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Manomissioni, restauri e distruzioni: la rocca tra XVII e XX secolo.

P ARTE IV: 1425-1439 G IOVANNI DA S IENA ALLA CORTE DI N ICOLÒ III D 'E STE

4.2. L A R OCCA G RANDE DI F INALE E MILIA

4.2.7. Manomissioni, restauri e distruzioni: la rocca tra XVII e XX secolo.

Tra il XVII e il XVIII secolo la rocca divenne più volte luogo di acquartieramento per truppe straniere di passaggio: la permanenza di contingenti militari costituì una grave causa di degrado dell'edificio oramai non più adatto ad accogliere degnamente sovrani o altri personaggi illustri. Nell'anno 1715, dopo che soldati stranieri alloggiarono nella rocca, gli ambienti destinati ad ospitare i Governatori risultarono inabitabili e si rese necessaria una prima operazione di restauro, mentre l'anno successivo si ripararono i muri sopra la loggia, si rinnovò la pavimentazione di due «cameroni», e si rifece una scala. Dopo un ventennio, nel 1736, l'edificio versava ancora in preoccupanti condizioni di degrado che necessitavano ancora nuovi interventi787.

Un elaborato grafico del 1820788 ci informa che alcuni degli ambienti del primo piano (all'epoca

782 CALZOLARI 2009b, doc 18; TUSINI 2009, p. 100.

783 CALZOLARI 2009b, doc 19; TUSINI 2009, p. 101.

784 TUSINI 2009.

785 Prima di raggiungere Modena e poi Reggio, Alfonso I, si fermò a Finale il 31 ottobre. Per l'occasione venne fornita la legna per la cucina e per il «saloto e camera del nostro Signore ill.mo, tinello e camera de megio» del piano nobile. Tusini ipotizza che questi ambienti coincidano con gli spazi comunicanti del lato sud-est chiamati Camera delle cerve e

Camera da le arme. TUSINI 2009, p. 102

786 Già citato in CALZOLARI 2009b, doc. 19, reg dell'anno 1538, c. 19r, Spese per il passaggio del duca Ercole II d'Este.

787 FIORENTINI 1985.

788 ASMo, Genio Civile, Fiume Panaro, Mappe, n. 10/1. Pianta del piano terreno della Rocca grande di Finale nel 1820. Disegno a inchiostro e acquerello. Un'altra mappa coeva è segnalata da G. Fiorentini con segnatura ASMo,

piano terra) erano stati adibiti a «Magazzeni de Sali». Dalla stessa pianta apprendiamo che lungo il lato orientale era stata costruita una scala esterna ad L con la prima rampa di gradini addossata al muro meridionale del mastio, in modo tale da mettere in comunicazione il loggiato con il cortile «rialzato recentemente a spese della Camera». In corrispondenza del punto di arrivo della scala, l'ultimo pilastro del loggiato era stato inoltre affiancato da una colonna ausiliaria. Lo spessore del muro settentrionale che difendeva la rocca dalle acque del Naviglio non era sufficiente a proteggere il cortile dagli allagamenti, in corrispondenza dello spazio porticato del corpo occidentale si registrarono infatti delle «Fenditure per le quali manifestaronsi vive trapellazioni nel giorno della Piena 22 8bre 1819». Le infiltrazioni causate dal canale rappresentavano un problema cronico per lo stato di conservazione della rocca, allo stesso tempo l'apporto continuo di sedimenti in occasione degli alluvioni aveva provocato un progressivo aumento della quota del piano di campagna, tanto da che le strutture basamentali dell'edificio finirono per essere coperte dal terreno.

Sul lato orientale del fabbricato la pianta mostra inoltre due setti murari ad L laddove si trovava il corpo angolare che nel Cinquecento ospitava il magazzino del legname, e che stando alle parole del Frassoni fu demolito durante il XVIII secolo789.

Nel 1861 si registrano nuovi restauri, questa volta riguardanti il tetto della «Torre maggiore»790.

Sempre in questo periodo venne redatta una pianta del piano terreno (attuale primo piano)791 in cui

ciascuno degli ambienti interni e della corte sono associati ad un numero che rimanda ad una apposita legenda792: il documento rivela come alcuni locali fossero ancora destinati a magazzino dei

sali mentre altri erano stati adibiti a strutture carcerarie. In questa pianta il disegnatore sembra non aver inserito elementi che possano far pensare che il pian terreno e il cortile si trovino a quote differenti, confermando che l'area della corte interna fosse stata riempita di terreno per un'altezza corrispondente a quella del primo livello dell'attuale loggiato.

