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Gli interventi giovannei sulla Clusa lignaminis, il Canale di Reno e il Navile

P ARTE III: 1400-1424: L ' ATTIVITÀ DI G IOVANNI DA S IENA DOPO LA PERDITA DELL ' AUTONOMIA CITTADINA : IL DOMINIO DELLA C HIESA

3.4. G LI INTERVENTI IDRAULICI ALLA C HIUSA DI C ASALECCHIO E AL C ANALE DI R ENO

3.4.5. Gli interventi giovannei sulla Clusa lignaminis, il Canale di Reno e il Navile

Chiusa definitivamente la stagione dello stato di libertà acquisito con l'instaurazione dell'ultimo Comune “popolare” (1376-1400) e archiviata la breve signoria di Giovanni I Bentivoglio (1401- 1402), Baldassarre Cossa, mandato dal pontefice per scacciare le truppe milanesi e recuperare Bologna al governo della Chiesa, fece il suo ingresso in città il 3 settembre del 1403. Il repentini cambi di regime succedutisi dopo il 1400 non spezzarono i legami che fin dal 1386 univano Giovanni da Siena alla committenza pubblica bolognese, anzi il Cossa affidò a Giovanni la direzione dei più importanti cantieri messi in campo dal momento del suo insediamento, non da ultimi quelli concernenti il sistema delle acque cittadine.

Accanto ai più importanti interventi idraulici promossi dal cardinale, Giovanni si occupò inizialmente di lavori di modesta entità, almeno a giudicare dalle risorse messe a disposizione dalla tesoreria: nel dicembre 1403 venne ad esempio incaricato della sistemazione della «gradam existentem ad pontem Cavaditii»591 mentre nello stesso mese del 1404 fu impiegato a

sovraintendere alla riparazione del canale navigabile scavato presso Pegola assegnandogli per i lavori poco più di 137 lire592.

589 Coloreto è una località dell'attuale comune di Bentivoglio. Viene annoverato nel 1371 tra nei siti della Descriptio

civitatis Bononie eiusque comitatus del cardinale Anglico nell'ambito territoriale «De quarterio Porte Sancti Proculi»:

«Comune terre Coloreti habet inter fumantes et habitatores focularia XVI» (DONDARINI 1991, pp. 94-95). Un fondo

Colorita è attestato già nel 1107 nei pressi della pieve di S. Giovanni in Triario. (RINALDI-VILLANI 1984, Vol I, p. 284).

590 APP II CC - 1361, febbraio 19. 591 APP. I - DOC 56 (1403, dicembre 15)

592 APP. I - DOC 58 (1404, dicembre 20). Pegola è una località dell'attuale comune di Malabergo, presso cui passava il tracciato del canale Navile. Viene annoverato nel 1371 tra nei siti della Descriptio civitatis Bononie eiusque comitatus del cardinale Anglico nell'ambito territoriale «De Vicariato Galerie»: «Comune terre Peole habet inter fumantes et habitatores focularia XLVIIII» (DONDARINI 1991, pp. 87-88). Durante l'ultimo periodo comunale il territorio di Pegola è al

centro di diversi interventi volti ad installarvi un presidio militare e a riparare le rive del canale navigabile: nel 1387 «Anthonio Martini muratori» e «Guidonis Cavacini Magistro Lingnaminis» vengono qui impiegati per la costruzione di una bastia come attestano alcuni mandati dei mesi di novembre e dicembre (APP II TP - 1387, novembre 8; APP II TP - 1387, novembre?; APP II TP - 1387, novembre 28; APP II TP - 1387, dicembre 3; APP II TP - 1387, dicembre 9; APP

Ultimati i lavori per l'edificazione del Castello di Porta Galliera il Cossa affidò a Giovanni il compito di riparare il palazzo del Cardinale (Palazzo d'Accursio) e le porte urbiche nonché di intervenire sulle principali infrastrutture idrauliche della città: la Chiusa di Casalecchio ed il Canale di Reno. Stando ad un mandato di tesoreria del 30 luglio del 1407, per coprire le spese di tutti questi lavori di riparazione, unitamente alla liquidazione del salario del mese di maggio, ed alle spese per lavori nel nuovo castello e la costruzione di un pistrino «in foveis dicti castri et in campis ecclesie», Giovanni ricevette dal tesoriere l'equivalente di 870 lire593.

