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Ebner e l'essere fra Io e Tu

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 97-100)

PARTE SECONDA In cerca del Tu

7.2 Ebner e l'essere fra Io e Tu

Anche per Ebner, come ha osservato B. Casper, “forse non é stato preso ancora nella dovuta

considerazione” che uno dei suoi intenti fondamentali consista “nel superamento dell'essere rinchiusi in un mondo proprio, nel meramente pensato, per giungere all'esterioritá della realtá, all'apprendimento, a partire dall'esperienza”602.

Il pensiero sostanziale, che assegna il primato all'essenza sull'esistenza, esprime, in effetti, per il Nostro, una necessità del tutto irreale. Il soggetto, in tale ambito, “smette di essere un Io

sono per diventare un Io che è”603. Smette di essere un io esistente, reale, per divenire

un'essenza, un oggetto del pensiero astraente.

Ora, Ebner, partendo dal linguaggio vivente, piuttosto che dal concetto, rileva che nell’asserzione esistenziale della prima e della seconda persona “ il soggetto dell'essere

non può essere in alcun modo separato dall'essere che viene predicato (ovvero l'Io dal sono, il Tu dal sei)”, come se fosse astraibile dall'asserzione che ne predica l'esistenza. Il

soggetto non compare, infatti, “come un caso speciale dell'essere, bensì è questo stesso, e

in un certo senso pure a esso superiore”. Prova ne sia che il soggetto particolare, reale,

esistente (l'Io sono o il Tu sei), “non giunge all'essere”, ma, semmai, è l'essere che ne

deriva, che “cresce a partire da lui”604.

L'asserzione astratta del soggetto, formulata mediante l'uso della terza persona, costituisce, quindi, la premessa per la teorizzazione della sostanza (o essenza). “La

sostanza – spiega Ebner – è l'essere oggettivo, impersonale nella sua mancanza di parola, sciolto da tutte le determinazioni d'essere soggettive”. In tal senso, essa marca il

passaggio da un essere personale, caratterizzato dall'avere la parola, ad un essere impersonale, la cui caratteristica precipua è di essere “ senza parola”. Pertanto, con l'asserzione in terza persona, la realtà diviene “dipendente dall'esser rappresentata, pensata ed

espressa”605.

Contestualmente, l'essere sostanziale si presenta con i caratteri “dell'assolutamente

necessario”. Non appare più esposto alla precarietà e alla temporalità e può vantare, rispetto

all'esistenza, stabilità ed indubitabilità tali da far apparire quella come “dubbia” o “possibile”. Un riscontro di tutto questo si ha nell'oggettivismo scientifico, nonché nelle metafisiche ed etiche oggettive in cui si “tenta di pensare l’essere dell’ente come oggettivamente valido

sciogliendolo dall'evento del dialogo e spogliandolo del suo carattere di dono e del suo carattere di temporalità”606.

Tuttavia, la sostanza, osserva criticamente Ebner, non è necessità d'essere, ma mera

necessità di pensiero. Non è, conseguentemente, qualcosa di reale, ma qualcosa di irreale e di

astratto607. La teorizzazione di una sostanza sussistente, sganciata dalla vita e dalla parola, a

601 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 105.

602 B. Casper, Indigenza dell'Altro ed esperienza di Dio etc., in Communio, cit., pag. 33. 603 F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 313

604 Ivi, pag. 315-16 605 Ivi, pag. 316-17.

606 B. Casper, Il pensiero dialogico, cit., pag. 239.

607 “... poiché la sostanza non é affatto una necessità d'essere oppure la stessa assoluta necessità d'essere tout court e

basamento stabile dell'esistente è, quindi, del tutto artificiosa608. Nella realtà, si constata che

l'essere immediato non è quello della sostanza, l'essere detto in terza persona, ma quello dell'Io

e del Tu609. L'essere dell'essenza ha il vantaggio di presentarsi come necessario, perfetto ed

indefettibile, ma anche il limite di essere non reale e non esistente. L'essenza resta – come ha osservato Casper - “indifferente a me in quanto me stesso e al mio voler-essere e voler-vivere, é

un essere che rimane esteriore. Può essere o anche non essere. E’ in modo del tutto atemporale e scisso dalla vita spirituale concreta”610.

L'ontologia pneumatologica ebneriana pone, quindi, fortemente l'accento sulla

situazionalità, che si collega all'indigenza ontologica del soggetto. La stessa proposizione

originaria io sono, che la tradizione razionalistica aveva assunto depurandola di ogni connotazione personale, è inscindibilmente legata alla situazione. E' – scrive - un grido di

dolore che si leva dalla condizione umana.

