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P ARTE IV: 1425-1439 G IOVANNI DA S IENA ALLA CORTE DI N ICOLÒ III D 'E STE

4.2. L A R OCCA G RANDE DI F INALE E MILIA

4.2.10. Diffusione di forme e schemi architettonic

Le architetture della Rocca Grande possono essere confrontate con alcune delle più importanti esperienze dell'Italia centro-settentrionale tra Tre e Quattrocento, riservando una particolare

834 Profili semicircolari e in due casi semicolonne tortili con basi e capitelli espandono i prospetti degli appoggi, riducendo al contempo l'ampiezza delle aperture del secondo e terzo registro.

attenzione a quella costellazione di episodi edificatori, spesso del tutto trascurati, sorti nei territori estensi e nelle aree contermini. Proprio l'esame comparativo sembra assumere una particolare rilevanza per individuare sia gli aspetti di originalità sia gli elementi di continuità che contraddistinguono il lessico giovanneo in rapporto alle tradizioni basso-medievali.

Come visto in precedenza, una lettura impropria della cronaca di Delayto, aveva dato avvio a una tradizione storiografica che assegnava a Bartolino da Novara un ruolo predominante nella definizione dell'assetto quattrocentesco della Rocca Grande. In tempi relativamente recenti si è cercato conferma di questa attribuzione attraverso una comparazione tra il caso finalese e due opere attribuite da sempre a Bartolino: il castello di San Michele a Ferrara e il castello di San Giorgio a Mantova836. Per analogia, a Finale, l'aspetto quasi simmetrico del fronte meridionale serrato tra due

torri angolari strutturalmente simili sembrava avvalorare l'attribuzione all'ingegnere novarese. Dalla comparazione con questi modelli emergono tuttavia diverse significative discordanze. In primo luogo mentre i castelli di Ferrara e Mantova presentano una pianta quadrangolare con quattro torri angolari di altezza simile, la Rocca di Finale mostrava un'articolazione rettangolare con quattro torri ai vertici su cui dominava un mastio che raggiungeva un'altezza marcatamente superiore rispetto al resto della struttura. L'altezza preminente della torre maggiore e il suo posizionamento asimmetrico all'interno dell'impianto generale sembrano allontanarsi dalla regolarità con cui Bartolino da Novara, muovendo dall'esperienza dei castelli viscontei, aveva disegnato gli impianti delle fortezze di Ferrara e Mantova.

La configurazione degli alzati di Finale presenta diversi dettagli architettonici riscontrabili estesamente in ambito padano. Si pensi alla combinazione della scarpa e del cordolo alla base della rocca: una soluzione, ricorrente non solo nelle strutture fortificate ma anche nel vocabolario dell'edilizia residenziale rintracciabile in un cospicuo numero di edifici ferraresi del tardo Quattrocento. I prospetti di torri e corpi di cortina sono modellati dal basamento sino all'attacco dell'apparato a sporgere con grande sobrietà, le poche e modeste aperture rispondono a forme semplici lontane dalle preziose soluzioni polilobate che ornavano le finestre dei castelli lombardi837.

Anche gli archetti trilobati sorretti da beccatelli furono un motivo architettonico, impiegato diffusamente in molteplici varianti, rintracciabile in raffigurazioni pittoriche e in un certo numero di fabbricati militari e civili non solo dell'area padana838.

La rappresentazione della città di Ferrara vista da sud, eseguita da Carlo Antonio Bianchi e incisa da Francesco Bolzoni nel 1688839, sembra precisare in modo inequivocabile la presenza di archetti

trilobati sopra i beccatelli di tre delle torri del Castel Vecchio; oggi l'osservazione diretta del manufatto mostra però una realtà solo in parte sovrapponibile con il documento iconografico. Il motivo trilobato raffigurato è infatti rintracciabile con sicurezza solo nel coronamento della torre di sud-est (Torre Marchesana), mentre le altre tre mostrano oggi beccatelli con la più semplice e diffusa soluzione a tutto sesto o archiacuta. L'autore della rappresentazione tardo seicentesca potrebbe avere volontariamente apportato delle alterazioni fantasiose per imprimere maggiore

