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Rosenzweig e il nuovo percorso ontologico

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 94-97)

PARTE SECONDA In cerca del Tu

7.1 Rosenzweig e il nuovo percorso ontologico

Dietro il passaggio al nuovo pensiero religioso di Rosenzweig c'è un cambio di prospettiva legato all'ontologia. Scrive Rosenzweig: “La filosofia incominciò solo nel

momento in cui il pensiero si sposò all'essere. Ma è appunto ad essa e proprio su questo punto che noi ci neghiamo come seguaci”584. Nell'assimilazione dell'essere al pensato,

operata nel pensiero occidentale, l'essere è stato concepito come spazio conchiuso dello

spirito chiaro a se stesso e, quindi, come essere presente e disponibile585.

Contestualmente, la filosofia è divenuta pensiero privo di presupposti, pensiero dell'autosufficienza e, insieme, della derealizzazione, della traduzione cioè dell'essere in essenza astratta586.

Il pensiero dominato dalla domanda «che cos'é'?» ha mirato, scrive Rosenzweig in

Dell’intelletto comune sano e malato, ad eliminare l’essere particolare, concreto, singolo. La

domanda «che cos'é?» interroga, infatti, l'essenza, e questa é ciò che é propriamente, ciò che si pone al di là e dietro ciò che accade. Ma, ricercando ciò che è propriamente, il pensiero ha cercato di fissare l'essere nel conosciuto, di comprenderlo, di dominarlo concettualmente. Conseguentemente, ne ha soppresso il carattere evenemenziale ed

582 “In tal senso l'Essercí dell'Io richiede l'ascolto e l'accoglimento di un appello che muove da un Tu, ovvero l'inter-esse, il vivere e l'esistere come «interpersona». Il Dasein viene parafrasato e tradotto da Ebner con il Mit-Dasein. Secondo il filosofo austriaco infatti per sentirsi esistere bisogna esistere per qualcuno, ex- sistere, vivere l'apertura e il trascendimento di sé verso gli altri, per giungere ad essere «uomo-con-gli- uomini”. A. Bertoldi, Il pensatore della parola, cit., pag. 87.

583 Vedi E. Lévinas, Altrimenti che essere o al di là dell'essenza, trad. it. A cura di S. Petrosino e M. T. Aiello, Jaca

Book, Milano 1983.

584 F. Rosenzweig, La Stella della redenzione, cit., pag. 20.

585 “Dall'idea di Descartes della mathesis universalis e dalla concezione dell'essere a partire dalla

cogitatio, un cammino storicamente coerente porta, attraverso l'idea di Leibniz di una scientia universalis e di una lingua universalis rationalis ad essa collegata, fino all'«esse est percipi» di Berkeley e infine all'epocale opera di Kant che concepisce 1'essere come manifestazione, cioé condizionato dalle forme della intuizione e dell'intelletto. Questa concezione ontologica, comparsa con la svolta kantiana, nell'idealismo tedesco, e in particolare nella filosofia dello spirito di Hegel, si trasforma in misura sempre maggiore in inserimento del Tutto nello spazio conchiuso della chiarezza dello spirito chiaro a se stesso” B. Casper, Il pensiero dialogico, cit., pag. 349-50.

586 A quella che in Rosenzweig è indicata come derealizzazione corrisponde quella che Ebner determina come tendenza alla sostanzializzazione (vedi Frammenti pneumatologici, cit., pag. 213).

eliminato la temporalità587. Infatti, l'essenza è necessariamente ed atemporalmente, in un

modo che è del tutto scisso dall'esistenza.

Inoltre, ed è questo fondamentale per Rosenzweig, sotto il dominio della domanda «che

cos'é'?», ogni relazione è stata posta nella forma impersonale della terza persona. Ora,

l'essere in terza persona difetta non solo di fattualità, ossia di concretezza, ma anche di quel rivolgimento verso l'altro che caratterizza l'essere detto in prima e seconda persona. Nell'essere pensato come essenza si manifesta, pertanto, insieme alla dimenticanza

dell'essere reale, la mancanza di orientamento588. Lungo questa linea si è arrivati, infine,

al nichilismo, che ha reso palese il disorientamento ontologico589.

