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P ARTE IV: 1425-1439 G IOVANNI DA S IENA ALLA CORTE DI N ICOLÒ III D 'E STE

4.2. L A R OCCA G RANDE DI F INALE E MILIA

4.2.4. Il cantiere giovanneo (1425-1436)

La campagna edilizia, che sotto la direzione di Giovanni da Siena mutò il volto della Rocca Grande durò complessivamente cinque anni: in un arco temporale compreso tra il 1425 e il 1430 furono avviati i lavori di demolizione del complesso trecentesco di cui fu risparmiato il lato settentrionale con il mastio che venne poi sopraelevato, attorno a questo nucleo vennero edificate ex-novo quattro torri angolari unite da corpi di fabbrica su più piani a racchiudere il cortile interno di forma rettangolare754. Gli accessi vennero difesi da avancorpi esterni forniti di ponti levatoi che

permettevano il superamento di un ampio fossato scavato per separare la rocca dall'abitato e dal territorio esterno ad esso. Si diede così forma ad un complesso fortificato posto come quello trecentesco a cavallo delle mura urbane e aderente sul versante settentrionale al canale di Modena. A distanza di alcuni anni dalla prima e più consistente campagna edilizia vennero attuati nuovi interventi alle fosse castellane mentre proseguivano i lavori delle decorazioni pittoriche dei coronamenti. Al termine del cantiere una nuova architettura, dall'aspetto solido e al contempo elegante, si rispecchiava nelle acque del Naviglio, creando una situazione d'entrata altamente scenografica per le navi dei principi e dei loro illustri ospiti in viaggi tra Modena e la Ferrara. Così come per altri episodi del periodo, anche per l'ampliamento della Rocca Grande, non sono stati conservati i registri della contabilità di cantiere e per tale ragione resta assai arduo formulare, anche in via ipotetica, una convincente ricostruzione delle fasi costruttive. Sopravvivono tuttavia alcune tracce sporadiche quando incidentali che forniscono qualche elemento certo.

La prima attestazione che ci dà notizia della decisione di avviare i lavori risale al 31 agosto 1425 quando i Sapienti del Comune di Modena presentarono al marchese d'Este una petizione con la quale si richiedeva di esonerare la comunità dall'inviare 50 uomini che avrebbero dovuto restare a Finale per approntare le operazioni di scavo e la realizzazione delle fondazioni su pali destinate a sostenere le strutture murarie di due «toresoni» da costruirsi secondo quando stabilito da «m.° Zoani

754 Già negli scritti del Frassoni si riscontra la consapevolezza che la Rocca Grande fosse il risultato di diverse trasformazioni per cui l'impianto quattrocentesco, realizzato da Giovanni, ampliando l'organismo precedente con nuovi corpi di fabbrica, non cancello del tutto le strutture del fortilizio preesistente: «Ivi pertanto sotto la direzione dell' Ingegnero Giovanni da Siena, [Nicolò III d'Este] fece demolire diverse rovinose agghiacenze, che non contavano anch' esse minore età, essendo sì l'una, che l'altra di esse Rocche nate, come si avvertì in un sol tempo. Ivi per tanto lasciata in piedi la maggiore nel mezzo, ed un laterale assai vasto Torrione, demolito poi con mal consiglio di questo secolo, e di cui le vestigia tutt'ora si veggono, diedesi principio su quelle vecchie fondamenta, al presente giro d' essa Rocca, ed alle tre grosse Torri che le stanno angolari. Dal che più maestevole, e forse si rese, per essere guardata e difesa in ciascuno degli angoli da una delle quattro suddette moli, comprendendovi quella che abbiam detto essere poi stata demolita. Cominciò tale lavoro nel Luglio del 1425., essendo Podestà il Nobil Uomo Pierino da Baisio Ferrarese...» (FRASSONI

