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Ancora interventi idraulici: Giovanni da Siena e l'inalveamento del fiume Lamone Obizzo ebbe forse modo di allacciare i primi contatti con il senese già nel 1406 quando cioè

3.6 1416-1424 I NCERTEZZE POLITICHE E NUOVE COMMITTENZE

3.6.3. Ancora interventi idraulici: Giovanni da Siena e l'inalveamento del fiume Lamone Obizzo ebbe forse modo di allacciare i primi contatti con il senese già nel 1406 quando cioè

Bolognesi lo inviarono in missione a Ravenna, in quell'occasione il Comune riconobbe a Giovanni un modesto compenso e la coperture delle spese sostenute per complessivi 18 lire e 9 soldi, la nota contabile che ci informa di questo fatto tace però sulle ragioni e sulla durata di quella missione659.

Grazie alla cronaca tardo cinquecentesca di Girolamo Rossi, compilata sulla scorta di alcune lettere scritte da Obizzo, oggi andate perdute, e in virtù di uno scambio di missive tra Giovanni e la Repubblica di Siena, ora conservate presso l'Archivio di Stato di quella città, apprendiamo dell'incarico che a partire dal 1416 il signore di Ravenna volle affidare al nostro ingegnere.

Per l'inalveamento del Lamone Giovanni si trovò probabilmente a coordinare un numero straordinario di lavoratori tanto che stando allo scambio epistolare citato nelle Historiarum

Rauennatum Obizzo per mezzo del figlio Ostasio, richiamò in patria i soldati che aveva inviato a

655 Durante le prolungate assenze di Obizzo da Ravenna il governo veniva esercitato dalla sorella Beatrice mentre Ostasio deteneva la reggenza dello stato.

656 VASINA 1993, p. 594.

657 HISTORIARUM RAUENNATUM, Libro VII, p. 607; BALDUZZI 1884, pp. 168-169; CORBELLI, 1907; p. 53.

658 Il 6 febbraio 1431 il pontefice aveva rinnovato ad Ostasio il vicariato della Santa Sede, concesso nuovamente l'anno successivo e nel 1436, ma il sostegno e la legittimazione della Chiesa non bastarono a proteggere l'erede da una condizione di estrema precarietà, stretto ancora una volta tra i piani egemonici di Milano e Venezia. La situazione precipitò quando Ostasio, non potendo contare su sufficienti difese da parte della Serenissima, per arginare l'invasione delle truppe viscontee dovette scendere a compromessi con i milanesi e a quel punto, venuto meno i patti con la Serenissima, i veneziani presero ad attuare una forma di condizionamento politica e militare sempre più aggressiva al fine di togliere ai polentani il dominio della città. Quando dopo due anni le truppe viscontee si ritirarono, la città era attraversata da lacerazioni interne e la pressione della Repubblica si fece ancora più insistente tanto che i polentani, accettando loro mal grado la protezione della Serenissima, abbandonarono la città, ma ben presto la loro condizione divenne quella di esuli e prigionieri, prima a Venezia, poi a Treviso e infine nell'isola di Creta, qui Ostasio trascorse i suoi ultimi giorni morendo in circostanze non del tutto chiare nel 1444.

Ludovico Manfredi in quanto quasi tutti gli uomini disponibili della regione dovevano essere occupati nei lavori idraulici. La risistemazione del Lamone assumeva inoltre un'importanza che superava i confini del vicariato ravennate, riverberandosi sul tratto fluviale che attraversava, più a monte, il territorio faentino. A tal proposito Obizzo, che durante la prima fase dei lavori risulta impegnato a Venezia scrisse al signore Faenza Giangaleazzo Manfredi per sollecitarlo a sostenere l'impresa così come aveva promesso in precedenza, con la medesima richiesta il polentano inviò il 5 giugno una missiva alle magistrature faentine affinché inviassero a tal proposito il loro aiuto660.

