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L'Io in cerca del Tu

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 75-78)

PARTE SECONDA In cerca del Tu

6.1 L'Io in cerca del Tu

In Ebner la radicale messa in questione della filosofia muove da una critica all'impianto cartesiano della filosofia moderna. Scrive Ebner: “Il senso della proposizione originaria

era Io sono e non invece Io sono Io; dell'Io che si-pone-in-relazione con il Tu, non invece nell'assolutizzazione della sua chiusura di fronte al Tu come avviene nell’autoposizione che si ha nel principio di identità”469. Cartesio ha assunto la proposizione Io sono come

fondamento del sapere, ma, così facendo ha snaturato l'Io e il significato della stessa proposizione originaria, che è stata intesa come enunciato con valore di concetto, non più come proposizione avente valore di espressione.

Rilevare il valore di espressione della proposizione Io sono, come fa Ebner, è estremamente importante. Se, infatti, Io sono ha valore di enunciato, allora esso ruota intorno ad un centro rappresentato dall'Io, ma se ha valore di espressione, allora il centro è fuori dell'io. Enunciare Io sono equivale allora a presupporre un Tu, perché solo il Tu rende

conclusiva non scientifica, a cura di C. Fabro, Zanichelli, Bologna 1962, vol II, pag. 4.

467 Nell'opera di riduzione del particolare all'universale, “materialismo ed idealismo, entrambi (e non solo il primo) antichi

come la filosofia vi hanno ugualmente parte”. F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 6.

468 Il pensiero di Rosenzweig è stato definito da F. P. Ciglia come “un umanesimo dell’inter-relazione” e della

“differenza intersoggettiva”. Intersoggettività umana e domanda teologica, in Humanitas 3 (2004), pag. 522.

possibile “un enunciare in quanto tale”470. In altri termini, si può dire Io, solo in quanto si è

in presenza di un Tu cui si intende esprimere, comunicare, qualcosa.

Valutata come espressione, in sostanza, Io sono è eccentrica, eterodiretta, protesa oltre l'io. Cartesio ne ha fatto un enunciato logico avente caratteri di evidenza, laddove essa aveva originariamente valenza dialogica, non monologica.

A partire da tale analisi, Ebner ribalta la visione cartesiana per cui l'Io è in quanto pensa se stesso. L'Io è, piuttosto, in quanto si esprime, in quanto esce dal circuito chiuso del sé. “La

proposizione «Io sono» non può di per sé essere pensata senza parole, ovvero senza una relazione magari ideale con il Tu”471 - scrive. Sottratta alla sua natura linguistico-

espressiva, diviene altro, e cioè concetto, idea etc.. Riconosciuta, invece, nel suo significato originario, Io sono riassume il valore di interpellazione e di appello.

Si ripropone qui senz'altro la critica di Kierkegaard all'idea hegeliana in nome del singolo. Ma c'è dell'altro.

Si potrebbe dire, prendendo a prestito espressioni di Lévinas, che L'Io è diventato

identità, medesimezza472. Quando, infatti, la valenza linguistico-espressiva di Io sono è

stata soppressa a favore di quella logica, ha preso il sopravvento un pensare senza confronto e senza interlocuzione. Contestualmente, alla sostituzione dell'io reale, concreto, singolo con l'Io in terza persona, astratto e trascendentale, contestualmente, si potrebbe anche dire, alla perdita di contatto dell'io con la sua peculiarità (il termine è di Rosenzweig), si è smarrita l'originaria direzione verso il Tu.

Per Ebner, il punto focale del pensiero moderno è, quindi, in quell'Io che si va a stabilire nel mutismo e nella solitudine dell’autoposizione (Io=Io). Ma è un’identità illusoria quella di un Io che si ponga nella solitudine. La solitudine non è il principio dell’umano né il suo destino, ma la conseguenza di una devianza spirituale. La coscienza non è, per Ebner, autoposizione coincidente con un'astratta identità (Io sono Io), ma “possibilità di affermare in maniera

assertiva la propria esistenza in senso personale”. Questa possibilità si lega ad un'evenienza,

all'accadere del dialogo fra Io e Tu. “Io sono – afferma il maestro austriaco - presuppone la

relazione con il Tu, con la persona appellata”473. “Mai – scrive Ebner - lo spirito umano si sarebbe dato all'invocazione”, se già “non fosse stato sin dall'inizio per sua origine ed essenza