1778, p, 41). Posizione ripresa e caldeggiata successivamente da Giuseppe Campori: «E affidato l'incarico all'ingegnere Giovanni da Siena, diede [Nicolò III] questi incominciamento all'opera nel luglio del 1425, essendo podestà Pierino da Basio ferrarese. Il quale demolita in parte e in parte conservata la vecchia rocca del comune, innalzò la nuova munita di quattro torri, una delle quali rimasta dell'antica rocca fu distrutta nello scorso secolo. L'opera era compiuta nel 1430, e in memoria di ciò vi fu affissa una lapide. Il Frassoni che ci dà queste notizie non riporta il tenore di questa lapide né documento alcuno che dia maggiore autorità alle sue parole» CAMPORI 1855, pp. 443-444.

Le analoghe posizioni filtrano nelle conclusioni a cui approdò Corrado Ricci «Giovanni da Siena conservò qualche parte della rocca costruita da Bartolino, nel grande ampliamento o meglio nella riedificazione ch' egli ne fece per renderla abitabile dal marchese Nicolò. Il Frassoni stampava nel 1778 che le parti conservate furono la torre maggiore nel mezzo «ad un laterale assai vasto torrione, demolito poi con mal consiglio in questo secolo e di cui le vestigia tuttora si veggono». Sorgeva forse a settentrione, ossia dalla parte opposta all'ingresso attuale. La torre maggiore poi non fu da Giovanni conservata nel suo aspetto primitivo, ma alzata come dimostrano i modiglioni ad archetti trilobati». RICCI 1904, p. 56.

ingignero»755.

Il documento rimanda a una prassi consolidata che prevedeva l'obbligo delle comunità di contribuire alla realizzazione di opere pubbliche quali interventi idraulici e fortificazioni con la fornitura di manodopera secondo il sistema delle corvée medievali. Il marchese poteva sollevare ex

gratia da questi obblighi in situazioni particolari, ma nel nostro caso a nulla valsero le rimostranze

dei Modenesi che rimarcavano nella loro petizione l'impossibilità di inviare uomini che in quello stesso periodo erano impiegati in altri lavori. L'insistenza di Nicolò prevalse e il 7 settembre dello stesso anno i Sapienti scrissero al marchese per confermandogli l'invio di 17 uomini per i primi otto giorni e di 53 per i restanti sette756.

Il 2 ottobre seguì un ulteriore missiva con la quale i Modenesi lamentavano la richiesta di altri 50 uomini che si sarebbero aggiunti ai 50 precedentemente inviati a Finale, questi sarebbero stati impegnati ancora «per cavare et palificare duy torexoni de quella ... rocha». Secondo quest'ultima disposizione di Nicolò III i 100 uomini impiegati a Finale non avrebbero potuto fare ritorno alle loro case sin tanto che lo scavo e le palificazioni per le due torri non fossero stati completati757.

Nelle lettere inviate al marchese i Sapienti di Modena non esitarono a esprimere il loro biasimo nei confronti della direzione dei lavori. Si apprende infatti che al loro arrivo a Finale gli uomini non poterono iniziare immediatamente i lavori in quanto furono mandati a «tagliare legname al bosco» verosimilmente destinato alle palificazioni delle torri. L'irritazione di questi lavoratori era ulteriormente acuita dalla mancanza di qualsiasi compenso e dalla lentezza dei lavori che non permetteva loro di sperare in un rapido ritorno a casa. I Sapienti paventavano inoltre il pericolo che questi uomini, per i quali l'autorità difficilmente poteva riconoscere l'identità, disertassero dai lavori prestati gratuitamente a Finale per finire con l'essere reclutati dal Comune di Modena che avrebbe dovuto pagare per le proprie necessità la manodopera sostitutiva a quella occupata nella costruzione della rocca.

Le critiche, forse solo suffragate dalla voce popolare, menzionano esplicitamente l'operato del responsabile del cantiere, sottolineando:

« … che poy che fou [=fu] palificato el primo turesono, cavandose ruinò el tereno; è palificato per defecto e poco vedere de lo inzignero per quello avemo inteso e furono in pericolo de anegarse circa homeni quatro ne laqua che li decurre … »758.