836 PEROGALLI 1972, pp. 80-81; FIOCCHI 1985, pp. 94-111; GUERRA 2007, pp. 21-32.

837 Si veda in proposito VINCENTI 1981. Ad esempio nei castelli di Pavia e di Pandino a rimarcare la vocazione

residenziale dell'edificio erano le ampie finestre ad arco acuto e le bifore riccamente decorate che finirono per rappresentare un elemento identificativo dell'immagine dei castello viscontei. Queste grandi ed eleborate aperture sarebbero state incompatibili per i fronti esterni della Rocca Grande, certamente avrebbero costituito delle vulnerabilità in un organismo edilizio altamente esposto per la sua posizione ad un possibile assedio e ad un conseguente attacco ossidionale.

838 Si pensi all'architettura merlata raffigurata negli Effetti del Buon Governo sulle Campagne nel ciclo pittorico realizzato da Ambrogio Lorenzetti nel palazzo pubblico di Siena (databile al 1338-1339). Per quanto riguarda gli edifici concretamente realizzati gli esempi non mancano: nel Bolognese si veda il coronamento della la torre del castello della Galeazza eretta dai Pepoli non lontano dal confine con il Ferrarese e il Modenese. A Napoli il prospetto di Palazzo Penne; in Lombardia il castello di Barco di Orzinuovi (provincia di Brescia); a Siena il castello delle Quattro Torra, altri casi ancora a San Gimignano e Firenze.

839 BCAFe, Fondo Crispi, Serie XVI, n. 65. Si veda inoltre l'incisione del castello di Ferrara risalente al 1709 di V. M. Corelli (1650-1718) (edita in METALLIANO 1984, Tav. III)

omogeneità ed eleganza alla mole del castello, ma non si può del tutto escludere che in origine anche le altre torri presentassero un motivo analogo, poi alterato e cancellato da successivi rifacimenti.

Certo il castello di Ferrara, la rocca di Finale e il fronte sud-ovest della rocca di Lugo840 dimostrano

che questo particolare dettaglio dei beccatelli, pur soggetto a variazioni del tema, trovò un ampia diffusione nelle imprese fortificatorie promosse dal potere marchionale tra Tre e Quattrocento. Anche l'edilizia residenziale ferrarese, per cui non sempre è agevole individuare il nome della committenza, presenta tracce di soluzione trilobate nei coronamenti, come ad esempio nel fronte orientale di un fabbricato situato all'angolo tra via San Romano e via Ragno, o nel più vasto edificio posto lungo via Mazzini, ai numeri civici 18-36, qui l'apparato a sporgere acquisisce maggiore profondità conferendo grande omogeneità ad un organismo edilizio in realtà suddiviso in quattro immobili affiancati841. A Badia Polesine, i beccatelli con archetti trilobati concludono l'elegante

prospetto del cosiddetto Palazzo degli Estensi. Badia con il resto dei territori del Polesine di Rovigo era stata ceduta dalla Repubblica di Venezia ai marchesi di Ferrara alla fine del regno di Nicolò III, non risulta quindi difficile pensare che i marchesi desiderassero affermare il dominio sulla regione anche attraverso architetture che parlassero un lessico a loro famigliare842.

Le nicchie trilobate ricavate in corrispondenza dei merli sembrano un dettaglio architettonico meno frequente, è possibile tuttavia riscontrarne l'impiego ad esempio nel Palazzo Pretorio di Lendinara (Polesine di Rovigo) e in uno dei corpi di fabbrica che formano l'articolato e pluristratificato palazzo dei Pio a Carpi843 noto come torrione di Galasso o anche come torrione degli Spagnoli844.

I caratteri di maggiore originalità del complesso finalese sembrano invece concentrarsi nei loggiati del cortile interno, qui le arcate su pilastri addossati si configurano come una vera e propria soluzione alternativa rispetto a quella dei porticati su sostegni liberi molto più diffusi nei cortili delle dimore signorili e nei palazzi di governo.

