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Giovanni di Ranuccio delle Serre di Cacciaconti da Siena eletto Capitano del Popolo della città di Bologna: ipotesi sul ruolo promotore offerto da un ufficiale itinerante.

P ARTE II: 1386-1400: G IOVANNI DA S IENA AL SERVIZIO DEL C OMUNE DI B OLOGNA

2.1. L' INIZIO DEL SINGOLARE PERCORSO DI ASCESA DI UN SENESE ALL ' INTERNO DELLA MACCHINA PUBBLICA BOLOGNESE

2.1.1. Giovanni di Ranuccio delle Serre di Cacciaconti da Siena eletto Capitano del Popolo della città di Bologna: ipotesi sul ruolo promotore offerto da un ufficiale itinerante.

Stando alle fonti documentarie certe la vicenda biografica di Giovanni di Guglielmo da Siena si dovrebbe aprire solo il 17 dicembre 1386136 quando lo troviamo impegnato alla bastia di Ponte San

Procolo, lungo la fascia confinaria occidentale del faentino temporaneamente occupata dalle milizie bolognesi. Prima di questa data non abbiamo notizie sicure sulla vita del senese e solo attraverso una lettera scritta oltre trent'anni più tardi dalla Repubblica di Siena al Comune di Bologna, apprendiamo che la sua famiglia vantava interessi nella terre di Radicofani, un castello situato nella Val d'Orcia da dove lo stesso Giovanni «traxit originem»137. L'anno di nascita così come l'estrazione

sociale della sua famiglia o il suo percorso formativo, che verosimilmente dovette pendere forma in terra toscana, restano punti oscuri, sui quali la storiografia non sembra aver voluto soffermarsi troppo, neppure a livello congetturale. Potrebbe essere plausibile individuare la nascita del nostro ingegnere-architetto in un intorno temporale prossimo al 1360138, di certo, considerando anche

l'anno della sua scomparsa (1438), egli dovette arrivare a Bologna ancora in giovane età ma già esperto dell'arte di fondere metalli ed in particolare le bocche da fuoco oltre che capace di dirigere lavori concernenti costruzioni lignee, come quelle che componevano appunto le bastie.

Il collegamento con i luoghi d'origine accompagnarono assieme al patronimico il nome di Giovanni lungo tutta la sua vita, quale segno distintivo che accomunava da tempi immemori quei magistri che provenivano da un contesto geografico diverso da quello sottoposto alla giurisdizione cittadina139. Si

potrebbe pensare che egli andasse a unirsi a quelle folte schiere di artigiani forestieri, altamente specializzati, che durante l'ultimo quarto del Trecento, Bologna attirava verso di sé per soddisfare il crescente fabbisogno di maestranze, necessarie per l'avvio delle grandiose imprese edificatorie che ne stavano cambiando l'immagine urbana o per quella costellazione di cantieri aperti a ritmo serrato in tutto il contado bolognese. Ma proprio prendendo in considerazione, con un ampio spettro di indagine, le provenienze di questi artigiani altamente specializzati, chiamati in diversi casi anche a ricoprire responsabilità apicali nella gestione dei lavori, emerge con chiarezza come le terre del senese non costituissero di certo il bacino privilegiato a cui Bologna attingeva per dar corpo alle sue ambizioni edificatorie.

Consideriamo in primo luogo i più rappresentativi episodi intra moenia. Nel caso esemplare della costruzione Loggia della Mercanzia, sorta come noto sotto la supervisione di Lorenzo da Bagnomarino e Antonio di Vincenzo a partire dal 1382, erano stati certamente coinvolti dei lapicidi toscani, cioè Berto di Giacomo, Egidio di Domenico, Francesco di Guardo, Berto di Antonio e un loro aiutante, ma tutti provenienti da Firenze; si trova inoltre traccia di alcuni tagliapietre di probabile origine veneziana, tra questi un certo Giovanni di Riguzzo delle Masegne che secondo Emilio Orioli fu poi coinvolto nel 1384 nei lavori del Palazzo dei Notai e nel 1393 nell'edificazione della Basilica di San Petronio140.

