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Essere io per divenire Tu

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 87-89)

PARTE SECONDA In cerca del Tu

6.5 Essere io per divenire Tu

In contrapposizione all'ideale moderno di autonomia teoretica ed etica del soggetto, la coscienza è, per Ebner, essenzialmente eteronoma. L'uomo è radicalmente orientato verso il Tu. Ne ha un bisogno profondo, che si manifesta, prioritariamente, nella nostalgia che porta dentro di sé. D'ora in avanti, quindi, non sarà più possibile pensarlo nei termini dell'ego- centralità, limitarlo a se stesso, rinchiuderlo nella prigionia del proprio Io-solispismo.

“Non è “l'esistenza del Tu ad avere come pre-supposto quella dell'Io, bensì viceversa ”545.

Il Tu costituisce la premessa della “presa di coscienza etica dell'uomo circa se

stesso…”546. Solo “nel rapporto dell'Io con il Tu, nella sua attuazione, l'uomo trova la propria autentica vita spirituale…”547.

Ma chi è il Tu dell'uomo?

Per Ebner, il Tu è originariamente, e nella sua vocazione ultima, Dio: “Il vero Tu dell'Io è

Dio”548. E ancora: “Nelle fondamenta ultime della nostra vita spirituale Dio é il vero Tu del

vero Io nell'uomo”549. “L'uomo quando afferma la propria stessa esistenza nell'autocoscienza della proposizione «Io sono», presuppone implicitamente” il Tu di Dio550. Perciò, il suo essere

541 F. Rosenzweig, La Stella della Redenzione, cit., pag. 179-80. 542 Ivi, pag. 172.

543 N. Petrovich, La voce dell’amore, cit., pag. 112-13. 544 E. D’Antuono, Ebraismo e filosofia, cit., pag. 127. 545 F. Ebner, Frammenti pneumatologici, cit., pag. 168. 546 Ivi, pag. 287.

547 Ivi, pag. 149.

548 Ivi, pag. 158.

549 Ivi, pag. 145.

550 (Tu sei) “Poiché nell'enunciare attualmente questa proposizione, l'esistenza del Tu non viene originariamente affermata, ma - come nell'enunciare la frase «Io sono» - essa viene spiritualmente già presupposta come la possibilità di un enunciare in quanto tale. Anche a tale proposito si deve tener presente che il vero Tu dell'Io é Dio; e che l'uomo, allora, quando afferma la propria stessa esistenza nell'autocoscienza della proposizione «Io sono», presuppone implicitamente Dio”. Ivi, pag. 158.

persona “è sempre l'esistere dell'Io in rapporto con il Tu, ossia l'esistere in rapporto a Dio”551. In questo esistere per l'uomo rinviene se stesso, la sua realtà, “il suo essere concreto”552.

L'io é tale da non trovare interlocutori adeguati nella natura, nella cultura, nel progresso, nella storia, ma solo in un tu-persona-assoluta. “Questi altri elementi permangono nella loro

valenza oggettiva; non attingono l'interiorità dell'uomo, ma riguardano l'ambito esteriore del suo essere”553. La condizione di possibilità dell’Io è fuori dal sé, dipende da una relazione che

lo precede e lo pone in essere. Si può, quindi, affermare che a fondamento dell' iità sta la tuità, la coscienza come orientamento radicale oltre la propria solitudine.

La tuità della coscienza si pone alla base tanto dell'io in sé, quanto dell'io in relazione. Fonda la possibilità di ogni relazione umana. Ora, Ebner ha ben chiaro che la relazionalità, ossia la tuità propria della coscienza, non è in conseguenza del rapporto da uomo a uomo, ma

in conseguenza di un evento assolutamente gratuito554. Questo evento è l'amore di Dio per

l'uomo, amore che ha una storia il cui centro è costituito dall'Incarnazione e un riflesso interiore, spirituale. Pertanto, essa è, in ultima analisi, “anamnesi di un'esperienza interiore di

rapporto”555.

Dio non è un'idea o un'entità lontana ed impenetrabile. Dio si manifesta storicamente e spiritualmente come un Tu. Anzi, Dio è la “concrezione del Tu, così come l'uomo quella dell'Io,

che è deve essere nella sua relazione con Dio”556.

Dire che Dio è la concrezione del Tu significa affermare che ogni relazione personale,

autentica, ha nella relazione con Dio la sua ragione557. L'io è tale, perché prima è stato un tu,

perché, in altri termini, è posto in una relazione personale, diretta, con Dio che lo ha eletto a suo interlocutore. La conseguenza non é l'isolamento mistico dell'io ebneriano in un rapporto esclusivo con il Tu divino, bensì il dischiudersi alla grazia dell'incontro, alla dimensione della

tuità.

Perciò, il punto assolutamente decisivo, per Ebner, è che, non solo l'io si ritrova nel rapporto con il Tu, ma anche che può e deve riscoprire che è il tu di Dio. In questo risiede l'unica possibilità che all'uomo è data di trascendere l'orizzonte cosale e di essere libero.

