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P ARTE IV: 1425-1439 G IOVANNI DA S IENA ALLA CORTE DI N ICOLÒ III D 'E STE

4.1 I NGEGNERI ARCHITETTI ALLA CORTE ESTENSE AGLI ALBORI DELL 'E TÀ M ODERNA

4.1.1. Nicolò III d'Este: politica e committenza

«Il lungo governo di Niccolò d'Este come marchese di Ferrara è un periodo di avvio di eventi risolutori. Fu l'inizio del periodo di splendore della dinastia degli Este, il primo governo stabile di una serie che doveva durare nella città per i due secoli successivi, e che doveva finire infine solo a causa della mancanza di un erede diretto di Alfonso II».670

Quanto espresso da Gundersheimer in queste poche righe riassume chiaramente il ruolo giocato da Nicolò III nell'affermazione del potere della signoria estense su Ferrara. Egli divenne uno dei protagonisti centrali della scena italiana del tempo, capace di fronteggiare gravissime difficoltà fin dal principio del suo regno, facendo di Ferrara una città di pace, al riparo dalle pericolose minacce di quegli stati regionali ben più vasti e potenti che la circondavano671.

Nel 1393, all'età di dieci anni, Nicolò III successe al padre, Alberto V d'Este che prima di morire aveva nominato un Consiglio di reggenza sotto la protezione di Venezia con il compito di governare su Ferrara e il suo dominio fino a che Nicolò non avesse raggiunto la maggiore età. L'autonomia e la sopravvivenza del regno furono minacciati da una lunga serie di momenti critici che si risolsero solo all'aprirsi del secolo successivo.

L'instaurazione del Consiglio e l'emanazione di una bolla papale che legittimava la successione di Nicolò furono deterrenti importanti ma non sufficienti a placare le rivendicazioni avanzate sul trono da parte di Azzo XI d'Este, esponente di un ramo collaterale della famiglia. Quest'ultimo organizzò una forza bellica in grado di minacciare il principato, ma grazie all'intervento congiunto delle truppe ferraresi e di quelle veneziane, durante la battaglia di Portomaggiore il 16 aprile 1395, anche questo pericolo fu definitivamente neutralizzato.

Il Consiglio di reggenza governò a tutti gli effetti per il decennio 1390-1400 mentre il potere personale di Nicolò andava consolidandosi. Nel 1397 si svolsero le nozze tra il principe estense, appena tredicenne, e Gigliola, figlia di Francesco Novello da Carrara signore di Padova. Il matrimonio dischiuse però le porte alle mire dei Carraresi che occuparono Ferrara trasformandola in una sorta di protettorato padovano. Nicolò III riusci a riprendere le redini del potere solo nel 1402, quando i padovani si allontanarono dalla città dopo che l'Estense aveva minacciato la Repubblica di Venezia di allearsi con Milano. Lo stesso anno Gian Galeazzo Visconti morì e con le truppe padovane fuori dalla città il giovane Nicolò III si era riappropriato pienamente del controllo sul dominio ereditato dal padre. Nicolò privò di fatto il Consiglio di reggenza dei poteri sino a quel momento esercitati conservandolo unicamente a titolo di Consiglio privato ai cui membri il principe aggiunse l'amico e consigliere fidato Uguccione Contrari.

Alla morte di Gian Galeazzo Visconti seguì una stagione di grandi turbolenze per gli stati dell'Italia settentrionale, tra questi, il dominio estense che certo risultava ancora un fragile tassello. Difronte alle instabilità geopolitiche Nicolò III cercò di attuare fino al 1415 una politica tesa a salvaguardare l'integrità territoriale piuttosto che ad espanderne i confini, mantenendo una posizione di equilibrio nei confronti dei Visconti e di Venezia. Più tardi, quando il dominio si era andato maggiormente consolidandosi nelle sue mani, Nicolò sfruttò abilmente le tensioni tra Milano e Venezia per accrescere il prezzo della sua neutralità.

L'accorta politica neutrale messa in campo dal marchese di Ferrara allontanò le ostilità degli stati vicini, conservando l'appoggio di Venezia ma limitandone le ingerenze, garantendo il perdurare di un periodo di pace e sicurezza, che valse a Nicolò l'appellativo di Pater Patriae.

Lo stile di vita e di governo di Nicolò combinava elementi di trasgressione e di pietà cristiana.