Ritornato in patria Obizzo seguì l'impresa in prima persona, infatti, sempre stando alla cronaca di Girolamo Rossi, nei mesi di novembre e dicembre del 1416 egli si trova a Bagnacavallo in compagnia dello stesso Giovanni per prendersi cura dei lavori661. Non stupisce che il signore di

Ravenna seguisse il procedere dell'opera in modo attivo, del resto proprio sulla sicurezza dei fiumi si giocava non solo la difesa dalle penetrazioni di eserciti ostili, ma soprattutto la prosperità delle campagne e la sopravvivenza degli insediamenti, così come era per gli altri principi della regione basso-padana, il controllo delle acque costituiva un irrinunciabile banco di prova, sul quale il signore di Ravenna si giocava il consenso dei sudditi e l'immagine di un governante capace.

La natura di quegli interventi idraulici così come una puntuale ricostruzione degli ambiti di intervento risultano una questione di non facile interpretazione. Ripercorrendo le mutazioni dell'assetto idrografico del Lamone sembra sia possibile individuare per i secoli tardo-medievali e la prima età moderna almeno quattro differenti configurazioni del percorso fluviale a valle della città di Faenza. Fino al 1240 il percorso del Lamone, una volta scese le pendici appenniniche e superata l'area faentina, attraverso un percorso già profondamente artificializzato, puntava decisamente verso oriente arrivando a lambire le mura settentrionali di Ravvena e più a est sfociava nel Mar Adriatico nei pressi di Porto Fuori. Durante il 1240 Ravenna subì l'assedio di Federico II di Svevia, che per

660 HISTORIARUM RAUENNATUM, Libro VII, p. 607: «Paulo post XIII kal. Jun. Ravenna profectus [Opizo Polentanus],

cum coniuge ac sorore, Pado devectus, Ferrariam, atque inde Venetias se contulit: Ravennam administrabat Hostasius filius, qui V. kal. equos aliquot patris, item ad Carolum Malatestam, petentem illos misit, eodemque die scripsit ad Ludovicum Manfredum, ut quos illi pater dederat pedites, remitteret: non enim posse eos diutius extra Ravennatem ditionem commorari, quando omnes fere huius regionis homines in deducendo in alveum Anemone fluvio essent occupati. His autem litteris non Hostasius ipse tantum, sed et Laurentius Venerius Praetor, subscripsit. Curabat autem Opizo magnopere eam fluminis deductionem, quam videbat Ravennati plurium agro, et Bagnacavallensi, ac reliquis profuturam et per hosce dies ad Ioannem Galeatium Manfredum, Faventinum Principem, Venetiis scripsit, eam ut iuvaret, quia et ita iam fuisset pollicitus, et magnum illa esset Faventinae rei commodum allatura: et Ravennam reversus, ad Magistratus Faventinos; quos vocat Antianos, Nonis Iunii, per litteras significavit, tantisper sustinerent, dum Ioannes Senensis Ravennam veniret, quod propediem foret, tunc enim eam se rem curaturum diligentissime. Secondo la traduzione di Mario Pierpaoli: «Poco dopo, il 20 maggio [1416], partito da Ravenna con la moglie e la sorella e viaggiando sul Po, si recò a Ferrara e di lì a Venezia. Amministrava Ravenna il figlio Ostasio, il quale il 28 maggio sempre a Carlo Malatesta, a sua richiesta, mandò alcuni cavalli del padre: nel medesimo giorno scrisse a Ludovico Manfredi, perchè gli rimandasse i fanti che il padre gli aveva dato: essi non potevano stare più oltre fuori della giurisdizione di Ravenna, mentre quasi tutti gli uomini di questa regione erano occupati nel condurre dentro un alveo il fiume Lamone. Questa lettera fu firmata non soltanto da Ostasio, ma anche dal Podestà Lorenzo Venerio. Opizo aveva grande cura di quella inalveazione, perchè vedeva che sarebbe stata molto utile per il territorio ravennare, per quello di Bagnacavallo e per gli altri. Proprio in questi giorni da Venezia scrisse a Giangaleazzo Manfredi, signore di Faenza, perchè lo sostenesse, sia in quanto l'aveva già promesso sia perchè essa avrebbe arrecato grande vantaggio alla situazione di Faenza. Ritornato a Ravenna, il 5 giugno scrisse una lettera ai magistrati faentini, chiamati 'anziani', raccomandando che lo sostenessero, finchè fosse arrivato a Ravenna Giovanni da Siena, il che sarebbe presto avvenuto; allora avrebbe avuto lui la massima cura dell'opera» (STORIERAVENNATI 1996, p. 618).