L'ambiziosa edificazione del tempio petroniano richiese un numero di maestranze specializzate

136 APP. I - DOC 1 (1386 dicembre 17). 137 APP. I - DOC 105 (1417, marzo 30).

138 Questa ipotesi è stata adombrata recentemente in TOFFANELLO 2010, p. 131.

coprendo un raggio di reclutamento che a seconda delle competenza si espandeva nell'area basso- padana, sino a nord in Lombardia e Germania e anche a sud, ma non oltre Firenze. Tra il 1390 e sino al 1397, sotto la direzione di Antonio di Vincenzo, nominato caput et magister tocius laborerii, si trovano impegnati ben 41 magistri muri i cui nomi sono elencati nei registri di cantiere e appaiono in maggioranza senza l'indicazione della provenienza anche se è plausibile che questo dato potesse essere superfluo in quanto la concentrazione in area bolognese di artigiani dediti alle costruzioni in laterizio abbia spinto ad attingere in massima parte alle maestranze locali. Ad ogni modo sono presenti almeno 9 magistri forestieri tra questi due fiorentini e sette provenienti da Brescia, Castel San Pietro (BO), Modena, Padova, Rimini, Spezzano (MO) e Treviso. Tra i 60 lapicidi reclutati per la colossale impresa petroniana due provenivano dall'Oltralpe ma la maggioranza erano probabilmente di origine lombarda con 20 unità, 15 venivano da Firenze, due da Pisa e due da Venezia. I magistri lignaminis i falegnami e i carpentieri raggiungevano le 21 unità, alcuni provenivano dalle terre del contado bolognese come Budrio e San Giovanni in Persiceto ma l'area di reclutamento toccava anche Modena, Reggio Emilia, Parma e Cervia141.

Nel capillare programma di riordino del contado che riguardò oltre la ristrutturazione e la costruzione ex-novo di strutture fortificatorie e la fondazione di nuovi nuclei insediativi, l'impiego di maestranze specializzate forestiere sembrò concentrarsi nei castelli di montagna mentre i cantieri di pianura vedono il preponderante coinvolgimento di maestranze cittadine, generalmente coordinate da Lorenzo da Bangnomarino e Antonio di Vincenzo. È nelle pendici collinari, laddove le fortificazioni vengono erette grazie all'impiego dei lapicidi che Bologna fa ricorso in maniera sistematica ai tagliapietre di origine lombarda142. Proprio le abilità dei lapicidi sono quelle ricercate

con maggiore assiduità nelle aree più lontane dai confini bolognesi, nel caso del tempio petroniano certamente il loro reclutamento dipese dall'intermediazione dello stesso Antonio di Vincenzo che si recò in più di un'occasione in visita a Milano e Firenze a reperire maestranze nei cantieri del Duomo e la Cattedrale di Santa Maria in Fiore143.

Giovanni da Siena, come risulta chiaro, non sarebbe giunto a Bologna seguendo questi percorsi, egli portava al servizio del Comune competenze che nulla avevano a che fare con l'intaglio della pietra e più in generale sembrano essere lontane anche dal campo della produzione architettonica visto in un'ottica più ampia. Le sue qualità si misurano in primo luogo nel campo delle arti metallurgiche, sulla capacità di creare bombarde e anche la sua qualifica di magister lignaminis, come poi la sua biografia chiarirà, sembra una competenza speculare alla precedente, laddove l'arte di lavorare il legno è posta al servizio della costruzione di macchina di guerra, prime tra tutte mangani e

trabucchi. Sotto questa luce la via che da Siena lo condusse a Bologna sembra passare per una

strada e per figure di intermediazione non tanto legate alle occasioni del rilancio edilizio di quel torno di anni ma semmai alla necessità bolognese di avvalersi di aggiornate competenze in campo bellico. Giovanni, che non prese servizio nei cantieri cittadini o nelle retrovie del contado, fu impiegato fin dall'autunno del 1386 sulla prima linea di un confine ancora attraversato dalle tensioni fra due Stati, in un quadro di conflittualità mai del tutto sopite.

Fatte queste considerazioni non sembra più del tutto casuale un ipotetico legame tra il nostro ingegnere-architetto e un altro senese che proprio nel secondo semestre del 1386 era stato chiamato dai Bolognesi a ricoprire la carica di Capitano del Popolo144: si trattava di Giovanni di Ranuccio

delle Serre di Cacciaconti da Siena (1325?-1404). Egli ricoprì una carica politica per diversi aspetti simile a quella podestarile e tradizionalmente affidata ad ufficiali forestieri itineranti reclutati

140 ORIOLI 1893, p. 6.

141 TROMBETTI BUDRIESI 1994, pp. 60-61.

142 ZANARINI 2006.

143 TROMBETTI BUDRIESI 1994, p. 61 e p. 73 ivi nota 69.

144 Come il podestà egli era reclutato tra la nobiltà forestiere ma i suoi compiti erano improntati alla difesa degli interessi e veniva per questo affiancato dal consiglio dei capi delle corporazioni. Andavano così affermandosi nei comuni italiani la compresenza di Podestà e Capitano del Popolo, rispettivamente espressione dei ceti nobiliari e di quelli popolari/borghesi. NEGRELLI 1989, pp. 353-355; MILANI 2005, pp. 62-67 e pp. 120-122.

