ormai di raggiungere la riva dialogica; l'Io e la sua solitudine egoistico-egocentrica; trionfo dell'egoitá a scapito della "tuitá" (Duhaftigkeit); l'Io barricato nell'Io; ipseitá; gabbia della soggettivitá; arroccamento dell'Io; l'Io- chiuso-dentro un carcere; autoreclusione dell'Io nella propria disperante solitudine e solipsismo dell'Io ”. S. Zucal, in F. Ebner, Frammenti pneumatologici, cit., pag. 141, nota 1.

310 “Al genio succede spesso e al folle sempre, di parlare mancando l'uomo «reale». Essi non interpellano

direttamente il Tu concreto, lo trascurano in certa misura ed anzi a volte addirittura lo disprezzano. Si conosce da tempo la parentela tra genialità e follia, eppure non la si é mai cercata là dove essa si lascia vedere: nel fatto che il genio, non meno del folle, é preso nel «solipsismo dell'Io» dell'esistenza umana e costruisce in esso il proprio mondo”. F. Ebner, Frammenti pneumatologici, cit., pag. 179.

311 F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 151.

312“L'uomo perderebbe il linguaggio. Egli non potrebbe più comunicarsi a un altro, non potrebbe più capirsi con lui. Non potrebbe più esprimersi circa se stesso e nella sua "chiusura" non troverebbe più la parola che lo potrebbe liberare e salvare” Ivi, pag. 240-41

313 Ebner legge la devianza come derivante da un disagio spirituale la follia : “La follia non é altro che la latente

malattia spirituale dell'uomo, che é divenuta acuta seppur somaticamente modificata, malattia che si radica nell'assenza di Tu da parte del suo Io” Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 239. “Dietro la follia sta il fallimento del rapporto tra l'Io e il Tu. Il folle sprofonda nell'«abisso dell'Io» e si rovina spiritualmente per la solitudine dell'Io ” Ibidem, pag 240.

e semplice singolarità della sua essenza individuale, nel suo essere, contrassegnato da nome e cognome”315. In contrapposizione alle visioni del mondo l'Unico esprime, per Rosenzweig,

al pari del singolo kierkegaardiano, il venire alla ribalta di “ ciò che si designa come vita

personale, personalità, individualità…”316.

Fin qui Rosenzweig. Ma per ritrovare un importante riferimento all'Unico, si deve segnalare un saggio di Buber del 1934, La domanda rivolta al singolo, in cui Max Stirner figura come il dissolutore dell’assolutizzazione dell’io, ossia del soggettivismo idealistico.

Per uscire dalla soffocante oppressione dell'universale si aprono, secondo Buber, due strade e sono quelle dell'unico di Stirner e del singolo di Kierkegaard. Stirner, in contrapposizione all'idealismo ha innalzato – scrive - “l'io - non più il soggetto pensante,

neppure l'uomo, ma l'individuo che si scopre concretamente esistente come «l'unico io» - a «portatore del mondo», del «suo» mondo naturalmente”. Pertanto, l'unico stirneriano è

portatore dell'esclusività del suo esistere, del suo mondo, radicalmente separato dal resto, radicalmente unico in cui realizza una forma estrema di autogodimento, di autarchia

spirituale: “Non esiste un altro come questo unico che «consuma se stesso» nell'«auto- godimento», ma primariamente e sempre di nuovo esiste solo lui”. Detto in senso

kierkegaardiano, siamo all'estremo dello stadio estetico, laddove non esiste responsabilità né confronto.

Ma l'Unico è anche colui che consuma se stesso nell'isolamento. “Non c’è – scrive Buber - alcuna relazione essenziale all'infuori di quella con se stesso”. L'unico, nel suo

autogodimento, “basta a se stesso” e “non lascia esistere nulla di estraneo all'infuori di lui”. Le sue emozioni sono esclusivamente le sue. Non sono trasferibili né comunicabili in

qualche modo. L'orizzonte dell'esistenza si circoscrive, quindi, a lui solo. L'altro “non

esiste affatto in modo primario”317. Siamo al prototipo di quello che per Ebner è il solipsismo più estremo.