I semipilastri e le semicolonne che ornano i sostegni del loggiato segnalano una particolare attenzione alla continuità delle linee verticali non lontana, almeno sul piano concettuale, ai fronti del cortile del palazzo pubblico di Siena (certo ben noto a Giovanni) dove i semipiliastri legano inseme il porticato al livello della corte con i piani superiori, terminando solo all'altezza del

840 Nella rocca di Lugo la soluzione trilobata, simile a quella finalese, viene utilizzata nel corpo sud-occidentale dove si trovano l'ingresso carrabile e quello pedonale. Dopo complesse vicende storiche la cittadina di Lugo era rientra nella sfera di controllo Estense a partire dal 1447 (PEROGALLI 1972, pp. 84-85) nello stesso anno si diede inizio alla

costruzione di nuove mura cittadine procedendo anche a lavori alla rocca con il coinvolgimento di Pietrobono di Giuliano Brasavola, a cui succedette il figlio Pellegrino che proseguirà i lavori sino al 1467 (sui Brasavola si veda TOFFANELLO 2010, pp. 139-146).

841 GRAZIANI SECCHIERI 2006. La ripartizione in quattro unità è solo parzialmente percepibile dal raddoppio dello

spessore dei beccatelli in corrispondenza dei muri di confine. L'edificio si trova lungo la cosiddetta via dei Sabbioni, in una posizione centrale rispetto al centro commerciale, religioso e politico della città. La facciata del palazzo, con il suo prezioso coronamento e altri dettagli architettonici di cui oggi ci restano poche tracce, esprimeva il prestigio di uno o più committenti privati (a tutt'oggi sconosciuto/i) . Tra gli anni '20 e '30 del Novecento furono attuati lavori di restauro che rideterminandone pesantemente l'aspetto attuale delle facciate, modificate secondo lo stile “neoestense” che allora dominava; decadde invece di completare i beccatelli con una merlatura del tutto inventata.

842 Su Badia Polesine si veda la bibliografia riportata in PATITUCCI UGGERI 2002, nota 155.

843 Sul palazzo dei Pio di Carpi vedi SEMPER – SCHULZE – BARTH 1999; SVALDUZ 2001; GHIZZONI 2004; IL PALAZZO

2008.

844 Il torrione di Galasso appare oggi come un corpo distinto e separato rispetto al resto del complesso edificata dalla famiglia Pio. È impostato su una pianta rettangolare e si sviluppa su quattro piani. I prospetti sono contraddistinti da aperture diverse per tipologie e dimensione: chiaro risultato di successivi interventi e stratificazioni. L'ultimo piano presenta su tutti e quattro i lati un'alternanza tra finestre e merlature con nicchie ad arco carenato. L'attuale configurazione si deve all'intervento di Galasso III Pio (1418-1465) il quale unì due torri preesistenti dando forma al grande torrione che ancora oggi porta il suo nome (le trasformazioni vennero attuate tra il 1443 e il 1456 circa) (ROSSI –

SVALDUZ 2008, FOLIN 2008 p. 53 e nota 32). A differenza del resto del complesso carpigiano il torrione venne ceduto

agli inizi del Cinquecento da Gilberto III Pio al duca d'Este, quest'ultimo lo destinò a funzioni prevalentemente pubbliche quale abitazione del podestà, sede del Banco della Ragione (già in precedenza accolto nel stesso torrione) sede della Cancelleria, e successivamente anche destinato all'uso carcerario (GOLDONI 2008, p. 45).

coronamento dell'edificio.