Nel marzo del 1891 il Naviglio che scorreva all'interno dell'abitato venne interrato e trasformato in una via carrabile. L'intervento ridisegnò l'assetto del centro urbano e al contempo mutò radicalmente la percezione della Rocca Grande e della Torre dei Modenesi, fino a quel momento lambite dalle acque del canale.

Si diede avvio anche allo sterramento del cortile della Rocca Grande793 puntualmente documentato

dalle fotografie dell'epoca794: dopo aver rimosso lo strato di sedimenti, riemersero i pilastri che

sorreggevano il livello inferiore del loggiato meridionale. I profili di questi sostegni si presentavano arricchiti da paraste semiesagonali in mattoni impostate su basi in marmo bianco. Le strutture murarie dei pilastri erano addossate a quelle del muro retrostante senza palesare aperture che garantissero le soluzioni passanti, presenti invece nei due livelli superiori. Lungo il lato occidentale della corte le operazioni di scavo misero in luce la parte inferiore di un pilastro centrale che

Camera Ducale, Mappe e disegni, Disegni in volume, D. 10, XXXIII. “Magazzeno delle Pelli verdi in Rocca del

Finale” (FIORENTINI 1985, p. 429 nota 11).

789 FRASSONI 1778, p, 41: «un laterale assai vasto Torrione, demolito poi con mal consiglio di questo secolo, e di cui le

vestigia tutt'ora si veggono». 790 FIORENTINI 1985, p. 429.

791 ASMo, Genio Civile, Fiume Panaro, busta 196, anno 1861, fasc. "Fabbriche governative".

792 Legenda: «1. Porta d'ingresso nel lato di mezzodì; 2. Atrio; 3. Cortile per le comunicazioni interne dell'estensione di are 1.51; 4. Basso fondo a volto nella torre superiore costeggiante il fiume Panaro totalmente interrato; 5. Basso fondo a volto, ad uso di cantina nella torre corrispondente a quella già accennata nel lato di mezzodì dell'edifizio; 6. Idem a volto, attualmente impiegato in qualità di legnara; 8-9-10-11. Bassi fondi a volto, destinati a magazzeno a serviggio dell'Amministrazione de' Sali; 12. Locale a volto, occupato da depositi de' sali, come sopra nella torre situata a contatto all'argine del fiume; 13. Carcere a volto alquanto elevato nel piano esterno del suolo nella torre inferiore sulla linea del fiume detta Torre Maggiore; 14. Passaggio a tettoia per accedere alla carcere (13) con cesso; 15. Scala ad un solo ramparo che mette al secondo piano, ritenuta d'uso esclusivo delle carceri politiche e dell'abitazione del custode di queste; 16. Scala a 4 rampari per ascendere al 3° piano». La legenda è stata trascritta in CALZOLARI – RIGHINI – TUSINI

2009, p. 203, fig. 11. 793 CORRADINI 1985.

presentava lungo ciascuno dei quattro lati una parasta semiesagonale con base marmorea, ripetuta anche nell'intercolumnio dei due pilastri angolari.

Le fotografie mostrano inoltre la consistenza di quelle superfetazioni che si concentravano attorno alla scala esterna del cortile. qui una muratura occludeva parte della campata più orientale del loggiato, poi liberata con la demolizione del corpo compreso tra il mastio e l'edificio della cortina meridionale.

I lavori di scavo non furono esenti da inconvenienti: a seguito dello sterro il pian terreno fu a breve sommerso dalle acque ed il Comune di Finale fu costretto a predisporre le operazioni di prosciugamento e la realizzazione di una prima canalizzazione per lo smaltimento delle acque meteoriche. Il problema del ristagno delle acque di risalita non fu tuttavia completamente risolto, trascinandosi a sino al 1914 quando venne approntato un adeguato sistema di drenaggio795.

Dopo la scoperta della parte inferiore del cortile l'Ufficio Regionale fece seguire una campagna di saggi esplorativi tesi a rilevare la consistenza della parte dell'edificio che era stata nascosta con l'innalzamento del piano di campagna o con la costruzione di corpi aggiuntivi, furono così identificate le strutture fondali del torrione nord-orientale già citato dal Frassoni.

Nel 1892 la rocca fu dichiarata dal Ministero della Pubblica Istruzione monumento nazionale, aprendo la strada a un programma di manutenzione e a un eventuale restauro, che venne effettivamente attuato sotto la supervisione dell'ingegnere Raffaele Faccioli in quel periodo direttore dell'Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti dell'Emilia.

