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L'uomo fra transitorietà e libertà in Rosenzweig

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 34-36)

Con il problema antropologico si confronta anche Rosenzweig, arrivando a considerazioni analoghe a quelle di Ebner, nel contesto di un disegno più ampio e complesso. Alla domanda “qual è il vero essere dell'uomo?” egli risponde: la transitorietà. “Estranea a Dio e agli déi”, la

transitorietà è, per l'uomo, “l'atmosfera che perennemente lo circonda, che egli inspira ed espira con ogni suo respiro”. Perché l'uomo è “perituro per essenza”208, ed è questo

che ne fa un essere intrascendibilmente singolo.

L'uomo vive immerso nel particolare, nel frammentario, nel transitorio, “al di qua

della validità universale e della necessità caratteristiche del sapere ”. Il sapere pretende

di comprenderlo, ma l'uomo lo precede. L'uomo è sempre avanti rispetto a schemi e concetti e, per questo stesso motivo, “avviene che egli sia anche dopo di esso, per gridare

così ogni volta a tutto il sapere il suo vittorioso «sono ancora qui», anche se il sapere erroneamente s'illudeva di averlo così ben imprigionato nei vasi della propria validità universale e della propria necessità”. L'uomo non è sussumibile nell'universale. “Sua essenza è appunto che egli non si lascia mettere in bottiglia, ogni volta é ancora qui ”,

205 F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 248.

206 “Da qui il senso della radicale svolta che Ebner presenta nei Frammenti pneumatologici, che costringe

nella quotidianità della vita personale a pensare altrimenti ”. S. Patriarca, “Recensione a Ferdinand Ebner. La parola e le realtà spirituali. Frammenti pneumatologici”, in Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia [in linea], anno 1 (1999) [inserito il 21 settembre 1999], disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/dialegesthai/.

207F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 248.

208 “L'uomo é perituro, essere perituro é la sua essenza così come l'essenza di Dio é di essere immortale ed assoluto

e quella del mondo é d'essere universale e necessario. L'essere di Dio é essere nell'incondizionato, l'essere del mondo é essere nell'universale e l'essere dell'uomo: essere nel particolare”. F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 64. Rosenzweig sottolinea, quindi, che la particolarità non è per l'uomo, “un evento esterno, come il mondo sarebbe ben lieto di concedergli, bensì é proprio ciò che in lui é più ovviamente comprensibile, la sua essenza”. Ivi, pag. 65.

perché “nella sua particolarità dice sempre il fatto suo alla pretesa di dominio

dell'universale”. E' poco più che nulla, ma “nello sconfinato no del suo nulla”, afferma

“il suo proprium come sua essenza”209. Rispetto al mondo, poi, l'uomo è un singolo, ma

non può esserlo “il singolo del mondo, che si erge momentaneamente, in una

interminabile catena di singoli, bensì un singolo in uno spazio sconfinatamente vuoto, (...) un singolo che non é tale come atto, né come evento, ma come perenne essenza ”. In

altri termini, non è “un'individualità che si separi da altre individualità”, epifenomeno del mondo, individuo immerso nella specie, ma entità singola senza specie, singolo che

nella sua singolarità è un Tutto210.

In particolare, la sua volontà, pur essendo legata inestricabilmente ai limiti propri, a volte ai capricci, è irriducibile. Essa, infatti, che non è espressione di potenza infinita, come la volontà di Dio, ma di finitezza, non si deprime, perché questa non ne “intacca

quel potenziale volitivo inesauribile, che ne fa un infinito tendere e una volontá indomabile”211.

Pertanto, a differenza di tutti gli altri esseri di natura, l'uomo è libero. La sua libertà non è “libertà per l'azione, ma libertà per il volere, non libera potenza, ma volontà libera ”, limitata, quanto a potere, ma non, quanto a volere. L’uomo, che non ha la libertà di Dio né la sua onnipotenza, può manifestare un volere “altrettanto incondizionato, altrettanto

sconfinato quanto é sconfinato per Dio il potere”212, può, in particolare, dire noe sottrarsi

al determinismo degli eventi. Pur impotente di fronte ai limiti della propria condizione, l'uomo non smette, pertanto, di volere e “non si accontenta”, rispondendo ad “una legge diversa da

quella della propria pesantezza”213.