Questo mandato resta una delle poche tracce superstiti che testimoniano l'impiego di Giovanni nella sistemazione della Chiusa di Casalecchio e del canale che da questa derivava le acque verso Bologna, tuttavia bisogna tenere conto che le modalità di compilazione di questo mandato rendono impossibile scorporare la cifra economica ricoperta da ciascuno dei cantieri menzionati o di stabile il peso di queste risorse nel quadro più ampio delle spese sostenute dalla committenza pubblica per un così vasto numero di interventi. Più in generale, i registri di tesoreria compilati dall'inizio del Quattrocento in avanti tendono a presentare elenchi di note sempre più asciutte, sensibilmente più povere di informazioni delle provvigioni due-trecentesche. Spesso queste annotazioni riportano solo il destinatario delle risorse e la somma in questione mentre l'oggetto della prestazioni di ingegneri e maestranze finisce per essere celato dietro laconiche espressioni come: «pro certis expensis» o «pro certis laboreriis».

Inoltre durante il governo di Baldassarre Cossa - prima cardinale e poi pontefice - sembra che in taluni casi le risorse finanziarie spettanti a Giovanni da Siena fossero coperte mediante la concessione a quest'ultimo di beni immobili secondo una prassi di stampo feudale consolida e ampiamente diffusa non solo nei regimi signorili.

Proprio per i lavori intrapresi «pro reparatione Cluse Casalichii et Canalis Navigatorii Bononie» ancora nel 1410 Giovanni era creditore presso la Camera di 400 lire. Nel suo primo anno di pontificato, assunto il nome di Giovanni XXIII, Baldassarre Cossa emanò appositamente una bolla per saldare questo debito concedendo al senese la proprietà di un appezzamento di terra «aratore, arborate et vidate» di estensione di circa 14 tornature su cui sorgeva anche una casa «cupata» fornita di «area, puteo et furno», posta nella guardia594 della città in luogo detto «la Crose del

Biacho». Per essere assegnata a Giovanni, la proprietà in questione era stata confiscata ai frati del Monastero di Santa Maria dei Servi di Strada Maggiore che ne detenevano fino a quel momento i pieni diritti in quanto destinatari del bene immobile a seguito di un lascito testamentario di un certo Philippi olim Anseldini de Sumettis? risalente al 1354.

Da questi eventi nacque una controversia tra «Magistrum Iohannem quondam Guillelmii de Senis Ingignerium» residente a Bologna in cappella di Santa Tecla da una parte e i frati del Convento di Santa Maria dei Servi dall'altra, in particolare questi ultimi, contestavano la legittimità dell'operazione negando che il pontefice potesse avere la facoltà di cancellare i diritti di proprietà o esercitare giurisdizione su quanto concesso dal lascito testamentario. La contesa dovette assumere una certa rilevanza coinvolgendo alcuni tra i più eminenti professori di teologia e trascinandosi fino al 1414. Il 14 gennaio di quello stesso anno alla presenza di Giovanni da Siena e dei frati del convento con il loro priore si riunirono: «Dominus Frater Philippus de Florentia sacre thehologie professor provincialis provincie Romandiole, Magister Guilielmus de Alesandria sacre pagine professor, Magister Nicholaus de Regio sacre theologie, ... Magister Nicholasus de Pasio Magister in sacra pagina, Frater Laurentius de Tuderto Bachalarius, Frater Andreas de Venetiis Lector, Frater Andreas de Bononia procurator conventus, Frater Iohanes de Bononia sacrista, Frater Iacobus de Bononia, Frater Alexius de Tarvisio et Frater Zamfrancischus de Bononia Sindicus et Procurator dictorum Fratrum». In quell'occasione, al fine di ricomporre la lite e risolvere la delicata questione giuridica, i frati accettarono di riconoscere i diritti di proprietà assegnati a Giovanni con la bolla

II TP - 1387, dicembre?); nel 1390 lo stesso «Guidoni Francisci Cavacini» viene impiegato per un modesto incarico riguardante la riparazione della «rupte canalis de Peula» (APP II TP - 1390, novembre 8).