670 GUNDERSHEIMER 2005, p. 55.

671 Per un profilo biografico di Nicolò III d'Este si rimanda a: MENNITI IPPOLITO 1993; CHIAPPINI 2001; GUNDERSHEIMER

Durante la sua esistenza si concesse innumerevoli amanti ma non esitò a manifestare una ferocia inaudita quando scopri la relazione tra la moglie Parisina Malatesta e Ugo d'Este (figlio dello stesso Nicolò e dell'amante Stella de' Tolomei), condannandoli entrambi a morte.

Pur con queste contraddizioni Nicolò non mancò di plasmare i propri comportamenti in modo da avvicinarsi ad un esemplare modello di principe cristiano: ne è prova il pellegrinaggio del 1413 nei luoghi sacri di Gerusalemme, l'ospitalità resa al pontefice Giovanni XXIII (Baldassarre Cossa) nel 1414 e quella dimostrata più tardi a Martino V, ma soprattutto l'elezione di Ferrara quale sede del Concilio del 1438.

Negli ultimi due decenni di regno Nicolò continuò a perseguire una politica internazionale volta a garantirsi l'appoggio della Repubblica di Venezia arginando al contempo le rivendicazioni della città lagunare sull'autonomia ferrarese, dall'altra parte promosse un'azione diplomatica tesa a conservare una situazione di equilibrio con Milano e con il pontefice. Le abilità diplomatiche e negoziali del marchese gli permisero di incrementare i domini dello stato: recuperando, dopo trattative con Eugenio IV, la terra di Lugo tra il 1436 e il 1437 e poi nel 1440 Bagnacavallo e Massalombarda. Nel 1438, Venezia, preoccupata che il signore di Ferrara stringesse forti rapporti di alleanza con i Visconti, riconsegnò liberamente a Nicolò il domino sul Polesine di Rovigo che precedentemente gli Este avevano tentato invano di recuperare.

Raggiunta la tregua tra i Visconti e la Repubblica, Nicolò III si recò a Milano dove era stato chiamato ad assumere il ruolo di governatore dello stato visconteo dal duca Filippo Maria che versava in quel momento in gravi condizioni di salute. La posizione ricoperta dal marchese di Ferrara di certo suscitò non poca apprensione negli Sforza e presso la Repubblica di Venezia. Il 22 dicembre del 1441, probabilmente vittima di un avvelenamento, Nicolò III d'Este morì a Milano all'età di 59 anni.

Nicolò III riportò indubbi successi sul piano della politica internazionale e dimostrò anche abilità non comuni nel conquistare il consenso popolare attraverso le superficiali manifestazioni di pietà cristiana e negli atti di calcolata generosità nei periodi di carestia che in un contesto privo di un moderno sostegno statale, non potevano che avere un forte impatto propagandistico, in grado di rafforzare l'immagine del signore di Ferrara agli occhi dei suoi sudditi.

Per la storiografia anche recente Nicolò III sembra non aderire ai canoni di principe umanista dedito agli studi, un aspetto che al contrario emergerà in modo palese nei profili dei suoi successori, a partire dal figlio Leonello. Tuttavia, a differenza dei precedenti marchesi trecenteschi, Nicolò fu il primo ad essere educato da un umanista: Alberto V aveva infatti designato come precettore del figlio Donato Albanzani che di certo mise a conoscenza il giovane principe delle opere di Boccaccio e di Petrarca e probabilmente di un cospicuo numero di autori classici.

Nell'educazione dei figli Nicolò aveva dato un peso rilevante alle arti militari ma come è noto aveva scelto come loro precettori umanisti di una certa fama: l'ellenista siciliano Giovanni Aurispa fu designato per l'educazione di Meliaduse d'Este, nel 1429 si trasferì a Ferrara Guarino da Verona divenne tutore dell'erede legittimo Leonello; nel 1431 Giovanni Toscanella fu il precettore di Borso. Probabilmente sotto l'impulso si questi eruditi si diede avvio a numerosi acquisti di libri in latino o in traduzione latina, in volgare italiano o in francese, che costituirono il primo nucleo della biblioteca estense.

Una particolare attenzione all'attività intellettuale emerge anche dai provvedimenti che riguardarono la riapertura dell'università di Ferrara nonché dall'ospitalità dimostrata a uomini di scienza.

Sotto il suo regno si possono individuare i primi segni del mecenatismo che rese maggiormente celebri i suoi successori, il principe sostenne infatti differenti tipi di artee manifattura, dalla musica, alla pittura, alle produzioni di orologeria, oreficeria, ricamo, arazzeria e miniatura.