661 HISTORIARUM RAUENNATUM, Libro VII, p. 609: «Extremo anno Mense Novembri, Decembrique Opizo in Opido

Bagnacavallo fuit, et cum secum esset Joannes Senensis Architectus, de flumine Anemone in aleveum deducendo accurate egit: cumque apud se Galassum Pium haberet, eum cum Marco Pio, quem appellat compatrem suum in concordium aduxit … ». Secondo la traduzione di Mario Pierpaoli: «Alla fine dell'anno, in novembre e dicembre, Opizo si trovava nella rocca di Bagnacavallo, dove, avendo con sé l'architetto Giovanni da Siena, si prese molta cura per la deviazione del fiume Lamone. Avendo presso di sé Galasso Pio, lo indusse a far pace con Marco Pio, da lui chiamato proprio compare» (STORIE RAVENNATI 1996, p. 619). Forse in quell'occasione Galasso Pio ebbe modo di conoscere

Giovanni e non sorprende che quando negli anni '50 lo stesso Galasso impiegasse nella costruzione della parte sommitale del suo Torrazzo di Carpi quei merci con nicchie che tanto sembrano ricordare quelli della Rocca Grande di Finale Emilia.

togliere alla città l'approvvigionamento idrico del Lamone si risolse di deviarlo qualche chilometro più a ovest tra Godo e Russi. Il fiume prese così a incanalarsi nell'alveo di Piangipane, spostando il suo percorso terminale più a occidente. L'assetto prodotto dalla diversione federiciana ebbe vita breve e già negli ultimi decenni del XIII secolo il fiume aveva deviato poco più nord di Faenza, nei pressi di San Barnaba, qui il corso d'acqua aveva presumibilmente preso a scorrere all'interno della gronda spenta del fiume Santerno, migrando in tal modo ancora più ad ovest e puntando verso nord, lambendo il castello scomparso di Raffarana662 e disperdendosi nelle paludi costiere. Infine, tra

l'inizio degli anni '80 del Quattrocento e il 1504 i Veneziani stravolsero la terminazione del fiume mediante una canalizzazione lunga 12 km che permetteva al Lamone di sfogare le proprie acque non più nelle valli ma nel Po di Primaro663.

Stando a questa ricostruzione, si potrebbe ragionevolmente ipotizzare che Giovanni si trovò ad intervenire nel tratto di fiume che sin dalla seconda metà del Duecento si prolungava da San Barnaba fino al villaggio di Santerno, a est dell'abitato di Bagnacavallo. La cronaca di Girolamo Rossi non permette di spingersi a precisazioni topografiche più accurate, ma ad ogni modo sembra plausibile che non si trattasse di una vera e propria diversione664, infatti l'alveo occupato nel XIII

secolo sembra in massima parte coincidere con quello attuale. Sembra più probabile pensare che Giovanni non mutasse significativamente il corso del fiume e che il suo compito consistesse principalmente nel dirigere la costruzioni di argini che costringessero il fiume all'interno di un alveo ben delimitato «in aleveum deducendo» in modo da evitare i pericoli delle esondazioni.

Sappiamo da fonti epistolari che questi lavori proseguivano speditamente nella primavera del 1417 tanto che l'ingegnere senese non poteva allontanarsi dal cantiere per tempi troppo prolungati. Nel marzo di quell'anno la Repubblica si Siena ne reclama infatti la presenza inviando al Comune di Bologna e allo stesso Giovanni due missive in proposito.