Il restauro del cortile iniziò nel giugno 1893 e si concluse nel 1898, gli interventi furono attuati sotto la direzione dell'architetto Tosi e la sorveglianza di cantiere dell'ingegner Grillenzoni796.

L'architetto dell'Ufficio Regionale Tosi era stato incaricato dal Faccioli di redarre un progetto di restauro per il consolidamento dei fronti del cortile a sud e a ovest, della verifica dello stato delle volte inferiori e superiori e la ricostruzione della arcate al piano terreno del corpo meridionale secondo criteri che avrebbero tenuto conto delle tracce delle parti ancora in essere797.

Successivamente, si pose mano anche al rifacimento del tetto798.

Non senza difficoltà, il rilievo accurato delle preesistenze costituì il modello per la produzione di elementi di reintegro realizzati secondo una pluralità di dimensioni e forme in ragione della loro collocazione in opera799.

Il restauro tardo-ottocentesco fu orientato da un indirizzo conservativo800, escludendo l'applicazione

di presunti criteri filologici per interventi di completamento che avrebbero prodotte forme del tutto inventate. Ad esempio non si ha memoria dell'intendimento di ricostruire il bastione-torre che si trovava nell'angolo nord-est, già citato dal Frassoni nelle sue Memorie801. Certo la carenze delle

risorse finanziarie e la stessa posizione periferica del castello contribuirono a tenere al riparo la

Rocca Grande da quelle aspirazioni neomedievaleggianti che avevano portato nella vicina Bologna

a vere e proprie invenzione formali. Nel 1896, quando si stava per terminare il ripristino delle

795 Il problema del ristagno delle acque nel cortile e negli ambienti sotterranei destò le preoccupazioni del Comune che già nel 1897 adottò un provvedimento per presentare all'Ufficio Regionale un progetto risolutivo che fu ostacolato ancora una volta dalla mancanza di fondi. Nel frattempo il Genio Civile, unico ente incaricato dallo Stato per questi lavori, si espresse per interrare nuovamente ciò che gli scavi avevano messo in luce, incontrando così la ferma opposizione del Comune che ribadì al Faccioli la necessità di un intervento di drenaggio (ACIDINI LUCHINAT – SERCHIA

1985, pp. 487-488). Le acque che ristagnavano nel cortile, alimentate dalla falda superficiale, non potevano essere allontanate in misura sufficiente dalla pompa a mano che era stata istallata e così tra il luglio e il novembre 1914 si diede corso ai lavori che avrebbero creato uno strato drenante di 30 cm di ghiaia, coperto di mattoni. Le acque convogliate in un pozzo di raccolta sarebbero state poi sollevate mediante motore elettrico scaricandole nelle fognature. (ACIDINI LUCHINAT – SERCHIA 1985, p. 492).

796 ACIDINI LUCHINAT – SERCHIA 1985, p. 477.

797 ACIDINI LUCHINAT – SERCHIA 1985, p. 476.

798 ACIDINI LUCHINAT – SERCHIA 1985, p. 478.

799 ACIDINI LUCHINAT – SERCHIA 1985, p. 477-478

800 ACIDINI LUCHINAT – SERCHIA 1985, p. 479.

strutture danneggiate del cortile, lo stesso Ministro Costetti, aveva precluso quegli interveniti che, non essendo strettamente connessi a ragioni strutturali, avessero falsificato l'immagine dell'edificio, scrive infatti:

«Raccomando però che il risarcimento dei beccatelli, degli archi e delle cornici non sia esteso più di quel che sia necessario alla stabilità del monumento in modo che non ne danneggi l'autenticità né l'aspetto vetusto»802

Un orientamento non dissimile da quello del Faccioli, che nel 1898 afferma:

«Ripristinare il Castello, come poteva essere in antico, non è oggi cosa da pensare, il compito nostro è di provvedere alla sua conservazione, difendendone da ulteriori guasti e danni le parti più avariate»803

Si è inoltre ipotizzato che dietro le prescrizioni ministeriali ci fosse la figura di Corrado Ricci , uno dei funzionari più stimati dell'amministrazione delle Antichità e Belle Arti che dopo essersi dedicato a ricomporre la vicenda biografica di Giovanni da Siena poteva avere esercitato la sua influenza perché non fossero portate avanti manomissioni tali da compromettere l'autenticità storica dell'unica architettura superstite ascrivibile con certezza a questo grande costruttore804.