Il vestito architettonico del loggiato finalese è certamente più sofisticato di quello di Siena, sembra infatti quasi riecheggiare non tanto il lessico dei palazzi pubblici quanto le forme dei sostegni nelle navate delle cattedrali tardo-medievali; del resto l'edilizia religiosa poteva costituire una insuperata riserva di soluzione formali di altissima qualità a cui poter attingere per nuove sperimentazioni. Se infatti la verticalità era assicurata con varie combinazioni nelle innumerevoli architetture religiose, in generale si può invece affermare che nei cortili interni come nei prospetti perimetrali delle fabbriche tardo-medievali italiane, siano esse civili, militari o abbiano una doppia funzione difensiva e residenziale, non sembra sussistere una diffusa esigenza di stabilire soluzioni di dettaglio che raccordino verticalmente i porticati con i piani superiori (siano essi ornati da loggiati o costituiti da una parete finestrata). Ciò appare evidente nelle architetture dei palazzi comunali di Piacenza (1280), nella loggia dei Militi di Cremona (1292), nei cortili interni della rocca di Spoleto (1362-1370) e del Collegio di Spagna (1365-1370), nel cortile del palazzo comunale della stessa città (1425), nei castelli viscontei di Pandino (1379 e seguenti) e di Pavia (1360-65) e nelle facciate del palazzo ducale di Venezia (1340-tardo XIV secolo, e dopo il 1424). Nelle stesse architetture brunelleschiane come ad esempio nella facciata dell'Ospedale degli Innocenti le trabeazioni stabiliscono una cesura netta tra i due livelli delle facciata.

La loggia meridionale della rocca di Finale mostra inoltre analogie importanti con quella della rocca di Vignola: l'originalità dei due impianti è tale da essere stati recentemente definiti come un vero e proprio unicum nella produzione edilizia dell'area padana. Il fronte loggiato voluto da Nicolò III costituirebbe forse una variante di quanto sperimentato in precedenza secondo forme più semplificate nelle trasformazioni ordinate qualche anno prima da Uguccione Contrari (1379?-1448) per il suo castello di Vignola845. In entrambi i casi i loggiati affacciano su spazi scoperti di

dimensioni piuttosto contenute e presentano aperture di ampiezza significativamente maggiore rispetto alla larghezza ridotta dello spazio passante che da queste riceve luce e aria846.

A distinguere invece in modo significativo i due episodi è l'articolazione dei sostegni. Al primo piano nella rocca del Contrari le arcate non sembrano altro che bucature ritagliate in un setto murario continuo; diversamente nella rocca di Nicolò III il livello più basso è contraddistinto da una sequenza di sostegni addossati alla parete retrostante configurati come setti murari pieni sovrastati da volte a botte ad arco a sesto ribassato. Mentre a Vignola il piano terra consente un passaggio trasversale in quella di Finale la soluzione adottata implica che gli spazi sottesi da ciascuna campata non siano tra loro comunicanti se non mediante l'attraversamento dello spazio scoperto o percorrendo gli appartamenti che sul cortile affacciano.

In questi termini appare evidente che lo schema strutturale del piano terra del loggiato finalese e di quello di Vignola siano molto diversi, entrambi tuttavia si configurano come soluzioni del tutto alternative a quelle dei porticati più comuni.

Quali modelli architettonici furono alla base della singolare articolazione del loggiato finalese? Durante il medioevo le strutture composte da arcate addossate ad una parete retrostante, impostate su sostegni privi di soluzioni passanti, ebbero una certa diffusione ma principalmente furono impiegate per sostenere i camminamenti di ronda delle fortificazioni847. Ne sono una testimonianza

materiale le mura di Montagnara, i resti delle trecentesche mura di Bologna o di quelle erette da Bartolino a Finale nel secolo successivo; numerose anche le rappresentazioni iconografiche, si pensi

845 VANDELLI 2007.

846 Come accennato in precedenza il cortile della rocca di Vignola ricalcava lo spazio del preesistente recinto diminuita della parte occupata dal corpo loggiato. A Finale il perimetro del cortile conservò solo il versante settentrionale del castello-recinto trecentesco. A Vignola il cortile sarebbe risultato ancora più angusto se le campate fossero state proporzionate secondo una pianta quadrata su pilastri o colonne (come ad esempio avviene nei cortili della rocca di Spoleto o del castello di Pavia).

