• Non ci sono risultati.

I risvolti antropologic

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 73-75)

PARTE SECONDA In cerca del Tu

5.5 I risvolti antropologic

Nei risvolti strettamente antropologici, la posizione cartesiana appare improntata ad una visione dell’uomo prevalentemente inteso come ego (io-anima). Individuata la coscienza come certezza autovalidantesi, Cartesio la trasforma in autocoscienza, caratterizzata dalla relazione con sé (auto), anziché dall'apertura verso il trascendente. La sussistenza dell’Io fa, quindi, tutt’uno con l’autonomia morale e con l’autosufficienza teoretica, escludendo di principio ogni relazione col mondo, in quanto non sostanziale e accessoria.

Su questa base si stabilisce un modello etico-antropologico. Esso ci prospetta che

“l’uomo è, primariamente, un sé”, “che si vuole e si comprende da sé”458, per dirla con

Lévinas. Contestualmente, la coscienza si stabilisce monologicamente, fondandosi

“sull'essenziale sufficienza del Medesimo, sulla sua identificazione, di ipseità, sul suo egoismo” e la filosofia diviene “un'egologia”459.

Inoltre, laddove il pensiero è costituzionalmente legato al corpo, permeato di emotività, e riflette la fisionomia di una determinata cultura e di una determinata epoca, Descartes postula che l’uomo è ragione disincarnata. E’ un’individualità che è una mente senza corpo, un pensiero senza età, un’astratta configurazione razionale priva di debolezze e di affettività. Si delinea, in tal modo, un soggetto umano senza volto, che non “ conosce il patire” né vive i drammi e le fragilità dell’esistere.

Privato del suo strutturale rapporto con il mondo, l’uomo, proprio nella sua intimità, si vede, quindi, separato dalla sua stessa natura fisica. Una cesura netta lo allontana, in quanto essere pensante, dal suo corpo. La coscienza, conseguentemente, si trasfigura in qualcosa

che è fuori da ogni esperienza e da ogni legame, qualcosa di assolutamente generale460, e

questo si evidenzia, in particolare, negli sviluppi ulteriori del trascendentalismo kantiano. Kant, infatti, definisce la personalità come “l’indipendenza dal meccanismo di tutta la

natura”. Determinando la coscienza essenzialmente come autonoma, scrive che l’uomo “ è

una destinazione passiva e va verso una destinazione attiva. Qui l'uomo non interviene più, eppure non lascia che le cose semplicemente accadano. Presta orecchio a ciò che avviene da sé, al cammino dell'essere nel mondo, non per esserne portato, ma per realizzare l'essere - che ha bisogno di lui - come vuole essere realizzato, cioè con lo spirito e l'azione dell'uomo, con la sua vita e con la sua morte. L'uomo crede, dicevo, ma con ciò si intende: l'uomo incontra”. M. Buber, Io e Tu, cit., pag. 101.

455 Vedi F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 381. 456 E. Ducci, La parola nell'uomo, cit., pag. 180.

457 E. Lévinas, Totalità e Infinito, cit. pag. 87.

458 Ivi, pag. 120. 459 Ivi, pag. 42.

460 Si tratta di “cogliere l'individuo non nella sua individualità, ma nella sua generalità (la sola di cui ci sia scienza)”. E. Lévinas, Totalità e infinito, cit., pag. 42. Vedi pure Ivi, pag. 70. Cartesio prima separa la dimensione corporale ed esteriore dell’uomo da quella interiore e poi vede nella sola dimensione interiore quella propriamente umana.

soggetto alla sua propria personalità, in quanto appartiene al mondo intelligibile ”461. La

personalità è, dunque, essenzialmente interiorità e l’interiorità esclude ciò che è esteriore,

ciò che apparenta l’uomo al mondo naturale462.

Il soggetto trascendentale kantiano (l’io penso) è, perciò, qualcosa di mostruoso e di impersonale, che prescindendo dalla corporeità, non ha carattere ed è privo di memoria. Non ha inquietudini né incertezze, non ha inclinazioni e non custodisce ricordi. E’ una coscienza

adulta che non ha conosciuto mai la minore età, le sue fantasie e i suoi capricci. E’ una

ragione che si è fatta distante dai ritmi e dai cicli della natura. E’ qualcosa senza crescita e senza maturazione.

Pertanto, l’effimero, il limite e la morte, i caratteri cioè più segnatamente temporali, sono cancellati dalla sfera della soggettività. Contestualmente, l’uomo è sempre più pensato come sussistenza e sempre meno come relazione. Se, infatti, l'uomo è indipendenza, allora non è un essere bisognoso di ed ontologicamente dipendente. Nel suo nucleo più intimo, la coscienza, l'uomo è autorelazione ed autoriferimento. Non solo, dunque, è capace di fare da sé e di bastare a sé, ma è anche capace di un'assoluta autonomia nei confronti del mondo e dell’ulteriorità.

La ragione moderna progressivamente, quindi, disancora l'essenza ontologica dell'uomo dalla finitezza. Svanisce ogni sentimento di dipendenza e, con esso, ogni bisogno di relazione trascendente. L’uomo non è un essere di bisogno, ma basta a se stesso. L'uomo è non solo autosufficiente sul piano della spiegazione del senso delle cose, ma anche autonomo sul piano della decisione: può dire “io posso” esattamente come può dire “io penso” 463. Le due

affermazioni sono come due facce di un'unica moneta. Lo dimostra, in particolare, l’autoposizione fichtiana dell’Io, che rappresenta, in particolare per Ebner, il punto estremo

di questa posizione metafisica ed antropologica464.

