• Non ci sono risultati.

La verità del linguaggio: grammatica anzichè logica

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 120-122)

Le realtà spirituali: la parola e l'amore 9 L'espressività dello spirituale-religioso

9.4 La verità del linguaggio: grammatica anzichè logica

Il linguaggio, secondo Ebner, non è strumento di cui la ragione si serva, bensì è la ragione stessa dell'uomo nella sua matrice originaria. Pretendere di sciogliere il legame ragione- linguaggio equivale a prosciugare la ragione nelle sue fonti originarie. La lingua è la “madre

della ragione”749 e “senza linguaggio non avremmo ragione”750 - afferma Ebner, seguendo

Hamann. Concetti simili esprime M. Buber in un saggio di qualche anno successivo (Dialogo): “La nascita del pensiero non si compie nel soliloquio (…). Non hanno carattere

monologico né il discernimento delle relazioni fondamentali, con cui inizia il pensiero conoscente, né la comprensione, la limitazione e lo sviluppo di tale discernimento, né la sua trasformazione nella forma autonoma del concetto, né l’assunzione di questa forma (…) in un ordine concettuale; infine (…) neppure la connotazione e convenzione linguistica”751.

La ragione non è una matematica di concetti o di idee. Ciò che la muove non è il bisogno di comprensione asettica, ma il bisogno di esprimere. “La ragione si trova – afferma Ebner -

nell'esigenza che i pensieri hanno di divenire parola e nell'insopprimibile desiderio dell'uomo di esprimere in parole una conoscenza formulata matematicamente ”. Tale desiderio, contrastato e frustrato altrove, può espletarsi nella parola che porta a espressione la dinamica relazionale: “Nel divenir parola dei pensieri, però, l'Io cerca - nel suo «Io-solipsismo» - il suo Tu. La ragione cerca la parola, cioé la propria origine, perché essa é stata creata dalla parola”752.

Nella parola l'io e il tu non sono meri pronomi, ma esprimono “l'esserci immediato della

persona stessa”753. Confinato nel suo limite interiore, il pensare è un parlare immaginario,

perché l'interlocutore, posto dal soggetto, non ha volto, né nome. "Riferendo tutto a me

stesso penso, ma non parlo. Per parlare bisogna partire da un altro presupposto: non dall'Io sono, ma dal tu sei"754. Il parlare svela immediatamente ed in atto che l'esistere

dell'io si fonda nel porsi-in-relazione con il Tu. L'io non resta chiuso nella sua immanenza, quindi, ma si proietta oltre se stesso e oltre la propria solitudine. Perciò, da ultimo, il

747 E. Ducci, La parola nell'uomo, cit., pag. 127. 748 F. Ebner, Schriften, cit., vol. II, pag. 241.

749 F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 177. 750 Ivi, pag. 186.

751 M. Buber, Dialogo, in Il pensiero dialogico e altri saggi, cit., pag. 212.

752 F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 281-82. La ragione va considerata, quindi, come “il

riverbero che «riflette» la «luce della parola» e non tanto come la facoltà di formare concetti, idee o formule”. Vedi S. Zucal, Il miracolo della parola, in F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 61-62.

753 E. Ducci, La parola nell'uomo, cit., pag. 175.

linguaggio è “qualcosa di «trascendente», di «soprannaturale», una faccenda della vita

spirituale”755.

Misconoscendo il significato rivelativo della parola, il suo essere finestra aperta sulla trascendenza, l'intelletto non comprende il mistero della vita e non comprende più se stesso: “L'intelletto non comprende, per quanto esso possa di fatto comprendere, il «mistero della vita»

- che si rivela nella parola, nella quale é la vita - e lascia che l'uomo affidatosi alla sua guida, viva dimentico di tale mistero. Ritiene infatti che non vi sia alcun mistero e afferma con ciò di non capire se stesso. Perché se si capisse, vedrebbe i propri limiti, la propria incapacità e limitatezza; e allora dovrebbe ammettere il mistero, ciò che sarebbe proprio suo compito”756.

L'intelletto opera, conseguentemente, “solo con «parole morte»”. Le parole morte sono le formule matematiche, le regole, i principi astratti, le ideologie, che sospingono in direzione

dell'inumano757, mostrandosi incapaci di portare ad espressione, come invece fa la parola viva, “la

relazione di ciò che esiste come essere personale”758.