847 L'impiego di strutture addossate si ritrova inoltre nell'edilizia civile ed ecclesiastica in molteplici esempi duecenteschi: come si può ancora oggi vedere sul fronte del Palazzo del Capitano del Popolo di Orvieto (1250?) o nella maestosa facciata della basilica di Sant'Antonio di Padova (1231), qui le imponenti arcate, impreziosite da ricercati dettagli architettonici, sostengono le esili colonne di un aereo loggiato soprastante.

ad esempio alle architetture dipinte nel mese di Aprile nella fascia inferiore del salone dei mesi di palazzo Schifanoia a Ferrara, opera di Francesco del Cossa (1435-1478).

Le ricerche archeologiche hanno confermato la circolazione di questa configurazione per i recinti di diversi fortilizi dell'area padana, tra cui la rocca di Cento (almeno a partire dal 1460) 848, e i fortilizi

di Pieve di Cento e di Castel San Pietro Terme849. Analogamente, gli scavi archeologici condotti nel

Castel Vecchio di Ferrara (forse radicalmente modificato già durante il XV secolo), hanno messo in luce le fondazione di una serie di ambienti addossati alla parete nord del fortilizio e aperti verso il cortile850.

L'assetto planimetrico della rocca di Finale, molto probabilmente risultato di più di un ripensamento progettuale, appare oggi come un insieme di nuclei giustapposti in cui spicca la singolare regolarità della suddivisione degli ambienti contenuti nel corpo meridionale. Qui i sostegni del loggiato sono ben allineati con i setti murari che suddividono trasversalmente gli spazi interni secondo una rigida impostazione non ravvisabile nell'organizzazione del resto del complesso. La coincidenza risultante tra il numero delle campate del loggiato e quello dei vani interni instaura una stringente rispondenza tra interno ed esterno, configurandosi come una soluzione alternativa alle logiche meno vincolati con le quali furono disegnati alcuni dei più significativi esempi di cortili porticati dell'epoca851.

Nella Rocca Grande l'allineamento tra le architetture addossate e gli spazi retrostanti risulta ancora più singolare se paragonato con le articolazioni planimetriche dei cortili di di palazzo Sacrati852 e di

848 M. Librenti, 2.3 Le strutture murarie e lo scavo 1992, in La Rocca di Cento: indagini storiche e archeologiche, a cura di M.Librenti, Firenze, 2006, p. 103. ricostruzione a p.112 figura 60.

849 LIBRENTI, 2006: viene qui riportato in fig. 4 a p. 187 il disegno ricostruttivo della rocca di Castel San Pietro Terme

(BO) della metà del XIV secolo (elaborato e già edito in MOLINARI 2001); in fig. 5 a p. 188 viene riprodotta la

ricostruzione della rocca trecentesca di Pieve di Cento (BO) (elaborata da P. Nannelli e edito in: LA ROCCA 1994, p. 10).

850 GELICHI 2002. Secondo l'autore il castello di San Michele di Ferrara era caratterizzato durante una fase iniziale da

un cortile fornito su tre lati di un primo porticato impostato su pilastri in mattoni a sezione quadrangolare. Viene presa in considerazione inoltre l'ipotesi che alle strutture di fondazione in muratura potessero corrispondere sostegni di una tettoia costituiti da semplici pali di legno, che escluderebbero l'esistenza di un loggiato con volte a crociera. Questo primo impianto fu soggetto ad un intervento di riedificazione durante il Quattrocento dando forma ad una sequenza di arcate ogivali su pilastri addossati ad un corpo di fabbrica retrostante. L'analogia con il cortile di Finale Emilia è ripresa nello stesso contributo (nota n. 23 a p. 38). Viene infine ipotizzato che le strutture siano state demolite forse alla volontà di Ercole II all'indomani del terremoto del 1554.

851 Ad esempio nel castello di Pavia le campate del porticato eccedono in numero gli spazi quadrangolari contenuti nel corpo di fabbrica ad esse contiguo. Nell'Ospedale degli Innocenti del Brunelleschi o di Belriguardo si può notare che i sostegni liberi dei porticati e dei loggiati dei cortili non presentino allineamenti con le pareti che suddividono gli spazi interni dei corpi di retrostanti.