Quanto all'autoconsapevolezza che l'uomo ha di sé, essa si origina da una sorta di “usurpazione della volontà libera sulla peculiarità”. Avviene, infatti, che la volontà libera si appropria del sé, immerso nella peculiarità, e lo sottrae al suo destino effimero e parziale. La peculiarità, ossia l'individualità, “viene a trovarsi sulla strada della libera

volontà” e si fa consistente, coagulandosi in un proprium caratteriale, che impedisce

all'individuo singolo di dissolversi nell’universale della specie al modo che avviene per il

mondo animale214. Il sé umano si aggrappa alla sua particolarità, cercando ostinatamente

di “tener fermo al proprio carattere generale”215, di conservare se stesso, pur nell'estrema

volatilità del proprio essere216. In conseguenza di questo volersi, acquista quella

209 Ivi, pag. 64-65. “Anche nel nulla dell'uomo, dopo che nel carattere si é dimostrato essere un nulla da cui poteva

scaturire affermazione, si può sperimentare la forza del no. Di nuovo occorre abbattere il nulla nel combattimento ravvicinato della finitudine, di nuovo bisogna far sgorgare una fonte di acqua viva da questa sorda roccia”. Ivi, pag. 66.

210 Ivi, pag. 65. Lévinas usa, a proposito del prossimo, il termine inconglobabile. Vedi: Umanesimo dell’altro uomo,

il Melangolo, Genova 1998, pag. 26.

211 E. D'Antuono, Ebraismo e Filosofia, cit., pag. 90.

212 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 67-68. “La volontà libera – precisa il Nostro - é altrettanto

libera quanto il libero agire divino, ma mentre Dio non ha volontà libera, l'uomo non ha libero potere...”. Ivi, pag. 68.

213 Ivi, pag. 66-67.

214 “Per lui soltanto la particolarità non diventa una «individualità» parziale bensì resta l'illimitata peculiarità del «carattere». (…) Nel carattere, infatti, è presente e si sperimenta la forza del no, il sottrarsi al nulla del singolo individuo: Anche nel nulla dell'uomo, dopo che nel carattere si é dimostrato essere un nulla da cui poteva scaturire affermazione, si può sperimentare la forza del no. Di nuovo occorre abbattere il nulla nel combattimento ravvicinato della finitudine, di nuovo bisogna far sgorgare una fonte di acqua viva da questa sorda roccia”. Ivi, pag. 66.

215 “Il sé é tale per il suo semplice tener fermo al proprio carattere in generale ovvero, in altri termini: il

sé ha il proprio carattere”. Pertanto, l'edificio del sé risulta “sempre singolo e tuttavia sempre uguale del singolo sé”. F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 73.

consapevolezza della propria unicità che lo costituisce come un sé distinto dagli altri sé e da ogni cosa217.

Perciò, per Rosenzweig, il giorno della nascita del sé è speciale, perché “fino a quel

giorno l’uomo è un pezzo di mondo, anche davanti alla sua stessa coscienza ”218. Il sorgere

del sé ne fa, invece, un qualcuno capace di stare “sulle proprie gambe”219. L'uomo è, a

differenza, del mondo cosale, consapevole in sé e di sé. E l'autoconsapevolezza, cui Rosenzweig fa riferimento, non ha nulla della coscienza trascendentale, in quanto si lega al

singolo e alle sue spigolosità caratteriali. “E di caparbietà e carattere” - la definisce -220,

ossia connettivo improbabile, eppure stupefacente, sintesi di tensioni universali e di

volizioni particolari, punto in cui la “pura finitudine” si salda “con la libertà”221.

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 34-36)

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