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Rosenzweig: il religioso come ponte fra soggettivo ed oggettivo

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 101-103)

PARTE SECONDA In cerca del Tu

8.2 Rosenzweig: il religioso come ponte fra soggettivo ed oggettivo

Anche il nuovo pensiero di Rosenzweig si configura in senso religioso e si determina come

nuovo, in contrapposizione al pensiero che ha prodotto l'idealismo e il nichilismo . Rosenzweig

si distanzia, quindi, da ogni forma di relativismo o pensiero debole, perché egli articola la proposta di una veritá forte. In nome di questa il suo «nuovo pensiero» osa, quindi, proporre una via d'uscita religiosamente atteggiata alla crisi della modernitá.

Il punto decisivo è, per Rosenzweig, che il nichilismo ha rotto i ponti fra soggettivo e oggettivo, pervenendo alla determinazione di una soggettività confinata in una cieca e sorda

ipseità629. L’azzeramento di ogni obiettività ha comportato, quindi, l’omologazione di ogni

625 A. K. Wucherer-Huldenfeld, Il pensiero fondamentale di Ferdinand Ebner, cit. pag. 21. 626 F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 156.

627 Ivi, pag. 306. E' singolare che in quegli stessi anni anche il poeta italiano Ungaretti scrivesse un verso che ha un

significato del tutto simile: “Chiuso fra cose mortali (anche il gran cielo stellato finirà) perché bramo Dio?” G. Ungaretti, Il porto sepolto, il Saggiatore, Milano 1981, pag. 97.

628 F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 233.

629 “Dove si trova il ponte che collega la soggettività più estrema, si potrebbe dire la ipseità cieca e sorda, con la

discorso al relativo, ed, in particolare, la riduzione della filosofia al punto di vista. Ma a fronte di questo Rosenzweig solleva quella stessa domanda che fu posta già a Nietzsche: “ questo è

ancora scienza?”630, come a dire che, in tal modo, la filosofia deroga al suo compito specifico e

si uniforma all'opinione. Il pensatore ribadisce, quindi, il ruolo proprio della filosofia che deve – scrive - “tenere saldamente la sua nuova posizione di partenza, il sé soggettivo,

estremamente personale, anzi ancor più, incomparabile, immerso in se stesso, ed inoltre il punto di vista di questo sé, e tuttavia deve raggiungere l'obiettività che é propria della scienza”. Procede, infine, con il porre un'altra domanda: “Dove si trova il ponte che collega la soggettività più estrema, si potrebbe dire la ipseità cieca e sorda, con la chiarezza luminosa dell'obiettività infìnita?”631.

Il ponte indica il raccordo con la fattualità miracolosa, che sopravanza categorie e concetti. Manifesta l'esigenza di uscire dall'isolamento per approdare alla vita. Mentre, infatti, la filosofia è ferma ai concetti, la vita getta quei ponti che il pensiero non sa trovare. Osserva Rosenzweig: “Alla domanda circa l'essenza é dato rispondere soltanto con una simile

esibizione di momenti contraddittori, cioè non si può rispondere affatto. Ma la vita vivente non pone la questione dell'essenza. Vive. E mentre vive risponde da sé a tutte le domande ancor prima di poterle porre”632. Pertanto, “la filosofia deve prendere in considerazione ciò che è vitale, reale, concreto, storico”633, liberandosi dei concetti e immergendosi nella fattualità

dell'esistenza, che “libera il filosofare dall’idea”634. Ma il ponte indica altresì la direzione, il

senso, che il soggetto deve ritrovare nel marasma del negativo.

Il fatto è, per Rosenzweig, che la ragione è approdata ad un punto, in cui i ponti comunicativi fra il soggettivo e l'oggettivo, fra il mondo interiore con i suoi desideri metafisici e la vita, sono sembrati interrotti (il nichilismo). Di conseguenza, il senso è venuto meno ed è subentrato il disorientamento. Ora, tale situazione si prospetta per l'autore della Stella come dischiudente una nuova opportunità, quella di liberare spazio per la fede. Il nulla, in tal caso, può addirittura servire all'uomo, per riconoscere la sua vocazione propria. Scrive Rosenzweig: “perché il contenuto della fede divenga ovvio, é necessario che quanto é, in apparenza, ovvio

per il sapere sia bollato come assurdo”. Pertanto, solo dopo che “il sapere non ebbe lasciato più nulla di semplice e di chiaro”, “la fede può prendere sotto la sua protezione ciò che é semplice, rigettato dal sapere, e così divenire a sua volta in tutto e per tutto semplice ”. La

fede, che tertullianamente ha come presupposto l'absurdum635, e cioè il fallimento della

ragione, assume, quindi, ciò che il sapere aveva rigettato, e cioè il semplice.

Il semplice è la vita che trova corrispondenze laddove la ragione fissa concetti. La filosofia si ferma ai concetti e lascia inesplorate le vie sotterranee dell'essere. La religione coincide invece con le pulsazioni della vita, con le mutue relazioni che legano fra loro gli elementi fondamentali dell'essere. Al tempo stesso, si dimostra capace di una radicazione nel linguaggio, sconosciuta al pensiero logico. Scrive Rosenzweig: “é il concetto di rivelazione della teologia

a gettare quel ponte tra l'estremamente soggettivo e l'estremamente oggettivo. L'uomo, come colui che accoglie la rivelazione, come colui che esperisce il contenuto della fede, porta in sé l'uno e l'altro”636.

modo diverso di porre la stessa problematica che pone Ebner, il cui nocciolo sta nell'interpretazione del nichilismo come forma estrema e conseguente di solipsismo. I caratteri dell'ipseità nichilista sono la cecità e la sordità, entrambe rimandanti all'impossibilità di superare l'isolamento del punto di vista individuale.

630 Ivi, pag. 107. 631 Ivi, pag. 108. 632 Ivi, pag. 317.

633 N. Petrovich, La voce dell’amore, cit., pag. 62. 634 Vedi F. Rosenzweig, Il nuovo pensiero, cit., pag. 266. 635 F. Rosenzweig, La Stella della redenzione, cit., pag.63. 636 Ivi, pag. 108.

Ciò indica immediatamente che la rivelazione non è confinata, per il Nostro, nella nicchia del religioso, ma “coincide con l'universo della piú comune e concreta e quotidiana esperienza

dell'uomo all'interno del mondo”. Essa è, quindi, intesa come “una chiave ermeneutica assolutamente privilegiata per decifrare la complessa trama relazionale che fonda, sorregge e sostanzia da cima a fondo l'intero universo dell'esistenza piú concreta, piú immediata (...) - dell'uomo all'interno del mondo”637. La rivelazione orienta l’uomo sottraendolo alla “nebbia dei forse”638, ai dubbi e all’ipoteticità.

La filosofia ne prende atto e, lei stessa, allo stadio in cui si trova, esige che i teologi

filosofeggino639. Così, nel franare di tutte le sicurezze moderne, mentre il mondo brucia con la

guerra, "é il concetto di rivelazione della teologia a gettare quel ponte tra l'estremamente

soggettivo e l'estremamente oggettivo"640, che la filosofia non aveva saputo gettare. E' la

religione ad offrire quell'uscita dalla solitudine e dall'incomunicabilità che sembrano diventati caratteristici della condizione stessa del vivere.

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 101-103)

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