Al Comune i senesi chiesero di accordare a Giovanni la licenza di un mese affinché egli potesse recarsi in patria e fornire alcune informazioni riguardanti beni e possedimenti situati nel castello di Radicofani (luogo di origine del nostro ingegnere)665, con le medesime motivazioni farà recapitare a

Giovanni un'altra lettera, che gli giungerà per mano di un famiglio, appositamente incaricato dalla Repubblica di accompagnarlo nel viaggio in patria. In questa missiva la Repubblica invita Giovanni ad intraprendere la via di Siena per amore e «rispetto dell'anticha cittadinanza», facendosi carico delle spese del suo trasferimento ed assicurandogli «che [ciò] non sarebbe senza vostro utile»666. La

risposta di Giovanni arriverà a stretto giro il 6 aprile 1417: «Magnifici et potentes Domini, domini mei singularissimi.

Ho ricevuta la vostra littera, per la quale me requezite per certe informatione vorebbe la M. Vostra da me, debba venire a la presentia de quella. A la quale rispondendo, dico: che considerato lo amore de la patria, et appresso quando sia perfectissimo servitore de la prefata Magnificentia Vostra, non è cosa pur fosse a me possibile, per quella non facesse: e dico cum animo sincero. E di ciò ben poter la M. Vostra essere certissima. Ma considerato, che mi sia conducto alli servitii di questo mio magnifico signore, signore Oppizo da Polenta, el quale ha fatto principiare certi lavori d'importantia grandissima, e da li quali non me poteria per modo alcuno absentare, che non redundasse a gravissimi danni al prenominato magnifico mio Signore, e a me in grande vergogna; per modo alcuno non vegio, che me ne dole et pesa fino a la morte; potere fare quanto desiderarebbe ipsa vostra Magnificentia, et serìa stata mia intentione. Si che adunque diguise my sp servidore haverme per excusato, attento le casone dicte. A li servitii soi sempre apparecchiato offerendome.

Datum Arimini die VI Aprilis 1417.

662 Raffanara è il nome alternativo con cui è consciuto il Lamone.

663 Sul quadro idrografico ravvenate tra XI-XV secolo si rinvia a FABBRI 1993, ed in particolare per quanto riguarda il

Lamone pp. 49-51, e le tavole III-IV.

664 Così come Mario Pierpaoli traduce l'espressione latina «de flumine Anemone in aleveum deducendo». 665 APP. I - DOC 105 (1417, marzo 30)

Vostre Magnificentie, Servitor Ioannes de Senis».667

La richiesta di licenza inviata da Siena a Bologna lascia pensare che Giovanni intrattenesse ancora con la città un qualche rapporto di dipendenza, ma nella sua risposta del 6 aprile ciò non emerge in alcun modo, al contrario si riafferma uno stretto legame di obbedienza alle prerogative del signore di Ravenna, cioè come scrive il senese: «alli servitii di questo mio magnifico signore».

Quanto durarono i lavori per la sistemazione del Lamone? Non ci sono fonti primarie successive alla primavera del 1417 ma secondo quanto scrive Corrado Ricci l'impresa fu destinata a prolungarsi sino al 1420668.

Il nome di Giovanni ricomparirà poi in una voce sporadica di un registro di tesoreria del Comune di Bologna nell'anno successivo ma unicamente per essere citato quale intestatario di una partita doppia che lo vede debitore del Comune nel 1421 di 18 lire e 10 soldi e creditore della stessa somma nel 1424, ma nessun accenno a commissioni di alcun genere669. Solo a partire dal 1425 le

fonti scritte testimoniano con certezza che egli era entrato stabilmente al servizio di Nicolò III d'Este. L'assenza di fonti scritte tra il 1417 e il 1425 determinano il periodo più oscuro della biografia giovannea: il passaggio tra la committenza dei polentani e quella degli estensi non è chiaro, vista l'alta competizione che animava i principi italiani per conquistarsi le competenze del senese, egli ebbe molto probabilmente modo di adoperarsi per altri committenti, forse per gli stessi Montefeltro citati nella cronaca di Girolamo Rossi, ma allo stato delle nostre conoscenze il problema è destinato a restare ancora aperto.

667 Riportato in APP. I - DOC 107 (1417, aprile 6) 668RICCI 1904, p. 43.

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