L'interesse per le vestigia degli antichi monumenti sembra trapelare dal diario curato da Luchino da Campo durante il viaggio che il marchese condusse a Gerusalemme quando:

bellissime arche di pietra alla campagna»672

Resta fuori di dubbio l'attenzione del marchese e della sua corte per le imprese edificatorie intese in primo luogo come fatto politico fondamentale per propagandare l'immagine di un buon governo che aspiri alla sicurezza dello stato e della sua capitale, promuovendo estese opere fortificatorie, strade, ponti ed interventi idraulici fondamentali in un territorio in cui le acque potevano rappresentare la ragione della prosperità e la peggiore delle calamità.

Il cronista Giacomo Delayto, cancelliere di Alberto V e poi del giovane Nicolò, non mancò di registrare il coinvolgimento del principe all'atto della fondazione o dell'inaugurazione di opere pubbliche lasciando trapelare la portata ideologica di questi eventi nel rafforzamento dell'immagine del sovrano ma anche del ruolo centrale assunto dal Consiglio di reggenza durante la minore età di Nicolò.

Ad esempio nel 1395 si operò a riformare strutture difensive della Porta di Castel Tedaldo «incoepta fuit manibus propriis Domini Marchionis, qui tali primordio fundationis una cum Consiliariis suis interfuit»673, l'anno successivo è ancora Nicolò III che in persona inaugura un'opera

pubblica strategica, attraversando per primo il rinnovato ponte dello stesso castello674.

Il cronista riconosce anche in altri interventi fortificatori intrapresi in quegli anni non solo finalità di carattere meramente utilitaristico ma anche un dichiarato interesse per il decoro urbano, ciò è riscontrabile nella costruzione delle fortificazioni del barbacane presso il ponte di San Giorgio erette nel 1393 «pro decore, quam pro tutela Civitais»675, per la riforma della Porta di Sotto676 e per

la costruzione della Cittadella presso San Marco all'estremità settentrionale del perimetro urbano677.

Durante la prima metà del regno di Nicolò non si registrano interventi fortificatori di vasta scala intrapresi nel territorio del dominio fatta eccezione per l'erezione nel 1402 del perimetro murario progettato da Bartolino da Novara per proteggere Finale Emilia678: un caposaldo irrinunciabile sulla

via navigabile tra Ferrara e Modena, situato in uno stretto lembo di confine che garantiva la continuità territoriale dei distretti ferrarese e modenese.

I cantieri aperti durante il regno di Nicolò III, prima sotto impulso del Consiglio di reggenza e poi ascrivibili ad una volontà maggiormente autonoma del marchese, si inseriscono in una consuetudine ben radicata a Ferrara, per cui i predecessori trecenteschi avevano ben compreso la portata ideologica che il rinnovamento urbano era in grado di dispiegare in quanto segno materiale di un potere consolidato. Un'autorità che non solo aveva assorbito la tradizionale attenzione per le opere di utilità pubblica e di decoro urbano di cui il regime comunale si era fatto promotore prima dell'affermazione della signoria, ma che era stata in grado di fare delle imprese edilizie lo specchio della magnificenza del regnante.

672 CHIAPPINI 2001, p. 113; l'opera integrale di Luchino dal Campo è stata edita e commentata in DAL CAMPO 2011.

673 DELAYTO 1731, col. 928 C-D.

674 DELAYTO 1731, col. 931 A.

675 DELAYTO 1731, col. 908 E.

676 DELAYTO 1731, col. 911 D: «Eodem Anno [1394] Porta inferior Civitais Ferrariae, quia informis erat, nihil habens

moderni decoris, nec satis valida, provisione Consilii praefati Domini Marchionis reparari & fortificari coepta fuit, in optimam formam fabricata successive, & fovea excetera recavata».

677 DELAYTO 1731, col. 930 D e E, «[1396] Eodem Anno cum iam ante per dies multos provisum fuisset, Cittadellam

unam fieri in extremo Civitatis Ferrariae versus Sanctum Marcum, & antiquam Santci Blaxii non amplius usitandam, sed aliam novam paulò supra constituendum, magis munitam ad fortitudinem & decorem cum illis exordiis quae ad Cittadellae finem etiam respectum essent habitura: die III Februarii fuit ipsius Portae novae laborerium muri principiatum, disponente Magistro Bartholino Ingeniario, qui nuper de captivitate, qua tenebatur in Turri Lugi per Comitem Johannem, magna cum fagacitate per fugam se liberavit. Quae Porta nova ad perfectionem ducta postmodum anno sequenti die XXII Augusti patefacta & usitari coepta fuit vetere clausa». I lavori alla cittadella proseguirono anche nel 1403 (Col 987 A): «Die X mensis Junii. Incoeptum fuit laborari ad opus Cittadella Ferrariae, videlicet ad demoliendum domos & foveam faciendum».