Da questa posizione, per così dire metafisica (qualcosa di simile ed in insieme di opposto all'Io autoponentesi fichtiano) consegue un'etica che è autonomistica in senso anarchico. La libertà, che l'Unico proclama per sé, vi si rivela essere la traduzione etica dell'isolamento esistenziale. E' la solitudine eretta a valore. L’unico è “ fondamentalmente

libero”, “perché non riconosce nient'altro che se stesso”. In altri termini, il suo libero

volere ha come costo la rescissione di ogni rapporto, il nichilismo della relazione. Ne deriva una morale senza norme e senza doveri. Il solo precetto morale è agire liberamente. La libertà è sganciata da ogni valore che non sia se stessa. Non ci sono altri oltre le istanze del mio volere, della mia verità, di ciò che sono, per quel che sono. La libertà è dell'Unico è unica, sola e senza referenti.

314“Finora tutto l'interesse della filosofia si era incentrato sul Tutto conoscibile; anche l'uomo aveva potuto

essere oggetto della filosofia solo nel suo rapporto con questo Tutto. Ora a questo mondo conoscibile se ne contrapponeva un altro, indipendente: l'uomo vivo; al Tutto si contrapponeva l'uno che si beffa di ogni totalità ed universalità, l'«Unico e la sua proprietà»” F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 9.

315 Ivi, pag. 10. 316 Ivi, pag. 11.

317 “Max Stirner scrisse il suo libro sull'«unico». Anche questo é un concetto estremo come quello del

«singolo», ma preso dall'altra estremità. Stirner, un nominalista patetico e uno smascheratore di idee, volle dissolvere i presunti resti dell'idealismo tedesco (…) innalzando l'io - non più il soggetto pensante, neppure l'uomo, ma l'individuo che si scopre concretamente esistente come «l'unico io» - a «portatore del mondo», del «suo» mondo naturalmente”. Per Buber, Kierkegaard avrebbe avuto il merito di formulare il concetto di singolo, in cui si darebbe una relazione, anche se solo in senso verticale, col trascendente. M. Buber, La domanda rivolta al singolo, in Il principio dialogico etc., cit., pag. 230.

Stirner esprime, in definitiva, un assolutismo del libertinaggio, esaltando l'individuo, al di là di ogni responsabilità e verità, perché anche quest'ultima soggiace all'arbitrio dell'Unico. Non c'è verità che non sia la sua, inassociabile ed incomparabile.

Come contropolo dell'Unico Buber indica poi il singolo di Kierkegaard.

Esattamente come l'Unico, il singolo “non indica il soggetto, nemmeno «l'uomo», ma la

singolarità concreta”. Tuttavia – aggiunge -, il singolo non è “l'individuo che incontra se stesso, ma la persona che trova se stessa”. C'è una profonda differenza, perché il trovare se stessi è “distante dallo stirneriano «valorizza te stesso»”, senza per questo essere vicino al

«conosci te stesso» socratico. Il valorizza te stesso e il conosci te stesso, infatti, si inscrivono nella staticità della coscienza che conferma se stessa, all'ombra dell'identità di un essere immobile che coincide con il pensato. Il trovare se stessi, invece, sottintende “un

divenire, e precisamente un divenire entro tutta la gravità della serietà resa possibile, almeno per l'Occidente, solo dal cristianesimo”318.

Si nota qui, come in Ebner ed in Rosenzweig, l'apparentamento del nichilismo unicista di Stirner alla tradizione ontologica del pensiero occidentale. L'Unico è figlio della stessa ontologia essenzialista ed identitaria. Si inscrive, cioè, nell'ottica di un essere assimilato al pensato, al concetto, sostanzialmente fermo ed immobile.