593 APP. I - DOC 72 (1407, luglio 30); APP. I - DOC 71 (1407, luglio 30).

pontificia del 1411 ma quest'ultimo si impegnava quale contropartita a trasferire al convento i diritti su alcuni immobili di sua proprietà cioè di «duas domos simul contignas, cupatas et balchonatas quam una est cum curia, puteo et uno furno in ipsa existentibus, positas Bononia in Capelle Sancti Vitalis in contrata Vignatii»595.

Stando a quanto riportato dal Guidicini, la concessione del 1411 prodotta dal Cossa per Giovanni, quale pagamento per la riparazione della Chiusa di Casalecchio e del Navile, non fu la prima: pur equivocando il nome dell'ingegnere con il suo patronimico l'autore delle Cose Notabili riportò infatti che

«Li 9 ottobre 1403 il legato Baldassarre Cossa facoltizzò Guglielmo da Siena ingegnere di costruire molini a suo arbitrio dietro il Naviglio che da Bologna và a Ferrara di aprir li ritegni pel passaggio delle navi con privativa, che niuno potesse eriger molini dietro detto Canale e che detti molini possino vendersi con tutti li diritti accordati, e ciò in compenso di lire 2112, 15, 8 dovute al detto Giovanni per aver riatata la Chiusa di Casalecchio, resi ad uso di molini alcuni edifizi dietro il Canale, e reso navigabile il Canale da Bologna, a Malalbergo».596

Anche in questo caso non è stato possibile reperire la fonte originale dalla quale il Guidicini abbia attinto queste informazioni. Prendendole per buone, pur con una certa prudenza, si potrebbe ipotizzare che fin dai primi momenti del governo del legato, urgesse la riparazione della Chiusa sul Reno, le riattivazione di un tratto del Navile e l'attivazione di nuove strutture molitorie. La rifunzionalizzazione del sistema idraulico dovette quindi assorbire Giovanni da Siena almeno per tutto il primo decennio del Quattrocento, portandolo a seguire in prima persona massicci interventi di riparazione.

Seppure resti arduo, alla luce delle laconiche fonti scritte del primo XV secolo, ricostruire con precisione la cronologia e la consistenza di questi interventi, si possono avanzare alcune considerazioni sull'assetto topografico e sulla dimensione materiale delle strutture di captazione quando Giovanni fu chiamato da Baldassarre Cossa a porvi mano. Si trattava in primo luogo di intervenire sullo sbarramento nell'alveo del Reno e probabilmente sul tratto di canale compreso tra questo e i ruderi della Clusa de Lapidibus. Durante l'ultimo governo comunale non mancarono lavori per la cura e il potenziamento delle infrastrutture idrauliche e la loro puntuale registrazione consente di fornire una prima immagine sulla tipologia di strutture ereditate da quel periodo.

Ad esempio nell'inverno del 1379597 il fabbro «Honofrio Iohannis» fornì per la riparazione della

Chiusa di Casalecchio «clavorum quatuormillium centum quinqueginta, librarum LXIIII, ferlarum XXXVI, puntarum ferri ac XX blottarum ferri»598 che evidentemente servivano a tenere insieme la

struttura lignea che affondava le sue basi nell'alveo del fiume e che nel frattempo veniva riparata con del legname fresco che sostituiva quello ammalorato599. L'impiego del legno e il ferro

dimostrano che Giovanni dovette risarcire una struttura non così dissimile (almeno sul piano tecnologico) da quella Clusa Lignaminis realizzata per la prima volta negli anni '50 del Duecento e più volte oggetto di consistenti campagne di riparazione. Il legname combinato con il ferro non erano gli unici materiali della struttura: nel 1381, da una disposizione del depositario apprendiamo che su un terreno «propi [=prope] Clusam» si trovavano due «fornasattos» utilizzati da un certo

595.APP. I - DOC 97 (1414, gennaio 14) 596 GUIDICINI 1868, vol. III, p. 262.