470 “Poiché nell'enunciare attualmente questa proposizione, l'esistenza del Tu non viene originariamente affermata, ma - come nell'enunciare la frase «Io sono» - essa viene spiritualmente già presupposta come la possibilità di un enunciare in quanto tale. Anche a tale proposito si deve tener presente che il vero Tu dell'Io é Dio; e che l'uomo, allora, quando afferma la propria stessa esistenza nell'autocoscienza della proposizione «Io sono», presuppone implicitamente Dio”. Ivi, pag. 158.

471 Ivi, pag. 253. Scrive ancora Ebner: “Se davvero viene pensata senza parole, allora non si tratta della proposizione

stessa, bensì del principio d'identità nella sua sottrazione e mancanza di oggetto. Si pensa il pensiero senza un oggetto cui si riferirebbe, ovvero, 1'Io si pensa in maniera assoluta senza in ciò capire se stesso”.

472 Lévinas, pur attribuendo a Socrate la fondazione egologica della filosofia, ne riconosce un ampliamento

ed un irrigidimento nel pensiero moderno, in cui il pensare costruito sull’autocoscienza si costituisce venendosi a fondare “sull'essenziale sufficienza del Medesimo, sulla sua identificazione, di ipseità, sul suo egoismo. La filosofia è un'egologia”. Vedi E. Lévinas, Totalità e infinito, cit., pag. 42.

473 “L'autocoscienza, il cui nucleo é sì 1'Io, non é, come sostenevano cento anni or sono i filosofi, la «autoposizione» dell'Io - perché altrimenti questo dovrebbe avere il proprio fondamento nel «solipsismo dell'Io» - quanto la possibilità che vi é nell'uomo (possibilità che diviene consapevole tramite la «parola» e che non é concepibile né in chiave «psicologica», né in chiave «metafisica»), di affermare in maniera assertiva la propria esistenza intesa in senso personale mediante la proposizione «Io sono»: e qui affermare presuppone la relazione con il Tu, con la persona appellata”. Ivi, pag. 164. “Ebner é il primo tra i pensatori dialogici del nostro secolo a fare la scoperta del Tu, una scoperta che in seguito fu resa accessibile per un pubblico piú ampio da Buber con la sua opera Io e Tu”. B. Casper, B. Casper, Indigenza dell'Altro ed esperienza di Dio etc., in Communio, cit., pag. 33.

in una relazione con lo spirituale al di fuori di sé, se l'Io non esistesse in un rapporto con il Tu”474.

L'io non si pone né può porsi, quindi, nel solipsismo, ma solo “laddove e quando si

muove verso il Tu; non nell'«Io-solipsismo» del suo pensiero che sempre di nuovo si genera e si ingloba e nel quale pensa se stesso, non per il fatto che si pensa ma invece che si esprime”475. La vocazione della coscienza non è alla chiusura, ma alla relazione. “Egli – scrive

ancora Ebner - è piantato ed orientato nella relazione spirituale col Tu”476. L’io è

sostanziato dalla tensione che lo spinge oltre se stesso, oltre la propria solitudine.

L'aver smarrito l'implicanza originaria Io-Tu ha dato, quindi, luogo ad un pensare

inespressivo. Questo pensare ha portato, in ambito filosofico, ai sistemi onnicomprensivi

e, in ambito scientifico, al procedimento oggettivo e deterministico. In ambito filosofico, a partire da Cartesio, Io sono da espressione appellante il tu è stata intesa come autoaffermazione. La coscienza è stata, consequenzialmente, pensata come autocoscienza, autoriferimento ed autosufficienza. La perdita della relazione ha comportato, allora, la perdita del carattere personale, la traduzione della coscienza in astratta identità (IO=IO). In ambito scientifico, l'impersonalità e la neutralità del procedimento sono stati assunti come

valore e metodo477. Divenendo ragione oggettiva, l'io ha perso il suo vero oggetto, il Tu,e si è

pensato senza relazione478. La soggettività è stata ridotta, quindi, essa stessa, ad oggettività479,

“fattore impersonale nell'accadimento del mondo”480,e del Tu non ne è stato più nulla, perché,

secondo una felice definizione di M. Buber, “l'esperienza è lontananza del tu”481.