L'autocoscienza allora non si pone più sul piano astratto e irreale delle visioni generali, ma calza a livello del singolo e delle sue concrete apprensioni nell'a tu per tu, in cui è chiamato per nome. “Persona appellata e anche nominata oggettivamente con un nome 1'Io

può divenirlo solo nel reciproco rapporto con lo spirituale nell'altro uomo e solo a partire dal punto di vista di questi, mai però a partire da se stesso” - scrive Ebner558.

La dimensione dativo-creaturale rivela la sua suprema possibilità nel divenire tu dell'io, ossia nel riconoscersi dell'io come chiamato, appellato, nominato da Dio. Scrive Ebner: “Dipende tutto dalla corretta prospettiva in cui si deve vedere il rapporto tra i due; e il punto

551 Ivi, pag. 167. 552 Ivi, pag. 145.

553 E. Ducci, La parola nell'uomo, cit., pag. 186.

554 “La tuitá della coscienza umana non é una conseguenza del rapporto da uomo a uomo (non é un momento di

sviluppo sociale) ma piuttosto é alla base di ogni relazione umana all'uomo. Indica non soltanto al di lá dell'io, ma al di lá dell'uomo semplicemente”. F. Ebner, Schriften, cit., vol. II, pag. 268.

555 E. Ducci, La parola nell'uomo, cit., pag. 152. 556 F. Ebner, Frammenti pneumatologici, cit., pag. 320.

557 “Quando Ebner parla di Dio parla di un'esistenza reale non di una idea; e, si potrebbe agevolmente

aggiungere, parla di Dio nel senso cristiano”. E. Ducci, La parola nell'uomo, cit., pag. 115. La "tuitá della coscienza umana" “corrisponde all'onnipresenza di Dio”, “non é l'onnipresenza di Dio, bensí corrisponde ad essa. Le risponde”. L'uomo “non può soltanto tacere di fronte al creatore e al redentore, con il cui permesso egli parla. Può anche ascoltare il rivelatore” F. Ebner, Notizen, Tagebücher, Lebenserinnerungen, in Schriften, vol. II, cit., pag. 194.

d'osservazione di tale prospettiva, l'unico possibile su cui possiamo porci, é fornito dall'Io, che non può mai rendersi da sé un Tu. Esso può infatti «oggettivarsi» e rendersi oggetto della propria realtà interiore: ma allora non é più il vero Io, bensì il moi di Pascal ed é sulla via della propria «derealizzazione». Appartiene però al suo essere (...) divenire anche un Tu, ovvero persona appellata; e se fa resistenza a ciò e si chiude all'appello, alla parola, se vuole solo parlare ma non ascoltare, allora si chiude proprio di fronte al Tu e con ciò «derealizza» se stesso”559. Siamo a livello della dimensione della grazia che eccede quanto è dato pensare.

Per Ebner, la grazia è incontro. Ora, non si incontra, se si è confinati nel proprio io, né si incontra, se non si è chiamati, eletti, nominati. L'uomo, quindi, “non può rendere se stesso un

Tu”, ma può divenirlo a partire da un'azione del tutto gratuita, esterna rispetto al proprio io.

Ora questa possibilità gli è data in due modi, in quanto persona appellata e in quanto persona

amata, nella parola che gli viene rivolta e nell'amore che gli viene donato. Sono queste le

estreme realtà spirituali che Ebner sperimenta.

Si sperimenta, in particolare la parola, quando questa gli si offre come una breccia che infrange il muro dell'egoità, la muraglia cinese del solipsismo. Si sperimenta l'amore quando si scopre la relazione col tu come dimensione in cui l'io non è condannato alla solitudine. Nell'amore, infatti, gli è data la stupefacente possibilità di divenire tu “a partire dal punto di

vista dell'altro, dell'Io nell'altro”. Infatti, “non é a partire da se stesso, nel suo esser-dato-a-se- stesso-come-Io che é qualcosa di divino, poiché non può rendersi lui stesso un Tu; e non può in alcun modo - indiretto o diretto - divenir consapevole della propria divinità (la quale consiste nel fatto di essere il Tu nell'Io dell'altro) e non ne diviene di fatto consapevole, se non quando in umiltà e nella coscienza del proprio non esser degno di venir amato, accetta di essere il Tu di un Io”. L'io non può da se stesso divenire un tu, perché questo presuppone l'amore e l'amore

trascende i suoi orizzonti chiusi. Nel divenire un tu l'Io attinge, perciò, la dimensione della trascendenza: “Per il fatto che l'Io é un Tu - non però da se stesso o per se stesso o in quanto

lui stesso si rende tale - é qualcosa di divino”560.

Solo nell'essere un tu l'uomo ha un'effettiva possibilità di uscita dalla logica della determinazione anonima. Ma, per esserlo veramente, ha bisogno non solo che la Parola gli venga rivolta, ma anche che la Parola si faccia carne, vita e sangue, amore donato. Questa effettiva possibilità si realizza e si è realizzata, per Ebner, in Gesù Cristo561.

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 87-89)

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