Dopo il restauro del cortile restava il grave problema del permanere di destinazioni funzionali incongrue con la conservazione dell'edificio: fino al 1949 gli ambienti della rocca continuarono a servire da carceri mentre al piano terra i laboratori artigiani di un fabbro e di un marmista contribuivano a peggiorare le condizioni strutturali.

Il Ministero non sembra disporre di fondi necessari per porre sotto tutela l'intero complesso né di sufficiente riconoscimento istituzionale per entrare in sinergia con le autorità comunali: a riprova di ciò nel 1902 il Sindaco poté smantellare quasi indisturbato il muro del lato nord, compreso tra il mastio e il corpo nord-occidentale805.

Le demolizioni comportarono la distruzione della struttura sino ad un metro del piano di campagna, sostituendo il diaframma murario con una cancellata in modo da rendere visibili alla cittadinanza i risultati del ripristino delle arcate del cortile806. L'intervento fu ispirato da istanze propagandistiche

che miravano a palesare alla popolazione l'impegno profuso dal Comune nel recupero del castello finalità del tutto sovraordinate alla conservazione del significato documentario e artistico di quella architettura. Così, all'interno di un assetto urbano, già radicalmente sconvolto dall'occlusione del Naviglio, la leggibilità delle strutture che componevano la Rocca Grande fu ulteriormente alterata, il recinto che proteggeva il cortile aveva perso infatti l'originaria competezza, assumendo una configurazione che mai aveva avuto in precedenza.

Nel 1910 con la demolizione del fabbricato della “salina”, posta nell'area dell'attuale Piazza Gramsci, si eliminava una delle fonte di degrado delle murature del fronte meridionale, che sottoposto all'azione corrosiva dei sali, presentava segni di sfogliamento con crollo dei laterizi807.

Quando le operazioni di demolizione furono concluse, il deterioramento che riguardava il fronte

802 Lettera del Ministro Casetti al Faccioli, 4 marzo 1896, citata in ACIDINI LUCHINAT – SERCHIA 1985, p. 479.

803 R. Faccioli, Relazione dei lavori compiuti dall'Ufficio Regionale per la conservazione dei monumenti dell'Emilia dall'anno 1892 al 1897, Bologna 1898, p. 54. citata ACIDINI LUCHINAT – SERCHIA 1985, p. 480.

804 ACIDINI LUCHINAT – SERCHIA 1985, p. 480.

805 La demolizione fu il risultato di una forzatura procedurale intrapresa dal Comune che anticipava la posizione apertamente contraria che avrebbero assunto in proposito i funzionari ministeriali. Quando infatti la Commissione Provinciale per la Conservazione dei Monumenti di Modena si riunì sotto sollecitazione del Faccioli il 7 gennaio del 1902, esprimendo un parere negativo, il muro era già stato abbattuto. L'episodio rimarcò come gli organismi deputati alla tutela dei monumenti scontassero ancora le difficoltà di avvio a causa non solo della mancanza di fondi ma anche in ragione della lacunosità del quadro legislativo e della mancanza di riconoscimento da parte di altri Enti pubblici e dei soggetti privati. ACIDINI LUCHINAT – SERCHIA 1985, p. 489.

806 ACIDINI LUCHINAT – SERCHIA 1985, p. 489.

meridionale della rocca fu ancora più evidente.

I successori del Faccioli riportano nelle loro relazioni lo stato del prospetto meridionale, dove le le cortine, le torri e i beccatelli registrano i segni di un profondo degrado, la muratura al di sopra del rivellino era stata in parte demolita mentre erano state aperte in facciata, in modo del tutto incongruo all'assetto originario, dodici finestre e quattro porte a servizio delle botteghe808. I

fuzionari auspicavano la parziale o completa chiusura di queste aperture. Si prevedeva anche l'introduzione di catene per contrastare il dissesto del mastio che presentava vistose lesioni a partire dai beccatelli 809.

Nel 1926 il preoccupante quadro fessurativo in cui ancora versava la rocca si risolse nell'attuazione di lavori di consolidamento statico con l'adozione di catene in ferro, la ricucitura di murature, la chiusura di aperture del mastio, il rafforzamento delle ghiere degli archi e delle fondazioni della torre.

Nello stesso anno il Soprintendente Corsini, chiamato a redigere un programma di restauro, non mancò di rilevare l'incompatibilità tra le istanze conservative e le destinazioni d'uso a cui era stata adibita la rocca (carceri e botteghe artigiane).