Inoltre, fra l'Unico e il singolo c'è la distanza che separa l' individuo dalla persona. L'individuo esiste in modo primario, per se stesso e limitatamente a se stesso, la persona no.

Il discrimine è individuabile, secondo Buber, nel fatto che il singolo di Kierkegaard non esiste, come l'unico stirneriano, in modo primario. Se esiste, esiste per Dio, ossia per

corrispondere a Dio. Questo comporta che egli non è solo, ma è solo davanti a Dio. “In quanto singolo l'uomo (ogni uomo) é solo, solo sulla faccia della terra, solo di fronte a Dio”. Il suo corrispondere a Dio non indica, quindi, moralismo o religiosità intesa come

culto o devozione, ma “ogni reale rapporto umano con Dio”. In altri termini, non si tratta, dello stato d'animo, “ma dell'esistenza, in quel senso forte per cui essa, proprio mentre

porta a compimento la personalità, supera i limiti propri dell'essere della persona ”.

L'esistenza si pone in senso altro rispetto all'essere o all'essenza. Investe una dimensione sovraessenziale in cui la persona si ritrova in una dinamica dialogica e relazionale, che attiene alla sfera morale solo secondariamente, perché primariamente attiene alla sfera ontologica. “Non si può dire tu pienamente e realmente – precisa Buber-, cioé rivolgersi a

Dio, se prima non si é potuto pienamente e realmente dire io, cioé trovando se stessi”319.

Per tutti questi motivi il singolo di Kierkegaard non solo si si oppone all'Unico di Stirner,

ma ne rappresenta l'alternativa più radicale320: l'Unico è infinitamente libero, il singolo è

infinitamente responsabile. La responsabilità “presuppone uno che mi appella

primariamente, da una regione indipendente da me, al quale io debbo rendere conto”. Ora,

– osserva Buber - “dove nessun appello primario mi può toccare, perché tutto è «mia

proprietà», la responsabilità è diventata un'ombra”. In Stirner non c'è responsabilità nella 318 Ivi, pag. 231.

319 Ivi, pag. 232. Pertanto, conclude Buber: “Il «solo» di Kierkegaard non é più socratico, é abramitico (…), é

cristiano”.

320 Ivi, pag. 233. Buber si oppone ad ogni mistica, che lascia sì l'uomo solo di fronte a Dio, ma a costo di annullarlo come singolo, a costo di dissolverlo. Il rapporto con Dio che la mistica concepisce “ é infatti il «sottrarre sviluppo all'io», e il singolo non esiste più se non può più - sia pure nella dedizione - dire io. La mistica, come non consente a Dio di assumere la forma servile di una persona che parla e agisce, di un creatore e di un rivelatore, né gli permette di percorrere attraverso i tempi il cammino della passione, come compagno della storia che condivide ogni sorte, così impedisce all'uomo in quanto singolo, e che singolo vuole restare, di pregare davvero, di servire davvero, di vivere davvero, come può fare solo uno che si pone come io di fronte a un tu”. Ivi, pag. 232-33.

misura in cui non c'è appello, interpellazione, relazione. Dove si dissolve la responsabilità,

“contemporaneamente, si dissolve il carattere reciproco della vita”321 - ne conclude.

L'irresponsabilità dell'Unico rappresenta, per Buber, la formulazione più coerente della “degenerazione della responsabilità e della verità”, ed è proprio questa degenerazione che origina l’intolleranza (La domanda rivolta al singolo è del 1936, quando il nazismo è al potere da tre anni). In Stirner sarebbero, quindi, già poste le premesse dell'ideologia violenta che non ammette difformità dal proprio. L’è vero ciò che è mio dell’Unico stirneriano sarebbe, in altri termini, premessa dell’è vero ciò che è nostro, in nome del quale

le ideologie di massa arrivano a giustificare la violenza verso il diverso322.

In tal caso, ideologia e nichilismo mostrano di essere due risvolti di una stessa posizione teorica che non sa né vuole sapere le ragioni dell’altro.

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 50-53)

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