474 F. Ebner, Frammenti pneumatologici, cit., pag. 303. 475 Ivi, pag. 253-54.

476 “L'Io - il soggetto dell'esperire, che fornisce l'oggetto al pensare matematico e rende possibile il riferimento alla realtà - non esiste di per sé e al di fuori della sua relazione con il Tu”. Ivi, pag. 294. E ancora: “Come 1'Esserci naturale dell'uomo nel mondo presuppone l'uomo nella naturalità della sua esistenza, ovvero i genitori, così la sua esistenza spirituale presuppone quella di Dio. La corporeità del bambino può essere spiegata, anche se forse non del tutto, dalla corporeità dei suoi ascendenti. Nel destarsi della sua coscienza però il bambino viene da Dio ”. Ivi, pag. 320. Anche in Buber si legge questa tensione dell'io verso il tu: “Non c'è alcun io in sé, ma solo l'io della parola fondamentale io-tu, e l'io della parola fondamentale io-esso”. M. Buber, Io e Tu, cit., pag. 59. Pertanto, l'io si costituisce solo nella relazione con un'accentuazione da parte del filosofo ebreo della dimensione etica, che tuttavia implica la tensione metafisica e religiosa verso il Tu trascendente.Solo nella relazione con ciò che è esterno alla coscienza individuale e, in particolare, nella dialogicità, la prigionia dell’io è infranta e si coglie la realtà non come dominio, ma come incontro. La relazione interpersonale esprime anzi la struttura originaria dell’essere, la profondità ontologica per la quale l’uomo non è solitudine, ma costitutiva apertura all’altro, e viene a realizzarsi nel riconoscimento e nell’accoglienza dell’alterità.

477 “Quando l'Io si chiuse in tale rapporto di fronte al Tu, la ragione divenne oggettiva e impersonale, speculativa

e creatrice d'idee” F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 213.

478 F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 294. Di questo si ha un riscontro diretto nella matematica, che è

“l'espressione oggettiva” della ragione rinunciante “alla relazione per lei costitutiva con la parola” e dell'Io rinunciante “al suo rapporto con il Tu, grazie al quale esso esiste” (ivi, pag. 281-82). Se ne ha ancora un riscontro nella psicologia scientifica, che tenta una decodifica oggettiva della dimensione interiore.

479 Il tema dell'oggettivismo avvicina Ebner e Buber ad Heidegger. Si noti, a mo' di esempio, questo passaggio

heideggeriano: “Una cosa è a questo proposito determinante, la trasformazione (…) dello spirito (geist) in intelligenza (intelligenz), intesa come semplice raziocinio (verständigkeit). Siffatto raziocinio è solo questione d’ingegno, di esercizio e di divulgazione, e risulta esso stesso sottoposto alla possibilità di organizzazione, il che non è mai dello spirito.” M. Heidegger, Introduzione alla metafisica, cit., pag. 56-57. Tuttavia, Ebner e Buber contestano l'oggettivismo da una prospettiva diversa. La critica all'oggettivismo non si risolve, infatti, per loro, nel primato del neutro, dell'essere che parla nel linguaggio, come in Heidegger. La critica al sapere oggettivo sottintende, per loro, un motivo che potremmo definire umanistico, anche se di un umanesimo diverso da quello tradizionale.

480 F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 215. 481 M. Buber, Io e Tu, cit., pag. 65.

L'essere-per-sé dell'io non è, dunque, originario, ma è “il risultato di un atto spirituale interno a esso ovvero del suo chiudersi al Tu ”482. Più originario del pensiero che si avvita

su se stesso è il bisogno comunicativo che supera le idiosincrasie e le chiusure. “All'inizio

– come afferma Buber – è la relazione”483, non la solitudine. Il rapporto dell'Io con il Tu

non “si é aggiunto solo in seguito a un Io che esisteva per sé nella propria solitudine”484.

L’io non è vuota coincidenza, ma eccedenza e trascendenza rispetto a sé.

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 75-78)

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