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I risvolti teoretici e conoscitivi: la scomparsa della dimensione relazionale dalla nozione di verità

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 68-70)

PARTE SECONDA In cerca del Tu

5.3 I risvolti teoretici e conoscitivi: la scomparsa della dimensione relazionale dalla nozione di verità

A livello conoscitivo ne viene che la certezza è fondata sull’autorelazione del soggetto con se stesso. Tutto abbisogna del soggetto che pensa per essere pensato. L'io, invece, si coglie intuitivamente senza uscire da sé.

Pertanto, questo io, senza parola e senza tu, diviene il punto archemideo, fisso ed

immobile, di sollevamento del mondo. Sulla sua evidenza rassicurante non solo “l'unità del logos fonda l'unità del mondo come un'unica totalità”, ma anche “quella unità dà prova a sua volta del suo valore di verità con il fondare questa totalità”425.

La verità, come osserva Rosenzweig, pretende di “inverare la realtà”, pretende cioè di uniformare la realtà al concetto. Anziché lasciare che la realtà contenga e custodisca il vero,

pretende che esso sia contenuto nell'idea, gli si adegui, gli si conformi426. “Con il fatto di

421 “…è in generale la figura dell’alterità che in Hegel sembra dissolta. Non c’è più differenza: e ciò che a lui

appariva come la promessa vittoria sulle lacerazioni della coscienza infelice, si rivela finalmente abbraccio asfissiante, cattura negatrice della libertà.” B. Forte, L’eternità nel tempo, ed. Paoline, Cinisello Balsamo 1993, pag. 15.

422

F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, in Opere complete, trad. it. di F. Masini, Milano 1990, 186. Per Ebner

Nietzsche é un nemico dell'idea e “un appassionato dell'uomo reale che vale più dell'idea”, ma in Nietzsche, “nell'ottica dello «spirito libero», si celebra la dolorosa recisione e amputazione del legame-dipendenza con un Tu divino e umano, laddove proprio in quel duplice legame-dipendenza Ebner riviene la liberazione dalla propria paralizzante impotenza”. Vedi S. Zucal, Il miracolo della parola, cit., pag. 17-18. Un riferimento esplicito a

Nietzsche, e in particolare al concetto di volontà di potenza è rinvenibile nei Frammenti Pneumatologici a pag. 361: “Il fatto che l'«uomo reale rappresenti un valore assai più elevato rispetto all'uomo auspicabile di un qualsiasi

ideale finora esistito», come afferma Nietzsche ne La volontà di potenza, é un'acquisizione nella quale é racchiusa la fine dell'idealismo e in cui si rinnova la vita spirituale dell'uomo. Si tratta però anche di una verità che risulta autentica e fruttuosa solo nell'intimo orientarsi della vita alla dimensione religiosa”.

423 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 107. A Nietzsche Rosenzweig riconosce il merito di aver

dischiuso all'etica una nuova terra, la vita. Vedi La stella della redenzione, cit., pag. 11. Altri riferimenti sono a pag. 19 e a pag. 294-95.

424 Ivi, pag. 108.

425 Vedi F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 12. Lo stesso concetto pare riscontrabile in F. Ebner: “Giusto é, come ebbe a dire Goethe, che in natura non v'é alcuna totalità; essa infatti non é un fatto della «natura» ma dello «spirito», un atto (ovviamente solo estetico) dello spirito (che si determina in senso estetico) ” Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 273. Vedi pure Ivi, pag. 165, dove il riferimento specifico è a Fichte, piuttosto che a Cartesio.

426 “Non la verità invera la realtà, ma la realtà contiene e preserva la verità. L'essenza del mondo é questo

preservare (e non `inverare) la verità. Il mondo allora fa a meno di quella protezione verso l'«esterno» che la verità aveva garantito al Tutto da Parmenide fino ad Hegel…”. F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 15. La formula “inveramento della verità” è adoperata anche in Il nuovo pensiero, cit., pag. 279-80.

pensarsi – osserva F. Ebner - l'Io non esce dal suo solipsismo” , dal suo mondo427. La verità

viene a dipendere dall’evidenza stabilita nel cogito. Pertanto, il pensiero può permettersi di pensare restando in sé, di discorrere senza dialogare, di stabilirsi sull’autorelazione

(l’autocoscienza), anziché sulla relazione che lo proietta verso l’essere, ossia verso la res428.

Smettendo il pensiero di tendere verso le cose, s’instaura un circolo di autoreferenzialità

del tutto interno al soggetto429 e il valore ontologico della verità si perde in favore di un

valore puramente logico. L’essere o la res sono intesi, conseguentemente, come immanentemente dati sotto forma di idea o di oggetto rappresentato. Questo è conoscibile per sola inferenza a partire dal pensiero, “così che – scrive Lévinas - l'esteriorità dell'oggetto

rappresentato, appare alla riflessione come il senso che il soggetto rappresentante dà ad un oggetto, riducibile esso stesso ad un'opera di pensiero”430.

Qui, oltre che il depauperamento dello spessore ontologico delle cose, abbiamo anche una depersonalizzazione dell'intelligenza, che evolve nel senso della ragione impersonale. A partire da Cartesio, in effetti, e fino agli estremi sviluppi dell’idealismo, l'io diventa

un'entità astratta, un oggetto della mente431. La riduzione dell'io a me oggettivabile, come

rilevato da Ebner, offre un riscontro semantico di questa dinamica intellettuale . Ad essa

corrisponde, a sua volta, “un mondo ridotto a scopi e a mezzi”, utilizzabile a piacere432.