Stando alle aspre parole dei Sapienti, verosimilmente corroborate dai quattro uomini che in quell'occasione rischiarono la vita, Giovanni non sarebbe stato in grado di seguire con perizia i lavori di una una palificazione rivelatasi inadeguata alla natura di un terreno prossimo al corso dell'acqua; di certo colpisce un simile giudizio di incompetenza, visto che l'ingegnere vantava oramai una lunghissima esperienza nella quale non mancarono opere idrauliche ben più complesse di quella citata tanto da essere considerato uno dei più capaci costruttori del suo tempo.

La risposta di Nicolò III arrivò dopo pochi giorni ordinando che i cento uomini restassero a Finale sin tanto che non fossero stati «licentiati» lamentandosi al contempo aspramente del loro comportamento sul lavoro e ordinando che i cento uomini che avrebbero sostituito i primi ormai stanchi, fossero accompagnati da un modenese dotato di autorità cioè in grado di far rispettare i propri ordini cioè «che li faza lavorare»759.

Dalla missiva marchionale del 10 ottobre 1425 si apprende che a dirigere il cantiere fosse in quel

755 APP. I - DOC 109a (1425, agosto 31) Già dall'8 novembre del 1425 il Comune di Modena è chiamato a pagare il salario «alo Inzegnero» inviato a Finale, a partire dal gennaio dello stesso anno sino a tutto il mese di ottobre; da quel momento è tenuto a versargli uno stipendio mensile per tramite di Paolo Barbalonga, ufficiale dei soldati di Nicolò III (cfr. ASCMo, Libri officii Camere Sapientum, 19, 1425, II semestre, c. 12v; citato in BARACCHI 1991)

756 Ivi.

757 APP. I - DOC 109b (1425, ottobre 2) 758 Ivi.

momento un certo «m.° Zoani de Isep»760, questa citazione rappresenterebbe a tutt'oggi l'unica

riferita a questo nome nelle vicende costruttive della rocca finalese; potrebbe trattarsi di un refuso del copialettere che indicherebbe in realtà lo stesso Giovanni da Siena, oppure potrebbe testimoniare la presenza di un secondo responsabile del cantiere che avrebbe affiancato la figura del senese e lo avrebbe sostituito in sua assenza.

La scarsa fonti a nostra disposizione non ci consentono di identificare con sicurezza quali delle quattro torri angolari costruite da Giovanni coincidessero con i due «toresoni» di cui furono realizzate le fondazioni su pali del 1425. E' stato ipotizzato che una di queste coincidesse con la torre dell'angolo nord-est, localizzata lungo il corso del Naviglio, il che spiegherebbe il rischio di annegamento corso dai quattro uomini «ne laqua che li decurre»; la seconda si troverebbe invece all'angolo di sud-ovest poiché per la costruzione delle sue fondazioni i documenti non fanno cenno a problemi d'acqua761, tuttavia queste considerazioni potrebbero valere anche per le due torri del lato

corto occidentale speculare al primo, oppure a due di esse disposte lungo la diagonale dell'impianto rettangolare e per questa ragione la congettura non sembra essere particolarmente convincente. Più recentemente è stato ipotizzato che si trattasse delle due torri che serrano simmetricamente il corpo di fabbrica meridionale, a giustificare una loro costruzione simultanea sarebbero le strette somiglianze che le accomunano differenziandole al contempo da quelle poste lungo il corso del Naviglio: entrambe presentano infatti dimensioni simili e i merli che le coronano sono privi di nicchie trilobate invece presenti in tutti gli altri corpi di fabbrica762; accettando questa tesi si

potrebbe supporre che l'incidente sopra citato avesse origine dall'acqua che invase lo scavo dopo che il Naviglio aveva visto aumentare la sua portata a seguito delle intense precipitazioni piovose del primo autunno.