597 Emilio Orioli sostiene la presenza di Lorenzo di Bagnomarino presso la chiusa facendo riferimento ad un mandato di pagamento del 3 gennaio del 1379 (ORIOLI 1893), l'esame del libro di Entrata e Spesa di Tesoreria di quell'anno non

ha tuttavia permesso di individuare questa testimonianza, sono invece presenti mandati per il pagamento di un fabbro e per trasporti di legname sempre riguardanti la chiusa, si registra inoltre la presenza di due sopraastanti (cfr. APP II CC - 1379, gennaio 2). Pur presente nel registro suddetto un mandato a Lorenzo di Domenico (di Bagnomarino) con altri ingegneri, questo non fa riferimento esplicito alla Chiusa di Casalecchio.

598APP II CC - 1379, gennaio 2. 599APP II CC - 1379, gennaio 13.

«Mateo [...] de Venezano» per la produzione di calce per il laborerio della chiusa600. Durante l'estate

del 1388 si dispongono mandati di pagamento per il Massarolo super laboreriis del Comune: il primo di 150 lire «in reparationem saquateriorum Cluse de Reno»601, il secondo di 100 lire «in

laboreriis noviter fiendis ad Cluxam Reni in Caxaliclio et ad saiguatoria canalis»602; l'11 settembre il

depositario su mandato degli Anziani provvede al pagamento di parte di 392 corbe di calce fornite da «Magistro Matheo de Monteclaro muratori» per la Rocca di Pieve, il castello di Argile e i «saiguatorium de Casaliclo Reni nuper reapertorum et pro ocaxione repartionis Cluxe de Reno»603.

Si può da una parte ipotizzare così che la struttura della Chiusa di Casalecchio fosse in realtà mista, combinando come è ravvisabile in altri esempi coevi l'impiego del legname con agglomerati di pietre legate con malta, per altro verso questo gruppo di mandati ci informa dell'esistenza di «saiguatoria» realizzati in muratura cioè di paraporti che venivano aperti per evitare l'interrimento del canale604, la dislocazione di questi dispositivi è associata dai compilatori dei mandati ora alla

Chiusa ora al Canale, in realtà tali strutture non potevano essere parte della Clusa lignaminis ma unicamente del condotto che da questa derivava le acque in virtù della peculiare funzione per cui erano costruiti. È molto più probabile che agli occhi dei compilatori del registro i «saiguatoria» in quanto dislocati verosimilmente come oggi a pochi metri dall'imbocco del canale pensile, a ridosso dello sbarramento ligneo, fossero considerati parte di una struttura di captazione che veniva identificata come l'insieme della chiusa e della parte iniziale del condotto che ne derivava le acque. Ad ogni modo queste note contabili rivelano che il Canale di Reno al termine del Trecento era certamente connotato da opere in muratura e queste dovevano essere ben note a Giovanni da Siena. È molto probabile che l'impiego di murature non fosse circoscritto ai paraporti ma che interessasse in forma di incamiciatura il tratto di canale pensile che corre lungo la riva destra del fiume. Come già ricordato in precedenza, già nel 1269 la sponda del canale lungo la riva destra del fiume dalla «clusa nova lapidea de Reno usque navilium vetus» era stato potenziato con una banchina realizzata con l'impiego di «de lapide et calcina» e «de bonis lapidibus coctis et calcina mitadegna»605 non