Nel processo che porta al trascendentalismo della coscienza, dell’individualità concreta e personale non c’è, alla fine più traccia. La soggettività diventa pensiero puro ed universale, il cui essere stesso consiste nel rinunciare alla singolarità465. Il trascendentalismo della

coscienza prescinde dall'esistenza, e Kierkegaard evidenzierà questo punto466. Il sapere non

461 A proposito della legge morale (il dovere), separando nettamente la legge morale, che ha a che fare con la

coscienza autonoma, dalle inclinazioni, che sono parte della sensibilità, Kant si chiede: “qual è l’origine degna di te, e dove si trova la radice del tuo nobile linguaggio, che ricusa fieramente ogni parentela con le inclinazioni?”. Tale separazione viene rimarcata nella risposta: “Non può essere niente di meno di quel che innalza l’uomo sopra se stesso (come parte del mondo sensibile), ciò che lo lega a un ordine delle cose che soltanto l’intelletto può pensare, e che soltanto l’intelletto può pensare, e che contemporaneamente ha sotto di sé tutto il mondo sensibile e, con esso, l’esistenza empiricamente determinabile dell’uomo nel tempo…”. I Kant, Critica della ragion pratica, cit., pag. 106- 07.

462 “Non è dunque da meravigliarsi se l’uomo, come appartenenti a due mondi, non debba considerare la sua

propria essenza, in relazione alla sua seconda e suprema determinazione, altrimenti che con venerazione, e le leggi di questa determinazione col più grande rispetto”. I. Kant, Critica della ragion pratica, cit., pag. 107.

463 “L'uomo, finalmente, può celebrare il trionfo della sua piena immanenza, dopo aver incenerito la Trascendenza di Dio. La libertà si afferma come volontà di potenza, come prepotenza. L'arbitrio irrazionale diventa sopruso. Ed è perciò anche il luogo di un potere illimitato. Io posso corrisponde a io penso”. E. Lévinas, Totalità e infinito, cit., pag. 103.

464 La posizione fichtiana dell’io autoponentesi si giustifica sul piano pratico come affermazione di libertà. Si veda J. G. Fichte, La dottrina della scienza, a cura di A. Tilgher, revisione di F. Costa, Laterza, Roma-Bari 1971, pagg. 73- 77.

465 “…bensì è vero che l’Io non prenderebbe mai coscienza di sé attraverso le sue determinazioni empiriche le quali

di necessità presuppongono qualcosa fuori dall’Io. Anche il corpo dell’uomo è qualcosa di esterno all’Io”. J. G. Fichte, La missione del dotto, a cura di N. Cappelletti, Le Monnier, Firenze 1969, pag. 6.

466 “A che serve spiegare come la verità eterna è da intendere eternamente, quando colui che deve usare la spiegazione è impedito dal comprenderla a quel modo, per il fatto ch’egli è esistente (…) quando la spiegazione di cui ha bisogno è come la verità eterna sia da intendere nella determinazione del tempo da parte di colui il quale, nell’esistere, è anch’egli nel tempo?” S. Kierkegaard, Briciole di filosofia e Postilla

ha nulla di personale ed intimo. Non confessa e non ricorda. Non ha alle spalle un vissuto né è sostanziato dalle esperienze che fanno dell’uomo un essere vivente e lo collegano al grande ciclo della vita: nascita, morte, riproduzione, sessualità, etc..

6 In cerca di Te

Il pensiero moderno ha posto l'io a fondamento sia del sapere teorico sia del sapere pratico, ma, contestualmente, l'io è andato perdendo i caratteri concreti legati alla prima persona ed è stato pensato come assoluto ed impersonale. Non a caso, lo si è riferito in terza persona. Ne è scaturito come estrema conseguenza l'esclusivismo della ragione, che si è imposto tanto nei sistemi idealistici, in cui il particolare è stato riassorbito nell'universale, quanto nel determinismo di stampo oggettivista delle scienze467.

A fronte di questo Ebner afferma che l'io è solo un derivato. Lo rivela l'indigenza spirituale che la stessa proposizione originaria Io sono evidenzia. Infatti, essa non significa l'affermazione autarchica dell'io, ma il suo bisogno di relazione. L'io, in altri termini, si pone solo in relazione al Tu ed in relazione al Tu acquista coscienza di sé. Non solo: l'io è originariamente un tu che solo secondariamente riesce a dire di sé io. Il Tu, l'assente della modernità, diventa, quindi, centrale nella determinazione dell'io.

Se, poi, volgiamo l'attenzione a Rosenzweig, scopriamo che se una possibilità c'è di uscire dalla sospesa immobilità del premondo (di cui l'autore ha trattato nella prima parte della Stella), questa sta nel guardare ad esso come ad una creatura. Il mondo appreso come creaturale si rivela come in condizione di bisogno, ontologicamente indigente, ma, al contempo, come stabilito in una relazione inscindibile con Dio, non più pensato come alteramente distaccato e lontano.

Quanto all’uomo, egli è naturalmente chiamato alla relazione e nella relazione costituisce il proprio essere468.

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 73-75)

Outline

Documenti correlati