In mancanza di evidenze documentarie che supportino un'identificazione topografica certa sembra difficile potersi pronunciare in proposito tuttavia è importante rimarcare che indipendentemente dalla loro dislocazione, la costruzione dei due «toresoni» fissò i capisaldi per un impianto completamente diverso rispetto a quello trecentesco, la realizzazioni delle torri angolari precedette infatti quello dei corpi di fabbrica destinati ad ospitare gli appartamenti marchionali, i locali di servizio e gli altri ambienti occupati dagli uffici dell'autorità locale. La realizzazione del nuovo impianto comportò l'atterramento di buona parte del complesso precedente ma nulla sappiamo della cronologia di queste demolizioni.

Ci sono pervenute alcune notizie sulla produzione dei mattoni utili per gli interventi ex-novo. Da un decreto del 1427 emanato da Nicolò III risulta che la fornace posta lungo il canale di Modena, presso il lato inferiore dell'insediamento, e gestita tra l'altro dagli eredi di Bartolino da Novara e del Gualenghi, avrebbe dovuto produrre nell'arco di sette anni i mattoni e la calce per l'edificazione della rocca e di altri cantieri previsti dal marchese nella stessa terra di Finale.

Il signore di Ferrara si impegnò a corrispondere alla società che si occupava della fornace un compenso di lire 2 e soldi 4 marchesani per ogni migliaio di mattoni, e di soldi 22 per ogni moggio di calce, acconsentendo a che le quantità fabbricate in surplus del fabbisogno dei cantieri finalesi, potessero essere vendute liberamente fuori da Finale senza l'aggravio di ulteriori oneri fiscali763.

Nel 1430, dopo cinque anni di lavori le architetture della rocca erano in larga parte completate: la fine del cantiere è testimoniata dell'epigrafe marmorea affissa all'interno dell'edificio ed oggi conservata presso il Museo Civico di Finale Emilia:

«In Christi nomine amen 1430. A<e>terna memoria de lustrissimo padrone marchione signor Nicolò da Esti

760 Ivi

761 BARACCHI 1991.

762 RIGHINI 2009. p. 74 .

763 ASMo, Cancelleria ducale, Leggi e decreti, serie B, reg. 4, Decreti di Nicolò III, 1419-1441, c. 157r = p. 299 "Decretum exempionis fornacis de Finali d. Iohannis de Novaria [figlio del fu magister Bartiolino] et Iohannis et Iacobi fratrum de Gualengo [figli del fu Giuliano] pro septennio", Ferrara 8 ottobre 1427. Parzialmente trascritto in CALZOLARI

facie fare questo lavoro a maestro Zovan»764

La presenza di Giovanni al Finale non terminò però qui, egli venne infatti nuovamente impiegato a distanza di alcuni anni nella stessa località: il 30 gennaio 1434 Nicolò III scrisse ai Fattori Generali una lettera riguardante la spesa fatta dall'ingegnere per moggia 35 di calce destinate «per lavoriero nostro dal Finale» non meglio identificato765. Ancora l'anno seguente, da una missiva inviata dal

camerlengo di Finale Bartolomeo Tossici sempre ai Fattori Generali, si apprende che un certo maestro Gerardino Usivieri di Finale aveva sollecitato Giovanni da Siena per ottenere l'indennizzo di un orto che gli era stato espropriato in occasione della realizzazione delle «fosse de la cittadella novamente principiate»; e a seguito della lettera del camerlengo si provvide così alla liquidazione della somma dovuta766. Apprendiamo quindi che il marchese continuava a destinare risorse al Finale

e gli interventi alle fortificazioni proseguivano con lo scavo di nuovi fossati.

Nel marzo del 1435 Giovanni fu impegnato in lavori agli argini del Panaro767, e in aprile la sua

presenza a Finale è nuovamente attestata da una disposizione del marchese il quale ordinava che egli venisse lì condotto con una nave a tre remi768.