Già Nicolò II (1338-1388), come Gian Galeazzo Visconti e Francesco da Carrara, si era preoccupato di pavimentare strade e piazze, erigendo edifici in mattoni al posto di quelli in legno; preoccupandosi delle costruzioni militari ed erigendo una potente fortezza urbana nel corpo della città (il castello di San Michele anche detto Castel Vecchio) che ben rappresentava la potenza di chi deteneva saldamente le redine del potere in Ferrara.

Alberto V d'Este (1347-93), fratello e successore di Nicolò II, realizzò tre delle più importanti residenze estensi, rimarcando la presenza simbolica e materiale del principe sia nel cuore della città che nel suoi spazi suburbani. Intorno al 1388 eresse Palazzo Paradiso in area intermedia tra l'antico

castrum ed la piazza della cattedrale. Nel 1385, in una zona ancora poco insediata posta ai margini

orientali della città, nel Borgo di sotto, a poca distanza dalla chiesa di Santa Maria in Vado, fece costruire Palazzo Schifanoia: dapprima concepito come una modesta struttura ad un solo piano fu consistentemente ampliato nel 1391, facendone un imponente edificio e luogo di ritiro per la corte. L'ultima impresa edilizia di Alberto V fu la villa di Belfiore, situata a Nord della città medievale, al di fuori del circuito murario trecentesco: il complesso fu pensato per rispondere a molteplici istanze, come un ritiro suburbano adatto alle frequentazioni cortigiane e centro di coordinamento di una vasta azienda agricola, servì inoltre da luogo di accoglienza per illustri ospiti679.

La fervente attività edilizia e le strategie urbane messe in campo da Nicolò III durante la seconda metà della sua vita sembrano quindi stabilire una linea di continuità con le istanze di magnificenza precocemente espresse dai suoi avi. Alcontempo i vasti disegni edificatori intrapresi dal marchese sembrano preludere quanto realizzato dai suoi successori: dall'ascesa di Leonello (1440-50) al regno Borso d'Este (1450-71)680.

Un passaggio della cronaca in rima composta dal notaio ferrarese Ugo Caleffini681 risulta essere

evoca chiaramente la febbrile attività edificatoria promossa dal Nicolò III:

«De li edifici al suo tempo fatti,

Fu Castel novo cum gran parte de le mure; el fossato de Zaniolo e Consandali fo edificati: E a darse piacere quella creatura,

Fossa d'Albaro e Belriguardo fono fabricati Questo signore sempre facea lavorare: Tanto è di lui el suo fabricare.»682

Nel passaggio citato il Caleffini tace diversi importanti episodi edificatori intrapresi dal marchese tra questi la fondazione delle torre campanaria della cattedrale nel 1412. Anche se effettivamente sembra che molto poco fu realizzato di questo progetto dopo l'inaugurazione, è chiaro che questo servì a inviare un potente messaggio ideologico sul piano religioso683.

Più della torre campanaria a Nicolò III doveva stare a cuore la realizzazione del complesso monastico di Santa Maria degli Angeli fondato nel 1437 e consacrato solo tre anni dopo. Il complesso fu eretto fuori dalle mura settentrionali mentre una nuova strada fu tracciata per

679 Sulle imprese edilizie di Nicolò II e Alberto V si rimanda a ROSEMBERG 1997, pp. 20-24 e relative note

680 Si veda in proposito FOLIN 2006, p. 64.

681 Per un profilo biografico di Ugo Caleffini si veda PETRUCCI 1963 e CAPPELLI 1864, pp. 267-272.

682 CAPPELLI 1864, p. 286.

683 ROSEMBERG 1997, pp. 47-48. Sembra che nonostante la costruzione del campanile sia stata promossa sotto il regno

di Nicolò ben poco sia stato realizzato durante il periodo del suo governo, i lavori furono ripresi da Borso nel 1451 che portò a compimento i primi due piani mentre il terzo fu aggiunto da Ercole I che sospese nuovamente i lavori negli anni '90 del secolo quando le difficolà finanziarie dello stato si acuirono a causa della colossale impresa avviata con l'addizione erculea. Solo nel 1579, con l'intervento di Giambattista Aleotti fu completato il quarto e ultimo livello. Rosember ha messo in relazione l'anno di fondazione campanaria con il pellegrinaggio intrapreso l'anno successivo dal marchese presso il Santo Sepolcro. I due episodi possono essere interpretati come offerte ex-voto del marchese dopo la carestia che aveva colpito Ferrara nel 1411 e l'ottenimento di un trattato di pace che coinvolgeva lo stato pontificio e il comune di Bologna. Questa lettura ben si accorderebbe con quei calcolati gesti di pietà cristiana che Nicolò mise in atto più volte durante il suo regno.