A fronte di questo Rosenzweig rinviene nella visione biblica un diverso senso dell'essere. L'ebraismo, che non conosce né l'astrazione, né il concetto, i cui esiti sono

rispettivamente la codificazione e la rigida ontologia sostanzialistica590, pensa l'essere come

accadere, più precisamente come evento accaduto591. Non offre, infatti, un corpo dottrinario,

ma eventi di salvezza che si snodano lungo una storia che origina dalla creazione. L'essere, conseguentemente, non vi si determina come presenza intemporale o come dato oggettivo né deve essere compreso come il concetto onniavvolgente i tre orizzonti di Dio, del mondo e dell'uomo. L'essere non è necessario, compiuto, identico, ma del tutto gratuito: si pone nella gratuità di un atto, la creazione, che dal nulla lo fa accadere.

La creazione indica, in prima istanza, un relazionarsi di Dio al mondo: Dio crea il mondo in modo da porlo in relazione di creaturalità con lui stesso. La creaturalità, pertanto, è una modalità di essere intrinsecamente relazionale. Il suo contrassegno è “un essere non più

semplicemente universale”, un “essere che in sé porta tutto quanto è singolo”. “Il mondo non é ombra, né sogno, né simulacro; il suo essere é esserci, un reale esserci, creazione creata ”592.

L'essere è esser-ci, ossia essere situato in una relazione strutturale con l'Altro, con il Creatore,

e, quindi, datità593. La datità della creatura significa la sua necessaria compromissione nel

587 Vedi F. Rosenzweig, Dell’intelletto comune sano e malato, Rovereto edizioni, Trento 1987, pag. 35-37. 588 B. Casper, Il pensiero dialogico, cit., pag. 91.

589 “Si potrebbe dire con Heidegger che i l senso dell'essere si è estinto, apparendo ormai esso totalmente definito e determinato all’interno di un impianto logico rassicurante in cui tutto si inquadra. A questa dimenticanza Heidegger crederà di ovviare andando alla ricerca delle tracce di un essere parlante nel linguaggio. Ora anche i dialogici cercano il senso dell'essere nella parola, ma pensano ad un essere diverso, non impersonale, ma personale e guardano alla parola come il luogo di incontro di un io e di un tu. L'esigenza di riproporre la questione dell'essere nella sua centralità e di prendere congedo dal pensiero metafisico, colpevole dell'oblio dell'essere e dello smarrimento di esso nelle maglie del fondamento entificante; per ripensare l'inizio accomuna Heidegger e Rosenzweig. Essa attesta entrambi i pensatori sull'orizzonte della finitudine e della storicità, fornendo loro - attraverso l'essere per la morte, se pur diversamente elaborato e riproposto da Rosenzweig - il dato fenomenologico irriducibile capace di ripercorrere criticamente la tradizione filosofica. Entrambi partono, infatti, dall'effettività dell'esistenza e prendono le distanze dall'ego sum dell'autocoscienza cartesiana, svuotata di ogni implicazione storica, dalla rottura dell'identità con il pensiero, e quindi della totalità metafisica, fino a giungere all'istanza di un essere altrimenti”. Paola Mancinelli, Rosenzweig e la questione dell'essere: pensare l'inizio in una terra altra, in Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia [in linea], anno 6 (2004) [inserito il 30 maggio 2004].

590 Vedi Paola Mancinelli, Rosenzweig e la questione dell'essere etc., cit.

591 Circa l'importanza della categoria di evento in Rosenzweig, segnaliamo alcuni studi di B. Casper: La concezione

dell'evento nella Stella della Redenzione e nel pensiero di Martin Heidegger, in Teoria 2 (1991); La sfida di Franz Rosenzweig al pensiero cristiano, in Filosofia e Teologia 2 (2000); Per una fondazione della teologia filosofica dell'evento, in Humanitas 3 (2004); nonché S. Mosès, Système et Révélation, cit..

592 F. Rosenzweig, La Stella della redenzione, cit., pag. 137.

593 Vedi A. E. Bauer, Rosenzweigs Sprachdenken in Der Stern der Erlösung und in seiner Korrespondenz mit M.

tempo594 e, insieme, la sua indigenza. L'indigenza è ciò che caratterizza l'essere. Essa si

manifesta nell'uomo come inquietudine esistenziale e nelle cose come incompletezza e

finitezza595. Ma l'indigenza è anche segno di relazione, di orientamento. L'essere

creaturale si dimostra radicalmente orientato, grida il suo essere stato fatto, ossia la sua

relazione strutturale con il Creatore596.