sorprenderebbe che questi lavori avessero replicato interventi analoghi già attuati (o presto replicati) per il primo tratto compreso tra la Clusa Lignaminis e la Clusa de Lapidibus. Del resto il primo tratto del canale a ridosso della chiusa doveva fronteggiare problemi analoghi a quelli del resto del percorso pensile ma ulteriormente complicati dalla presenza dei paraporti e dalla prossimità dell'incile. La stretta cresta di montagna che separa il canale dal fiume poteva essere soggetta a pericolosi fenomeni di erosione o ad infiltrazioni che facendo breccia negli argini avrebbero dato luogo a conseguenze disastrose: l'adozione di un paramento in mattoni che proteggesse le sponde diventò ben presto un'esigenza ineludibile e pur senza il sostegno di fonti documentarie sarebbe inspiegabile che i lavori approntati nel 1296 non avessero riguardato a stretto giro il tratto iniziale e compreso fra i due sbarramenti.

Giovanni da Siena si trovò quindi a porre rimedio al degrado di un sistema di captazione ancora basato sulla Clusa lignaminis e su un Canale di Reno molto probabilmente già fortificato da un'incamiciatura in mattoni intervallata dalla presenza di paraporti che all'occorrenza restituivano le acque immesse all'imbocco direttamente nel fiume.

Come è noto quell'imponente sistema di sbarramento e di canalizzazioni era stato approntato nei secoli precedenti per garantire l'energia idraulica necessaria al funzionamento dei mulini da grano e

600APP II CC - 1381, giugno 6. 601APP II CC - 1388, luglio 29. 602APP II CC - 1388, agosto 4. 603 APP II CC - 1388, settembre 11.

604 II termine «saiguatorium» campare ad esempio nel rogito del 22 aprile 1296 ad indicare nel contesto di quell'atto e secondo l'interpretazione del Guidicini il paraporto del mulino della Canonica (GUIDICINI 1868, Vol III, p. 258). I

diversi paraporti ancora oggi ben visibili e funzionanti disposti all'inizio del Canale di Reno permettono il deflusso dell'acque del canale quando questo inizia ad interrirsi. L'apertura dei paraporti aumenta la velocità dell'acqua che fuorisce così dal canale permettendo di scavarne così il fondo eliminando ad esempio le concentrazioni di impurità. (MANARESI 2005, p. 84).

degli opifici assicurando al contempo l'alimentazione del canale navigabile verso Ferrara che permetteva gli scambi commerciali con le altre città. L'interesse pubblico per il buon funzionamento e la gestione dei mulini, essenziali per il soddisfacimento dei bisogni annonari cittadini, aveva condotto il governo «popolare» insediatosi ai vertici del Comune tra il 1217 e il 1219 all'espropriazione forzosa di tutti i mulini privati sulle rive del Canale di Reno in area urbane e extraurbana, mentre promuoveva in suo nome la costruzione di nuovi opifici idraulici. Con una così vasta operazione il Comune sottrasse ai privati il potere di interferire sull'approvvigionamento della città creando al contempo una formidabile fonte di reddito per le casse pubbliche dovuto all'affitto delle strutture molitorie e al dazio della molitura senza contare le multe comminate ai gestori dei mulini.

Dopo la crisi trecentesca l'economia bolognese venne ristrutturata secondo logiche diverse e l'importanza dei mulini decadde progressivamente. Il controllo pubblico sulle strutture molitorie tramontò definitivamente nel 1416, quando per risanare le finanze comunali, tutti i mulini vennero venduti ad un consorzio di privati606. L'alienazione coinvolse vaste schiere di cittadini ed è nelle

liste dei compratori del quartiere di Porta Ravegnana del 7 febbraio 1416 che compare il nome di «Magistro Iohanne de Senis» che per l'occasione versa al tesoriere «Cambio de Platisiis» la sua quota equivalente a 37 lire bolognesi607.

3.4.6. Alcune considerazione sulle Chiuse di Reno alla luce delle esperienze italiane del basso-

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