raccordarlo con la vicina villa di Belfiore a Nord e con la porta di Castel Vecchio a Sud. Nicolò III volle essere sepolto proprio a Santa Maria degli Angeli che era stata pensata come mausoleo dinastico della famiglia estense probabilmente sul modello della Certosa di Pavia realizzata dai Visconti.

Nel 1427 si diede avvio alla costruzione di Castel Nuovo, eretto sotto la direzione di Giovanni da Siena a cavallo delle mura meridionali della città presso la Porta di Santa Agnese, combinando per la prima volta le strutture propriamente difensive con un sistema di architetture raffinate che rispondevano a moderne istanze residenziali e rappresentative. Il castello ideato da Giovanni divenne con Castel Tedaldo e con il Castello di San Michele uno dei perni attorno a cui ruotava la protezione militare della città e al contempo qualificò spettacolarmente il fronte fluviale offrendo una scenografia di entrata clamorosa ai visitatori che sulle imbarcazioni arrivavano a Ferrra seguendo il corso del Po. La costruzione del castello-palazzo di Nicolò III può essere considerato come un tassello fondamentale non solo nella riorganizzazione del perimetro murario esistente ma anche come la prima tappa di progetto urbano ancora embrionale per l'ampliamento della città sul fronte meridionale, inglobando il Polesine di Sant'Antonio attraverso un nuove mura da costruirsi tra il Castel Nuovo e l'angolo sud-orientale delle cinta trecentesca.

Come i suoi predecessori, il principe ordinò ulteriori interventi di decoro urbano tra cui la selciatura della piazza principale e di diverse strade nel corpo della città. Promosse inoltre la costruzione di palazzi nobiliari destinati a membri della corte a lui particolarmente vicini, è questo il caso delle residenze per Teofilo Calcagnini, Diotisalvi Neroni, Pellegrino Pasini e Lorenzo Strozzi684.

Durante il regno di Nicolò III e negli anni immediatamente successivi alla sua scomparsa si delinearono significative trasformazioni urbane anche nel settore nord-orientale, a Est della chiesa di San Francesco dove, attorno all'attuale via Savonarola, prese forma una sorta di quartiere residenziale di connotazione marcatamente aristocratica. Tra le famiglie più in vista della città che realizzarono le loro dimore in questa aera si ritrovano gli Strozzi, i Boini, i Romei, i Boccamaggiorre e i Savonarola685.

La tradizione delle dimore rurali, in seguito definite come «delizie», inaugurata da Alberto V con la costruzione di Belfiore, trovò continuità nella costruzione di Consandolo e Fossa d'Albero e la ben più vasta e prestigiosa villa di Belriguardo, eretta a partire dal 1436 a circa 20 km da Ferrara non lontano dalla cittadina di Voghiera. Il complesso rappresenta una precocissima riproposizione di «villa all'antica» probabilmente influenzata dalle descrizioni di Plinio il Giovane da poco rinvenute da Guarino da Verona686.

Se attraverso le abilità diplomatiche il marchese di Ferrara riuscì a tener lontano dalla capitale le minacce degli eserciti così non fu per le devastazioni provocate dalle esondazioni dei fiumi che da tempi remoti sconvolgevano il territorio ferrarese a dispetto di quelle opere di arginatura e regolamentazione che gli Este promuovevano assiduamente per la sicurezza del loro “principato idraulico”.

Fatta eccezione per opere come lo scavo del “fossato de Zaniolo”, spesso i diari ferraresi non tengono in dovuta considerazione gli interventi idraulici e così anche certe opere fortificatorie che prendevano forma nelle altre parti del dominio, tra queste appare l'eclatante silenzio riservato alla ricostruzione della Rocca Grande di Finale Emilia, edificata in un ganglio vitale della difesa dello stato nel distretto di Modena, anche in questo caso sotto la direzione di Giovanni da Siena.

Alla morte di Nicolò, Ferrara aveva evitato i danni dei conflitti che si addensavano ai suoi confini, era stata più volte vittima delle pestilenze, delle carestie e della furia delle acque ma si era al

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