Ma c'è dell'altro! Nella nozione della verità come adeguazione al dato esterno433, come,

ad esempio, si apprende dalla lezione tomista, non c'è solo la res (e cioè la cosa). Oltre la

res e l'intelletto c'è il riferimento a Dio, che è motivo della verità delle cose, come della 427 F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 254. Vedi pure Ibidem, pag. 145.

428 Ciò che i dialogici colgono nella configurazione moderna della verità è la scomparsa dell'elemento relazionale. Il punto di svolta può essere individuato nel passaggio dalla verità, intesa come adeguazione alla realtà, alla certezza, esperienza soggettiva identificabile con ciò che si discerne da se stessi, ciò di cui si è certi. In tale passaggio, Cartesio attua un’inversione nel rapporto fra pensiero e realtà. Il pensiero non pensa tanto la realtà, nel senso che le si attiene, ma la precede logicamente. “ L'oggetto tradizionale della ragione, la verità, non venne più accolta nella sua nozione di adaequatio rei et intellectus, ma modificata in quella di consenso/convenzione generale”. (G. Colombo, Dalla Aeterni Patris alla Fides et ratio, in Teologia, n. 3, 1999, pag. 268). Nel conoscere viene meno il riferimento alla cosa, quello che nella nozione della verità come “adaequatio rei et intellecti” era la res, e cioè la cosa. Nella concezione tomista la verità è il frutto di una relazione fra l’intelletto e la realtà, nascendo all’incontro fra l'apertura intenzionale dell'intelletto, che tende verso le cose, e l'intelligibilità che è propria dell'essere. “Nell'atto stesso dell'intelletto – osserva Tommaso - si compie quel rapporto di adeguazione in cui consiste l'essenza della verità” (Tommaso, Commentum in IV libros sententiarum di Pietro Lombardo, I, d. 19, 5, 1. Si vedano pure le Quaestiones disputatae de veritate, I, 1 e la Summa Theologiae, p. I, q. 16, a. 3). Nella concezione moderna la verità non è più frutto della relazione fra intelletto e realtà, ma unicamente opera del pensiero, che certifica l’esistenza delle cose. Pertanto, Cartesio individua il luogo della manifestazione della verità nel soggetto (res cogitans) (sull'argomento vedi Ch. Taylor, Il disagio della modernità, Laterza, Bari 2002, pag. 120). La nozione di verità come adeguazione alla realtà intende, quindi, la verità come frutto di un’apertura dell’intelletto alla realtà, all’ esteriorità del dato conoscitivo. La certezza si riferisce invece al frutto interiore dell'attività del pensiero e, quindi, alla coerenza del pensiero con se stesso (vedi V. Possenti, Filosofia e Rivelazione, Città Nuova, Roma 1999, pag. 118).

429 Cartesio e i suoi eredi, come osserva J. Maritain, “ ricusano fin dall'inizio proprio ciò su cui fa presa il pensiero e senza del quale esso non è che sogno - la realtà da conoscere e da capire, che esiste, vista, toccata afferrata dai sensi... la realtà sulla quale e a partire dalla quale un filosofo è nato per interrogarsi ”. Il contadino della Garonna, Morcelliana, Brescia, pag. 152.

430 E. Lévinas, Totalità e Infinito, cit., pag. 126

431 Vedi F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 253.

432 Quando la volontà scivola nell'utilizzo arbitrario gli uomini sono già desituati da ogni relazione con gli altri. L'utilizzatore del mondo è un individualista il cui mondo è “senza sacrificio e senza grazia, senza incontro e senza presenza, è un mondo ridotto a scopi e a mezzi; non può essere diverso; e si chiama fatalità” M. Buber, Io e Tu, cit., pag. 101-02.

433 “Questo mondo che basta alla sufficienza dello spirito, non disturba più, opponendo con la sua esteriorità

verità dell'intelletto, in quanto suprema intelligenza ordinatrice. Ora, Dio non è un mondo

delle idee separato ed inattingibile, ma è un Tu vivente in presenza del quale si pensa, si agisce e si è. Non c'è verità al di fuori di questa relazione, che è, da ultimo, la relazione di creaturalità che lega gli esseri a Dio, gli intelletti creati all'intelletto creatore. Da Cartesio in poi, invece, non solo l'evidenza del mondo è una superscaturigine dell'autoevidenza del

cogito, ma anche Dio, ridotto ad idea della mente, non è più un Tu che si ritrova dentro, più

profondo nella coscienza della coscienza stessa.

La sostituzione dell'io al Tu come meta del movimento del vero comporta, quindi, in prima istanza, la dimenticanza del Tu divino quale Tu fondante ed, in seconda, la dimenticanza dei tu umani, l'ignoranza degli altri soggetti. Così, per Cartesio, solo “l'ego è

conosciuto con primaria evidenza, immediatamente e senza intermediari”, mentre “l'esistenza di altri soggetti umani (...) è priva di questa immediata certezza, ed è conosciuta solo indirettamente”434. I metafisici – obietta Ebner -“a partire dall'Io e ignorando completamente il Tu” credono di poter comprendere l’esistenza, di poterla dominare

concettualmente. In realtà, ingenerano la mostruosità di un “Io assoluto e intelligibile”435,

privo di umanità436, astratto ed artificiale. Proprio per questo, il loro sapere formula “una

parola che non parla né al Tu ideale né al Tu concreto nell’uomo”437.

La filosofia enuncia concetti, ma i concetti sono parole che non dicono e non interpellano438.

Essi sono il portato della solitudine dell'io, solitudine che Ebner esprime con la metafora della

muraglia cinese439. Manifestano, quindi, l'incapacità della ragione di instaurare ponti con il

mondo esterno di trovare riscontri.

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 68-70)

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