852 La configurazione di Palazzo Sacrati (oggi Muzzarelli-Crema) si lega a complesse vicende patrimoniali che riguardarono diversi edifici e proprietà posti in Borgonuovo a Ferrara, acquistati e trasformati a più riprese da una delle maggiori famiglie ferraresi del tempo di Nicolò III. L'ascesa dei due rami della famiglia Sacrati si combinò con l'incremento delle concessioni marchionali e con l'affidamento di prestigiosi incarichi nell'amministrazione dello Stato. Solomone Sacrati ricoprì ad esempio la posizione di massaro del Comune dal 1369 per alcuni anni e nel 1375 venne indicato come “ricco cittadino” (DEAN 1990, p. 159). Durante il secolo successivo troviamo a capo dell'ufficio che

soprintendeva alle tenute estensi (l'officium super possessionibus) Jacopo Sacrati, in carica dal 1411 alla seconda metà del decennio 1420-30; Francesco di Francesco Sacrati dal 1429 al 1436 e il figlio di Jacopo, Paride, dal 1437. I Sacrati furono inoltre coinvolti nelle attività finanziarie tanto che Jacopo risulta tra i membri dell'arte dei banchieri nel 1426 (DEAN 1990, p. 163). Segno distintivo di un status sociale elevato fu la concessione del titolo comitale a Francesco

Sacrati (DEAN 1990, p. 169). Jacopo godette invece di concessioni di terre unite a immunità fiscali nel comune di Adria

(DEAN 1990, p. 164). Ai Sacrati vennero inoltre assegnati in feudo dei “palazzi” di Rubiera, già dei Boiardi a cui si

aggiunsero altre proprietà precedentemente dei Boiardi, vendute dalla Camera nel 1433 a Francesco Sacrati. Durante il 1441 lo stesso acquistò Fusignano, in Romagna, ceduto quattro anni più tardi a Leonello d'Este in cambio di altre terre nel Reggiano (DEAN 1990, p. 169). A Ferrara lo splendido palazzo della famiglia prospetta a nord sul vicolo del Teatro

e a sud lungo l'attuale via Cairoli. (questa costituiva l'asse viario attorno cui sorse il cosiddetto “Borgonuovo” dove si concentravano durante il Quattrocento alcune delle residenze delle famiglie più importanti di Ferrara). Risale al 1298 la prima attestazione della presenza della famiglia Sacrati in Borgonuovo, in quell'anno Uberto detto del Sacrato acquisì parte di una casa soggetta al diritto d'uso della Fabbrica della Cattedrale di Ferrara. Il patrimonio immobiliare della famiglia in Borgonuovo venne incrementato nel 1374 dall'investitura concessa dalla Fabbrica della Cattedrale a Zilla

Casa Romei853, entrambe opere attribuite a Pietrobono Brasavola senza evidenze documentarie854. I

cortili delle due dimore ferraresi, realizzati presumibilmente intorno alla metà del Quattrocento, sono abbelliti da loggiati sostenuti da arcate impostati su pilastri addossati ad una parete di chiusura o lasciati liberi in corrispondenza dell'accesso di una scala esterna come nel caso palazzo Muzzarelli855. La continuità verticale, rimandando ad un'attenzione già espressa nel loggiato di

Finale, viene assicurata, in corrispondenza dei pilastri e delle mensole, da semicolonne e paraste semiesagonali con capitelli e basi che seguono l'inclinazione delle costolature. Rispetto alla rocca di Giovanni i due complessi ferraresi presentano sostegni in cui si innestano delle strutture a sporto che aumentano la profondità delle sovrastanti arcate a sesto ribassato ampliando in tal modo anche la larghezza del loggiato superiore. Lo scarto maggiore resta tuttavia a livello planimetrico: diversamente da Finale si può infatti notare chiaramente che i sostegni delle strutture addossate dei due cortili ferraresi non intrattengono alcuna rispondenza con le suddivisioni interne dei corpi retrostanti.

Gli artefici dei loggiati di Vignola e Finale, di casa Romei e palazzo Sacrati, avevano reinterpretato secondo modalità inedite quanto immagazzinato da una cultura architettonica vernacolare dotata di

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