Similmente ad Ebner, Rosenzweig riconosce al linguaggio la capacità di raccordarsi alla vita. Il linguaggio è in grado – scrive – di “esperire il miracolo, che ci si dischiude nella creazione”. La creazione parla nel linguaggio e attraverso esso. Se c'è, quindi, una possibilità di

anticipazione filosofica della fede, essa è il linguaggio, “libro che il tempo deve soltanto sfogliare per leggere dalle sue pagine la parola della rivelazione”759. Il linguaggio figura, quindi, come

una sorta di rivelazione naturale e vitale, donata all'uomo da Dio in modo del tutto speciale. Il mondo che antecede il mondo è il pre-mondo perenne, che come non conosce svolgimento e storia, così non conosce il linguaggio. “Quando noi guardavamo gli elementi del Tutto nel loro

muto emergere dai segreti fondamenti del nulla – scrive Rosenzweig -, avevamo reso parlante il loro mutismo prestando loro un linguaggio, linguaggio che poteva essere il loro perché linguaggio non é”. Le parole del pre-mondo erano elementari, come lo sono gli elementi matematici o i simboli della logica, che è “linguaggio antecedente al linguaggio”. Questi

indicano la “possibilità puramente ideale di un intendere”, ma ad essi manca l'udibilità, che è invece l'ingrediente che rende viva la lingua, e cioè comunicativa, immediatamente trascendente silenzi e chiusure. “La lingua reale – scrive Rosenzweig - é la lingua del mondo della superficie

della terra”, laddove “queste parole inudibili divengono udibili come parole reali”, ed emergono

in superficie. Il “linguaggio della logica é la profezia di una lingua reale della grammatica” e, come tale, la anticipa, ma non è realmente lingua. “Il pensiero è muto” e “il pensare non é

parlare, cioè non é un reale parlare, magari «a bassa voce», bensì un parlare che precede il parlare”.

Si dà, quindi, una differenza sostanziale. Essa sta nel fatto che “ciò che nel pensiero era muto

diviene sonoro nel parlare” e ciò che “nelle parole originarie della logica” è solo adombrato si

adempie “nelle leggi palesi delle parole reali, nelle forme della grammatica”. I muti elementi

del pre-mondo (il Dio metafisico, il mondo metalogico e l'uomo metaetico), che della logica

755 F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 150. Il passo contiene una citazione di Hamann. Subito dopo

Ebner precisa: “Ma questo non l'ho capito leggendo Hamann. Piuttosto ho capito Hamann soltanto dopo che tutto questo mi era diventato chiaro”. Vedi Schriften, cit., vol. II, pag. 911.

756 F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 187-88.

757 “Il conoscere filosofico si allontana invece sempre più dalla parola e diviene in tal modo inumano”. Ivi, pag. 367.

758 Ivi, pag. 280. In alternativa si pone “la ragione, che vive nella parola come l'occhio nella luce e l'orecchio nel

rumore e nel suono, ha a che fare con la «parola viva»; l'intelletto invece, che anche gli animali possiedono e che spesso hanno anche i folli che sono divenuti «irragionevoli», ha a che fare solo con «parole morte»”. Ivi, pag. 216-17. La ragione mantiene saldamente il legame con il linguaggio. L'intelletto, che nelle parole “vede solo vocaboli”, “tende sempre a operare con la parola come con una formula matematica” Ibidem.

759 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 111. Solo il linguaggio “ci rivela, a partire dal punto singolo del miracolo da noi stessi esperito, l'intero percorso orbitale del miracolo creduto ” Ivi, pag. 155.

rappresentano le acquisizioni ultime, rompono, quindi, il loro isolamento ed entrano in

relazione mutua nella lingua, dove si riflette il miracolo della vita che si rinnova760.

Per tutti questi motivi, “in luogo di una scienza di segni muti, deve farsi avanti una

scienza di suoni vivi, in luogo di una scienza matematica deve venire la dottrina delle forme della parola: la grammatica”761. Il nuovo pensiero deve, di conseguenza, confidare e

affidarsi alla parola. La logica si arresta al concetto, determina e separa. La lingua è invece

“realtà viva e fluente”762, ovviamente comprensibile, che germoglia “alla luce della vita di

superficie; ed in questa luce sboccia in molteplicità colorata, come una pianta nata in mezzo a tutta la vita che cresce, di cui essa si nutre come quella di lei, ma anche differente da tutta questa vita proprio perché non si muove libera a suo arbitrio sulla superficie, bensì affonda radici negli oscuri fondamenti che giacciono sotto la vita”763. Ad essa, perciò, è dato ciò che è

invece precluso alla logica, e cioè di sciogliere l'enigma del mondo7 6 4, di rivelare quanto è

riposto, di portare in superficie ciò che giace nel profondo.

In tal modo, la lingua come la religione, viene ad essere chiave ermeneutica per “decifrare la

complessa trama relazionale che fonda, sorregge e sostanzia da cima a fondo l'intero universo dell'esistenza piú concreta e immediata”765. La relazionalità che in essa si esprime ne manifesta,

quindi, il significato ontologico in un senso che è distante da ogni essenzialismo statico ed astratto. Nello stesso tempo, dimostra come l'uomo sia strutturalmente proiettato oltre l'immanenza, oltre se stesso e le proprie preclusioni mentali.

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 120-122)

Outline

Documenti correlati