Gli interventi accessori intrapresi presso la Rocca Grande terminarono con molta probabilità nel 1436 quando il marchese scrisse ancora alla comunità di Modena, ordinando l'invio di cento uomini affinchè «se daga fine et compimento a le fosse de la rocha nostra del Finale»769. Lo scavo dei

fossati non fu probabilmente l'ultima opera portata avanti negli anni seguiti all'ultimazione della prima e più massiccia campagna edilizia: dal 1434 al 1437 è documentato infatti il lavoro del pittore Ettore Bonacossi, inviato a Finale forse a dipingere merli e beccatelli770. Le tracce di intonaci

residui lasciano pensare che anche qui l'apparato a sporgere, comprensivo della merlatura, fosse dipinto con una ricca decorazione policroma771 probabilmente non lontana da quella dei

coronamenti della rocca di Vignola, decorati con pitture di figure antropomorfe e zoomorfe combinate con motivi floreali e architettonici772.

Sebbene non si conosca l'entità della spesa complessiva dell'intera impresa compiuta da Giovanni a Finale si possono avanzare alcune considerazioni di carattere generale. In quanto opera ritenuta di

764 Trascrizione del testo proposta da PARENTE 1985. Il primo a citare l'epigrafe fu il Frassoni che tuttavia non ne

trascrisse il contenuto (FRASSONI 1778, p. 41: «E già terminato l'indicato lavoro della Rocca nel 1430. vennevi affissa,

sebbene rozza, lapide in Gotico carattere.»). Ripreso poi in CAMPORI 1855, pp. 443-444: «L'opera era compiuta nel

1430, e in memoria di ciò vi fu affissa una lapide. Il Frassoni che ci dà queste notizie non riporta il tenore di questa lapide né documento alcuno che dia maggiore autorità alle sue parole.»). La trascrizione più antica si trova in Ricci, 1904, p. 22: “IN. N. D. AM. 1430 AT TERA/MEMOA DE. L.... VS. TRSO./PRE. MARCHES. NICOLO./DA. ESTI. FECIE FARE/QUESTO. LAVORO A. M.° ZOVANE”.

765 APP. I – DOC 115 (1434, gennaio 30) 766 APP. I - DOC 120 (1435, maggio 23)

767 ASCFinale, Delibere della Comunità, reg. 1434-1460, c. 7v, atto del 27 marzo 1435.

768 ASMo, Camera Ducale Estense, Computisteria, Mandati in volume, 4 (1436-1438), c. 35r, 15 aprile 1436. 769 APP. I – DOC 125 (1436, agosto 11)

770 CALZOLARI 2009b, doc. 17, atto del 9 giugno 1453, p. 354.

771 Da una memoria manoscritta del Crespellani, riguardante un sopralluogo al castello di Finale in data 19 novembre 1890, apprendiamo che la parte più alta dell'edifico mostrava ancora a quell'epoca consistenti tracce dipinte: i beccatelli (=pinelle?) erano decorati con le raffigurazioni di colonne rotonde di color rosso su fondo verde mentre gli spazi sottostanti agli archetti erano adornati con raffigurazioni di colonne di marmo nero e bianco poggianti su una cornice cordonata. CORRADINI 1985, p. 441.

772 A Vignola monofore trilobate erano dipinte negli spazi compresi tra ibeccatelli delle torri. Quella delle Donne e quella del Pennello presentano lungo le mensole aggettanti colonne affrescate; cfr. TUSINI 2009, p. 96. Questa

architettura “finta” sembra stabilire una linea di continuità con le soluzioni “reali” adottate in alcuni rimarchevoli esempi dell'edilizia residenziale ferrarese della metà del secolo, in particolar modo Palazzo Muzzarelli-Crema (Sacrati) e Casa Romei. Nei cortili di questi due complessi paraste in muratura a forma semiesagonale emergono dal profilo degli sporti a sostegno dei loggiati.

interesse generale, Nicolò III poté contare su una manodopera coatta reclutata in ossequio agli antichi patti sottoscritti tra le comunità di Modena e il feudatario estense, ciò permise di ridimensionare l'onere finanziario che cantieri così vasti potevano comportare per le casse statali. Tale prassi poteva essere attuata per i lavori che richiedevano una bassa specializzazione, come ad esempio le operazioni di scavo, ma per gli interventi di maggiore complessità si rendeva necessario l'impiego di maestranze ben addestrate che in ragione della loro competenza richiedevano un compenso adeguato. A questa uscita si sommavano i costi per i materiali da costruzione.