all'interno di un gruppo di città generalmente strette da rapporti di alleanze. Un fenomeno, quello degli ufficiali itineranti, che si tradusse in una impressionante intensità di circolazione di uomini, secondo alcune stime infatti si calcola che tra gli 8000 e le 11000 persone, furono chiamati a ricoprire la sola carica podestarile, in un periodo compreso tra i primi del Duecento e la metà del secolo successivo145. Siena vantava quale bacino di esportazione dei suoi ufficiali itineranti

soprattutto l'Italia centrale mentre a nord dell'Appennino solo Bologna sembra reclutarne con una certa assiduità. Sono esponenti di un ceto magnatizio composto da famiglie nobiliari di milites che, in tempi piuttosto precoci rispetto ad esempio all'ambito fiorentino, avevano concentrato i loro interessi preminentemente nell'attività commerciale e bancaria146, tra queste consorterie, a vantare il

numero maggiore di membri avviati alla carriera podestarile si trovavano i Tolomei con 56 incarichi seguiti dai Piccolomini con 23, mentre i Cacciaconti fanno parte del gruppo di coda coprendo al pari degli Ungari solo 5 incarichi nel periodo di 150 anni considerato negli studi di Jean-Claude Maire Vigueur147.

A Bologna, ben prima del capitanato guidato tra il secondo semestre del 1386 ed il primo del 1387 dal nostro Giovanni Ranutii conte de Cacciacomitibus de Serris, i Tolomei avevano ricoperto la stessa carica già negli anni 1299; 1320-1321 e quella podestarile nel 1301, 1336, e 1364-65, ma anche i Piccolomini (1330 e 1347) e i Salimbeni (1286) erano stati in precedenza podestà della città emiliana148. L'origine della carica capitanale a Bologna risaliva agli ultimi decenni del Duecento,

restando attiva durante i periodi di autonomia e cassata quando la città si trovò soggetta a regimi signorili149,

Quando Giovanni delle Serre di Cacciaconti venne designato dagli Anziani furono applicate le norme degli statuti redatti nel 1376, che regolavano l'elezione e le prerogative legate all'officio capitanale e alla gestione del suo entourage. Secondo le leggi il nuovo capitano poté contare, per l'esercizio del suo mandato semestrale (poi reiterato ai primi sei mesi del 1377), su una nutrita schiera di collaboratori scelti, tra cui un legum doctor con il compito di coadiuvarlo nelle controversie civili e penali, due socii milites literati et pratici in officiis impegnati a garantire la sicurezza sulla città e il contado, oltre a tre notai di cui uno preposto all'ufficio del fango, otto

donzelli, a cui si univano 50 famuli armigeri con 12 cavalli, sette paggi e tre cuochi. Quale

145 MAIRE VIGUEUR 2000.

146 GIORGI 1993, pp. 63-190; MAIRE VIGUEUR 2000, p.1081.

147 MAIRE VIGUEUR 2000, p.1083.

148 Si veda in proposito l'eleco di Legati, Podestà, Consoli e Capitani del Popolo. Bologna XII-XVIII secolo elaborato da Paola Foschi e disponibile all'indirizzo: http://badigit.comune.bologna.it/governo_bologna/capitani.htm

149 Giova a questo punto fare un passo in dietro e ripercorrere brevemente le tappe dell'evoluzione politico- istituzionale che vide l'introduzione in ambito bolognese prima della figura podestarile e poi di quella capitanale. Dal 1151 i ceti magnatizi bolognesi avevano introdotto nel quadro istituzionale del Comune per prima la figura del Podestà: un ufficiale forestiero scelto nei ranghi delle nobiltà e chiamato ad amministrare la giustizia con l'obbiettivo di pacificare i dissidi che attraversavano le fazioni cittadine. Il podestà, quale diretta emanazione delle consorterie nobiliari, era tuttavia ostacolato proprio per questa ragione nei suoi compiti, dovendo scontare l'ostilità dei ceti popolari che in questa fase, pur trovandosi marginalizzati, presero a riunirsi in corporazioni rivendicavano un proprio posto nel processo decisionale con un'applicazione imparziale della giustizia (PINI 1986 pp. 83-88). Solo con l'allontanamento

della fazione dei Lambertazzi nel 1279, l'incrinatura del predominio dei magnati e l'ascesa politica della pars populi divenne un fenomeno inarrestabili e si aprì così la strada ad una riforma dell'assetto istituzionale che avrebbe condotto all'introduzione della figura del Capitano del Popolo: intesa quale autorità parallela a quella podestarile, designata tra gli ufficiali forestieri della nobiltà con modalità analoghe, ma chiamata ad amministrare la giustizia in rappresentanza degli interessi del popolo di cui erano espressioni le corporazioni di mestiere e le società delle armi ( FASOLI 1933, pp.