Il 22 marzo 1934 il Podestà di Finale, sperando di poter allontanare gli occupanti dalla rocca e destinarla a sede del Fascio, affidò all'architetto Gualtieri Pontoni di Bologna il compito di redigere un nuovo progetto di restauro. Gualtieri Pontoni nel mese di settembre di quello stesso anno fu sostituito dall'ingegnere Emilio Giorgi, ispettore onorario della Soprintendenza. Si faceva sempre più urgente un intervento di consolidamento strutturale, i problemi statici in parte imputabili alle destinazioni d'uso erano stati infatti acuiti dai fenomeni di dissesto seguiti al prosciugamento del cortile810.

Il progetto degli anni '30 prevedeva l'eliminazione delle suddivisioni interne (realizzate per adattare l'articolazione medievale alle esigenze dell'uso carcerario), la realizzazione di un collegamento alternativo tra primo e secondo piano che avrebbe consentito la demolizione del vecchio corpo scale in modo da liberare l'ultima arcata del loggiato posta a oriente. Venne prevista inoltre una diversa configurazione degli ingressi, chiudendo l'accesso sul lato ovest con un muretto e una grata, (soluzione quest'ultima già proposta dal Faccioli), l'occlusione della porta sul lato esterno di una delle torri orientali), e il ripristino dell'ingresso in corrispondenza del rivellino del fronte meridionale, da collegare al nuovo corpo scale811.Non è però chiaro in che misura questi propositi

trovassero un riscontro operativo812.

La situazione si complicò ulteriormente quando a seguito della Seconda Guerra Mondiale dodici famiglie di sfollati per un totale di 35 persone si insediarono nei vani del primo piano, qui tra il 1947 e il 1949 si registrano crolli delle coperture, danni a porte e finestre mentre le superfici interne delle stanze si annerivano a causa dai focolai domestici allestiti per necessità 813.

Solo il 21 giugno 1949 il Sindaco di Finale, con il parere favorevole del Genio Civile e dell'ingegnere comunale Pinchetti dichiarò l'inagibilità della rocca richiedendo al Ministero di Grazia e Giustizia il trasferimento del carcere in una nuova sede. Gli sfollati restarono fino al 1959814.

Tra il 1961 e il 1969 vennero attuati significativi lavori di restauro, ripristinando e consolidando le

808 Relazione di Germano al Ministro del 30 giugno 1910; citata in ACIDINI LUCHINAT – SERCHIA 1985, p. 494.

809 ACIDINI LUCHINAT – SERCHIA 1985, p. 494.

810 L'ingegner Giorgi aveva rilevato come le volte dei sotterranei fossero gravemente lesionate, manifestando una grave collabenza e il distacco di interi blocchi di mattoni, mentre le vibrazioni causate dalle attività artigiane del piano superiore costituivano un'ulteriore causa di deterioramento della struttura. Probabilmente in ragione di un assestamento dovuto allo svuotamento dello strato di terreno dal cortile il loggiato si stava staccando dal muro a cui era addossato. ACIDINI LUCHINAT – SERCHIA 1985, p. 494, pp. 497-498.

811 ACIDINI LUCHINAT – SERCHIA 1985, pp. 497-498.

812 Solo nel 1938 si registra la demolizione di un arco di sostegno del solaio posto tra il rivellino e la torre di sud-est e l'eliminazione di parte del volume che sorgeva sui resti della rocca all'angolo nord-est, vengono inoltre aperte e chiuse alcune porte ai piani superiori.

merlature e le aperture tra i merli, rifacendo le coperture dei corpi sud e ovest, e i solai del secondo piano mentre altri lavori di consolidamento vennero fatti anche sulle arcate del cortile. Tra il 1982 e il 1992 a seguito del restauro scientifico e recupero funzionale eseguito dall'architetto Fernando Visser, vengono liberati dai detriti gli ambienti del piano terra815.

Si individuano i resti di un rivellino posto a protezione dell'ingresso orientale (in primo tempo interprete come imbarcadero in stato di crollo)816.

Nel 1994 l'ingegner Alberto Bringhenti si occupa della sistemazione dei tetti, nello stesso anno si provvede a restaurare parte degli affreschi rinascimentali. Tra il 1995 e il 1995 l'ingegner Alberto Bringhenti e poi l'architetto G. Braida provvedono a riaprire le fosse castellane sui lati meridionale e occidentale, si sistema la pavimentazione del cortile, il prato sul lato est, e si operano interventi scuci-cuci sulle murature della base a scarpa. Nel 1999 si operano interventi di consolidamento strutturale sulle murature ad ovest individuando tracce di intonaco originario817.

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