Per recuperare risorse finanziarie necessarie al compimento dell'opera Nicolò III impose dal 1427 al 1438 circa ai possidenti di Finale esenti da tassazioni un contributo temporaneo773, assegnò inoltre a

Giovanni da Siena una responsabilità finanziaria che sembra andare molto al di là della gestione delle contabilità di cantiere comunemente limitata al coordinamento della manodopera e al controllo dei materiali, egli infatti si ritrovò a ricoprire in prima persona la carica di esattore camerale così che potesse con la somma raccolta appianare i debiti contratti per la costruzione dell'edificio774.

Durante la seconda metà del Quattrocento si registrarono limitati interventi comportanti anche sostituzione di parti strutturali, attuati in ragione delle infiltrazioni d'acqua dai tetti, delle esondazioni del Naviglio e di cedimenti strutturali775. Le trasformazioni di cui si ha notizia

attraverso le fonti scritte fino al chiudersi del Cinquecento possono quindi essere definite per lo più come interventi di manutenzione ordinaria e/o straordinaria lasciando pensare che l'impianto architettonico definito principalmente tra il 1425 e il 1430 coincidesse in gran parte con quello originario. Non si può tuttavia escludere che l'edificio così come appare nei primi elaborati grafici del Cinquecento fosse stato oggetto di alcune profonde modifiche, ravvisabili ad esempio nell'anomalo ispessimento delle murature del corpo nord-orientale, probabilmente oggetto di significative manomissioni non meglio collocabili nel tempo senza ulteriori riscontri documentari. 4.2.5. Gli appartamenti di residenza e di governo tra Quattro e Cinquecento

Le fonti scritte menzionano alcuni degli spazi interni ed esterni del castello, ma non sempre è agevole individuare con certezza una corrispondenza univoca tra i nomi degli ambienti citati e la loro dislocazione776, tanto più che alcuni di essi assunsero molto probabilmente denominazioni

diverse col passare tempo a fronte di mutate esigenze e/o della sostituzione degli apparati decorativi che caratterizzavano alcuni di essi.

Alcuni degli ambienti residenziali del piano nobile presero il nome dalle imprese777 estensi che

vennero dipinte sulle pareti778, così il cosiddetto Salotto del diamante (citato in documenti del 1529,

del 1536, e del 1540)779 sembra coincidere con la camera di nord-ovest dove è raffigurata l'impressa

773 CALZOLARI 2009a, p. 35, nota 68 a p. 53: «Dichiarazione fattasi per parte della Camera marchesana relativa

all'esenzione delle terre dei Novara...», dopo il 1452, cc. 9v-11v, unita alla copia degli atti del 1397 e 1429 relativi alle loro proprietà nel finalese, fascicolo cartaceo di cc. 11 con coperta, conservato in ASCFinale, Miscellanea, Farmacia comunale 1915-1920.

774 APP. I – DOC 114 (1434, gennaio 21)

775 CALZOLARI 2009a, pp. 35-36, note 68-71 a p. 53 e relativa documentazione. Sono testimoniati diversi lavori

compiuti da due ingegneri ducali: Rigone e Pietro da Roncogallo, nel 1496 si trova menzione anche di un intervento di Biagio Rossetti.

776 Il posizionamento dei nomi delle sale del piano nobile è stato tentato a livello parziale per i secoli XV e XVI e a livello complessivo per il 1629, si veda in proposito le elaborazioni grafiche in CALZOLARI – RIGHINI – TUSINI 2009, p.

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