158-183; FASOLI 1936, pp. 56-79; BRAIDI 2002). Durante il Trecento la sopravvivenza istituzionale della carica di

Capitano del Popolo, in quanto espressione delle istanze popolari, fu minacciata ogni qualvolta la città subiva

rivolgimenti politici che ne mutavano l'assetto di governo secondo forme signorili, così che l'ufficio capitanale venne abolito a seguito dell'occupazione delle forze pontificie e l'insediamento del legato Betrando del Poggetto (1327) e durante la dominazione viscontea nella seconda metà del secolo (MONTORSI 1961, pp. 165-166; BRAIDI 2002), Viceversa

l'istituzione veniva ripristinata quando, almeno formalmente, la pars populi sembra riprendere un peso all'interno del governo cittadino.

compenso del capitano e sostentamento della sua curia gli statuti prevedevano il pagamento di 3000 lire per semestre150.

Per ricoprire la carica capitanale il profilo di Giovanni delle Serre di Cacciaconti avrebbe dovuto combaciare con quello richiesto ad un professionista del regimen civitatis, capace di amministrare la giustizia e ricomporre i conflitti, in realtà gran parte della sua sfera d'azione era controllata dalla magistratura degli Anziani e le sue mansioni dovevano rispondere ad istanze più limitatamente amministrative e tecniche. È quindi da ricercare altrove il criterio di scelta. Sembra più probabile che i Bolognesi, durante il regime “popolare” di fine Trecento, assumessero gli ufficiali forestieri considerando in primo luogo le esperienze che questi aveva maturato in campo militare e diplomatico, poiché essi avrebbero rivestito un canale preferenziale con le città di provenienza anche nei momenti di maggiore incertezza politica o di aperta ostilità151.

Seppur scarse le notizie biografiche sul Cacciaconti sembrano avvicinarsi proprio a queste esigenze: egli era l'ultimo successore di una famiglia aristocratica che seppure segnata dallo smantellamento del suo vasto patrimonio di terre e castelli posseduti nel contado senese, poteva vantare ancora il prestigio derivante dal suo antico lignaggio. I Cacciaconti come le altre maggiori famiglie senesi avevano associato le origini nobili alle attività finanziarie, assumendo al contempo incarichi nelle magistrature cittadine, nelle missioni diplomatiche e in quelle militari. Lo stesso Giovanni di Ranuccio per la Repubblica di Siena ricoprì nel 1377 il ruolo di Capitano della Maremma, nel 1381 è esecutore di gabella, nel 1385 fa parte del contingente militare inviato in soccorso del signore di Cortona contro Firenze, e nello stesso anno è mandato quale ambasciatore a Pisa, Lucca e Bologna per stringere un'alleanza tra città che arginasse il dilagare delle compagnie di ventura152.

L'avvicinamento all'ambiente bolognese è testimoniato quindi già a ridosso dell'incarico capitanale, un'opportunità senza dubbio appetibile per un componente di una famiglia magnatizia non più in ascesa ma che poteva vedere in un incarico apicale all'interno delle magistrature di una città straniera il temporaneo riscatto delle fortune della sua stirpe153.

Fatte queste considerazione, la posizione occupata dal Cacciaconti al vertice delle magistrature bolognesi e il contemporaneo reclutamento di Giovanni da Siena al servizio del Comune potrebbero essere eventi non del tutto slegati tra loro. È indubbio che il reclutamento di un senese con l'amalgama di competenze tecniche di Giovanni nell'intorno temporale dell'ultimo quarto del Trecento bolognese costituisca un vero e proprio unicum, dall'altra parte la maturazione di abilità preminentemente di ingegneria militare sembrano ben combaciare con il profilo biografico di un altro senese di nobile stirpe impegnato in più di un'operazione di guerra. Si potrebbe così congetturare che proprio l'arte della guerra abbia avvicinato il Cacciaconti al giovane Giovanni da Siena, il quale sarebbe potuto giungere a Bologna forse al seguito del nuovo Capitano del Popolo, quest'ultimo, in virtù della posizione di prestigio occupata nella macchina politico-amministrativa del Comune non avrebbe trovato ostacoli a promuovere il reclutamento del futuro ingegnere- architetto in quella cerchia di magistri specializzati che operava febbrilmente all'ombra di Antonio di Vincenzo e Lorenzo da Bagnomarino.

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