In Ebner, tuttavia, la datità non si rivela, come per Heidegger, gettatezza, bensì orientamento verso il Tu. L'uomo si scopre finito, ma animato da un insaziabile desiderio di infinito. Questo non è poi identificabile in una dimensione o in una qualsiasi entità astratta, ma in un Tu personale. L'io è, fin dall'origine, in relazione, preceduto, convocato, interpellato, ma quello che lo precede, convoca e interpella non è un essere impersonale ed anonimo, che parla nel linguaggio, come in Heidegger, ma un Tu persona.

L'uomo coglie, quindi, la propria esistenza in relazione all'essere del Tu. Pertanto, dice “Tu sei”, prima ancora di dire “io sono”. Il “Tu sei” è, per Ebner, primordiale rispetto ad ogni comprensione intellettuale e costituisce la premessa dell'autoconsapevolezza umana. Ora, sotto un profilo strettamente ontologico, l'inquietudine dello spirito, che si concreta

nella ricerca del Tu di Dio, indica la direzione stessa dell'essere611.

Solo nella relazione con il Tu esterno alla coscienza individuale la prigionia dell’io è infranta e si coglie la realtà non come dominio, ma come incontro. La relazione Io-Tu esprime, quindi, la struttura originaria dell’essere, la profondità ontologica per la quale l’uomo non è solitudine, ma costitutiva apertura all’altro.

Anche la possibilità di dubitare dell’essere (Ebner si riferisce al dubbio iperbolico di Cartesio) si riconduce alla separazione fra soggetto e predicato: “Presentare come dubbia o semplicemente possibile l'esistenza di ciò che si afferma nella proposizione «Io sono» o che viene affermato nel «Tu sei», é altrettanto inaccettabile quanto la sua negazione diretta. Poiché la proposizione «Tu non sei» - che nella sua espressione concreta presuppone il Tu e la sua esistenza - sarebbe ovviamente altrettanto insensata quanto la proposizione «Io non sono», che solo un folle potrebbe pensare”. F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 316. Ebner si contrappone, quindi, sia alla concezione platonica dell'essere come essenza che alla concezione spinoziana dell'essere come sostanza. “Ed é merito del pensiero di Ebner proprio l'avere messo in rilievo tale differenza con tanta chiarezza attraverso tentativi e modalitá sempre nuove. Si tratta della dífferenza che si esprime nella distinzione fra le due radici etimologiche usate in tedesco per coniugare il verbo essere: bin/bast (sono/sei; dalla radice bhuH, come per

esempio anche phyo in greco e fio in latino con il significato di crescere) e ist (é; dalla radice *es come esse in latino e essere, sono, sei ecc. in italiano). Gli etimologi erano sí a conoscenza di tale differenza almeno sin dall'Ottocento ma la sua portata filosofica é stata peró scoperta ed elaborata, per quanto mi consta, per la prima volta da Ferdinand Ebner” B. Casper, «Che tutto l'essere é grazia...». Riflessioni sulla concezione dell'essere nel pensiero di Ferdinand Ebner, in S. Zucal – A. Bertoldi, La filosofia della parola di Ferdinand Ebner, cit., pp. 45-46.

608 “Essa (la sostanza) non si trova di per sé alla base dell'essere, bensì vi viene aggiunta tramite il nostro

pensare, come ciò che sussiste nell'essere” F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 316.

609 Ivi, pag. 317. La differenza fra l'essere dell'Io e del Tu esistenti e l'essere sostanziale e necessario trova riscontro

sintatticamente nell'uso dei tempi. Infatti, al primo è connesso l'indicativo, il modo della realtà, al secondo il congiuntivo, il modo della possibilità.

610 B. Casper, Il pensiero dialogico, cit., pag. 238. 611 F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 318

8 Lo spirituale

Ebner rifiuta il soggettivismo in tutte le sue implicazioni, ma non il soggettivo, in quanto tale. La sua filosofia, anzi, “risulta marcata dall'intenzionalitá di un recupero della

dimensione propriamente soggettiva della persona che va ad accompagnarsi ad una modalitá inedita di guardare all'uomo come essere strutturalmente dialogico”612.