Avvertire l'essere come bisogno, e non come necessità, significa, quindi, porsi in un nuovo orizzonte in cui il tempo e l'alterità non sono più particolari di un film già visto, ma elementi di una vita tutta da vivere. “La legge del reale è ultimamente quella dell’alterità e della pluralità

e non quella della totalità propria della filosofia occidentale”597. L'essere si dà

nell'esperienza di una relazione, e ciò contrasta ogni sua riduzione a concetto, ogni suo contrarsi essenzialistico. I tre momenti, che strutturano la seconda parte della Stella, creazione, rivelazione e redenzione, si caratterizzano, perciò, come determinazioni della realtà, piuttosto che come funzioni logiche. Sono eventi, non categorie. Indicano l'accadere delle relazioni che intercorrono Dio e il mondo (creazione), fra Dio e l'uomo (rivelazione) e fra l'uomo e il mondo (redenzione).

In tal caso, la Bibbia presenta, secondo Rosenzweig, un profilo e delle modalitá radicalmente differenti rispetto all'«ontologia» pagana greco-antica. Se, infatti, “ la visione

greca dell'universo viene a costituire una messa a fuoco dei fondamenti o dei presupposti piú elementari e remoti dell'esperienza dell'uomo all'interno del mondo (il divino mitico, il mondano «plastico» e l'umano tragico), assolutamente differenziati ed irriducibili l'uno all'altro, il messaggio biblico riuscirebbe invece a cogliere la trama”, l'intreccio relazionale

interno all'essere. Perciò, gli “appare come un'intuizione, storicamente configurata di una

dimensione universale ed essenziale della realtá, come una vera e propria comprensione dell'essere”598. “Si tratta, per essere piú precisi, di un'ottica che dilata a dismisura e, in una certa misura, universalizza, sul piano ontologico, la relazionalitá che una certa tradizione filosofica ha da sempre attribuito all'universo del «religioso»”599.

Gli eventi teologici della creazione, della rivelazione e della redenzione sanno rendere ragione della “piú immediata e quotidiana esperienza vitale dell'uomo all'interno del

mondo”600. Sono, quindi, usati in chiave ermeneutica per cogliere ciò che sfugge alla filosofia,

ferma alla staticità e intemporalità del concetto, e cioè la vita nel suo svolgersi relazionale. Lo si comprende, in particolare, da quanto Rosenzweig scrive a proposito della creazione: “Edificando il sapere sopra il concetto di creazione, noi permettiamo al sapere di esplicare

594 “Proprio questo, una temporalizzazione di questo tipo, più specificamente un tale esser-contrassegnato con il carattere del passato, era appunto ciò che ancora mancava totalmente al senso del mondo all'interno del mondo meta-logico...” F. Rosenzweig, La Stella della redenzione, cit., pag. 136.

595 “Questa ontologia indigenziale è, in un certo senso, la stessa che si può reperire nella Geworfenheit heideggeriana, soltanto che là assistiamo anche al tentativo di acquisizione di un'autenticità intraesistenziale che incatena l'esser-ci al suo ci, alla sua finitezza e non gli permette di aprirsi. la questione dell'essere stesso. Questa questione viene posta dal primo Heidegger. E queste questioni sono poste da Rosenzweig. Ebner e Buber, ognuno a modo suo. in direzione di un pensiero che concepiva l'essere come linguaggio che accade”. B. Casper, Il pensiero dialogico, cit., pag. 352.

596 Vedi Agostino, Le Confessioni, Città Nuova editrice, Roma 1965, pag. 373 (XI, 4,6). 597 N. Petrovich, La voce dell’amore etc., cit., pag. 53.

598 Al di là dei tentativi ricorrenti nella storia del pensiero occidentale di assimilazione dell'essere al pensato o che

è lo stesso di reductio ad unum, il «paganesimo» greco e la rivelazione biblica rappresentano, per Rosenzweig, “due modalitá fondamentali e, in qualche modo, universali della comprensione dell'essere. Essi, infatti, secondo il pensatore, riescono a cogliere e a mettere a fuoco, in maniera impareggiabilmente lucida e vivida, (…), le differenti e complementari dimensioni ontologiche di fondo che compongono, tutte insieme, il quadro complessivo e multiforme della realtá” F. P. Ciglia, Fra Atene e Gerusalemme etc., cit., pag. 70-71.

599 F. P. Ciglia, Fra Atene e Gerusalemme etc., cit., pag. 191. 600 P. Ciglia, Fra Atene e Gerusalemme etc., cit., pag. 71.

fino in fondo questa sua peculiarità, di andare «al fondamento» delle cose. Noi facciamo della fede in tutto e per tutto il contenuto del sapere, ma di un sapere che pone a fondamento di se stesso un concetto basilare della fede”601. La fede come possibilità di intercettare la vita,

quindi, oltre la morta ragione.

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 94-97)

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