Il fatto è che il soggetto cui Ebner fa riferimento è distante da quello idealistico, che è

assoluto, né ha a che vedere con il soggetto chiuso nell'isolamento solipsistico del

nichilismo. Esso corrisponde piuttosto allo spirituale e si rende rinvenibile in quel nucleo intimo della persona che si sottrae tanto alle ideologie quanto ai tentativi di riduzione al

dato, allo scientificamente analizzabile613. Lo spirituale, semmai, è relazione, nella misura

in cui lo spirito è, per Ebner, apertura verso il Tu.

Rosenzweig, intraprendendo un cammino analogo, preferisce parlare di religioso. Il

religioso è, a suo dire, capace di gettare un ponte tra l'assolutamente soggettivo e l'oggettivo,

perché è in grado di cogliere le mutue relazioni che legano gli elementi dell'essere. In tal modo, tenta “una decisa rottura del guscio categoriale” entro il quale la modernità aveva

confinato, settorializzandolo, l'universo del religioso614.

In tal modo, Ebner e Rosenzweig operano una vera e propria inversione religiosa nella cultura del '900. Questa appare connessa alla “comunanza fondamentale che discende dal

mutamento rivelativo della situazione umana”615. La condizione di indigenza sperimentata in

guerra (“si sta come d'autunno sugli alberi le foglie”616) impone il nulla come orizzonte

imprescindibile della filosofia. Tuttavia, questa scoperta non reclude i dialogici in una posizione negativa, perché, di fronte al fallimento dei saperi onnicomprensivi, il religioso si mostra capace tanto di squarciare i muri dell'egoità, irretita in se stessa, quanto di offrire un

orientamento. Il religioso esce, quindi, dalle regioni del sacro per invadere la vita617.

C'è da rimarcare, infine, che Ebner preferisce parlare piuttosto di spirituale. Ciò non è senza importanza, in quanto rivela la radice giovannea del suo discorso, la sua fede “in

spirito e verità” (Giovanni 4,24). Lo spirituale porta, in altri termini, in sé impressi i segni

della nuova alleanza in Cristo, del Verbo fatto carne e venuto a mettere le tende fra di noi.

612 A. Bertoldi, Ferdinand Ebner, filosofo dell'incontro. Il corpo «verbale» e la direzione dell'incontro , in Ferdinand Ebner, Communio, cit., pag. 49.

613 Il riferimento è alla psicologia analitica e ai suoi tentativi di costruire una scienza oggettiva dello spirituale. Vedi F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 236-37. L’Io analizzabile è quello “che rimane chiuso in sé ed é relativamente senza-tu”. Ivi, pag. 232-33. La psicologia è, quindi, “la logica dell'Io nella sua solitudine e dimenticanza del Tu” Ivi, pag. 234. E ancora: “…psicologia sperimentale che é totalmente impersonale, presuppone la disposizione dell'oggetto a concedersi all'esperimento, e non si rende del tutto indipendente dall'asserzione personale. Che l'essere personale in sé e per sé opponga resistenza contro ogni intento sperimentale, per quanto scientifico possa essere, é qualcosa di per sé evidente”. Ivi, pag. 238.

614 P. Ciglia, Fra Atene e Gerusalemme etc., cit., pag. 195-96.

615 M. Buber, Per la storia del principio dialogico, cit., pag. 325. Ha influito su questa conversione allo spirituale la

riflessione e meditazione sulla I lettera ai Corinzi, e, in particolare, dei vv. 44-47, cap15, nonché vv. 10-12 e 14-15, cap. 2, dove Paolo si sofferma sull'antrhopos pneumatikòs nella contrapposizione di naturale e spirituale.

616 G. Ungaretti, Vita d'un Uomo - Tutte le poesie, Arnoldo Mondadori Editore, Segrate 1969, p.86.

617 “La rivelazione non si spiega in rapporto a uno svelamento sul monte Sinai o a un'Alleanza dei patriarchi, ma

con il legame tra Dio e l'uomo oggi”. R. Horwitz, Introduzione in Mivhar Igrot Vekithei Yoman, Ed. Mossad Bialik, Jerusalem 1987, pag. 48. In particolare, “l'idea di una religione vivente si esprime per Rosenzweig nella liturgia. E' il luogo stesso della vitalità della religione. Leggere tutte le settimane la pericope della Tôrah – il Pentateuco o la Legge scritta – alla sinagoga, non significa immergersi nella storia del popolo ebraico di tremila anni fa, ma far rivivere oggi quel passato e renderlo presente”. S. Malka, Leggere Rosenzweig, cit., pag. 30.

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 97-100)

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