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Lo status sociale dell'ingegnere-architetto alla corte degli Este.

P ARTE IV: 1425-1439 G IOVANNI DA S IENA ALLA CORTE DI N ICOLÒ III D 'E STE

4.1 I NGEGNERI ARCHITETTI ALLA CORTE ESTENSE AGLI ALBORI DELL 'E TÀ M ODERNA

4.1.2. Lo status sociale dell'ingegnere-architetto alla corte degli Este.

Mentre la codificazione statutaria promossa dal Comune di Bologna alla fine del XIV secolo inizia a definire il ruolo di ingegnere comunale in quanto figura istituzionale individuata secondo un certo processo di elezione e soggetta a un preciso trattamento economico, diversamente nel principato estense, per quello stesso periodo, sembrano non sopravvivere tracce che sottendano la volontà di formalizzarne l'ufficio in seno alla macchina statale.

Quando Giovanni arriva a Ferrara intorno al 1425 i principi di casa d'Este si sono da tempo appropriati delle istituzioni comunali e mancando una reale distinzione tra Casa e Stato, l'ingegnere del signore finiva per assorbire sia compiti riguardanti gli edifici di corte che i lavori delle opere pubbliche compresi quelli di carattere idraulico. Di fatto l'ingegnere era un ufficiale di corte dotato di responsabilità amministrative che comprendevano il controllo del buon andamento dei cantieri, della gestione delle maestranze, della fornitura dei materiali e più in generale della supervisione delle imprese edilizie, tuttavia tali competenze possono essere individuate non da fonti legislative generali quanto dall'esame della documentazione amministrativa e contabile.

Sembra che a Ferrara, nell'ottica di una progressiva razionalizzazione della macchina amministrativa, vengano creati solo nel Quattrocento inoltrato alcuni offici con competenze maggiormente definite, come l'Ufficio sopra i lavorieri di cità deputato al decoro urbano (diretto dal 1441 al 1452 dall'ingegnere Antonio di Rainaldo dei Banchi), mentre bisognerà aspettare la seconda metà del secolo perché i compiti di progettazione e la direzione dei cantieri marchionali sommati ad un sempre più chiaro ruolo di supervisione artistica generale, coincidano in una forma più marcatamente istituzionalizzata con la carica di responsabile dell'Ufficio alle Munizioni e

Fabbriche, creato probabilmente intorno al 1465 sotto il regno di Borso d'Este. Questa struttura

venne inoltre affiancata dall'Ufficio sopra le possesioni e i lavorieri del contado, che concentrava in sé competenze ancore più estese che riguardavano oltre alle dimore del principe, le fabbriche dedicate ai lavoratori, i giardini e gli orti e gli arredi delle residenze signorili687.

Giovanni da Siena chiamato al servizio di Nicolò III e il suo predecessore Bartolino da Novara688,

687 SAMBIN DE NORCEN 2012, p. 106 e p. 108.

688 Per la biografia di Bartolino da Novara si rimanda a CAMPORI 1882, pp. 11-21; MARIACHER 1964, pp. 633-634;

FIOCCHI 1985, pp. 94-111; MONTANARI 1990, pp. 21-30; FRANCESCHINI 1993, ad indicem; L'OCCASO 2005, pp. 63-65.

Già nel 1368 abbiamo testimonianza del rapporto tra gli Este e l'ingegnere novarese e nel 1373 il Comune di Ferrara gli conferisce l'investitura sull'uso dell'acqua e del canale di Porotto per ripagarlo della riparazione di un mulino e dell'edificio per segare i legnami che sorgevano lungo lo stesso corso d'acqua (CITTADELLA 1864, pp. 536-537). Nel

1375 come ricorda il Prisciani nelle sue Historiae egli fu incaricato da Nicolò II di rilevare le misure del circuito murario di Ferrara (ASMo, Manoscritti Biblioteca, 130, cc. 6v-7r). L'anno successivo il marchese gli donò due case, di cui una fornita di «curte … cum puteo» entrambe situate a Ferrara (CITTADELLA 1864, pp. 536-537). Pur in mancanza di

evidenze documentarie la storiografia ha visto in Bartolino da Novara il responsabile della progettazione del castello di San Michele (detto anche Castel Vecchio) eretto per volere di Nicolò II a partire dal 1385 in risposta al sollevamento popolare che in quello stesso anno aveva esposto il sovrano ad un preoccupante stato di vulnerabilità. L'attribuzione a Bartolino presso cui converge senza eccezione la tradizione degli studi resta motivata dalla posizione dai riconoscimenti tributati dal principe al suo ingegnere che da circa un ventennio risiedeva nella capitale estense.

Sullo sfondo delle alleanze politiche tra i Gonzaga e gli Este, nel 1368 Bartolino viene impiegato in quanto esperto di ingegneria militare nella difesa di Mantova contro l'attacco delle truppe scaligere e viscontee (CAMPORI 1882, p. 12); nel

1382 il novarese veniva poi inviato dal marchese di Ferrara nel Mantovano per interventi alle fortificazioni del Gonzaga; nel 1392 è probabilmente a Ferrara coinvolto nella costruzione della villa di Belfiore mentre nel 1393 fu impiegato in lavori alla chiesa di San Francesco (FIOCCHI 1985, p. 96).

Le somiglianze stringenti tra l'impianto del castello di San Michele e del castello di San Giorgio eretto a Mantova pochi anni dopo quello di Ferrara sembrano lasciare pochi dubbi, almeno a livello della paternità progettuale, sul coinvolgimento di Bartolino da Novara nel concepimento del fortilizio voluto da Francesco Gonzaga. Di fronte all'assenza di documenti certi, la datazione dell'intervento e il grado di coinvolgimento di Bartolino nell'opera restano ancora un tema irrisolto. La storiografia si è infatti divisa, collocando da una parte l'edificazione del castello tra il 1395 e il 1406 e dall'altra anticipando l'inizio dei lavori al 1390 e poi terminati in pochi anni (RODELLA 2003, p. 45).

Il confronto tra la datazione storiografica più tarda e la narrazione della cronaca di Giacomo Delayto sembrano lasciare emergere diverse incongruenze già rilevate dal Campori: nel 1395 Bartolino è infatti impegnato in una delicata missione per conto del marchese di Ferrara riguardante la consegna delle terre e delle fortezze di Lugo e Conselice a Giovanni da

esercitarono i loro compiti durante una fase di transizione destinata a prolungarsi quindi a ancora molto. Durante i secoli terminali del Medioevo i confini tra competenze e responsabilità all'interno della gestione dei cantieri erano ancora fluidi e i rapporti tra architetto-ingegnere e principe- committente appaiono piuttosto diretti, appena mediati, nel caso di Giovanni, dalla relazione con i

Fattori Generali, massimi responsabili delle finanze dello Stato.

Fino alla data della sua scomparsa, avvenuta tra il 1408 e il 1409, Bartolino da Novara in qualità di ingegnere deputato alle principali imprese edificatorie dei signori di Ferrara, fu l'indiscusso protagonista del rinnovamento edilizio promosso dagli Este fin dalla seconda metà del Trecento, prestando alla casa regnante un servizio sostanzialmente continuo, prima sotto Nicolò II e poi per Alberto V, infine agli ordini di Nicolò III.

Le competenze di Bartolino furono riconosciute a tal punto strategiche da Nicolò II che egli conquistò una posizione a corte di tutto rispetto e già nel 1376 il marchese gli donò due case a Ferrara definendolo «suo ingegnere e familiare». La gratitudine del principe si espresse anche successivamente attraverso l'assegnazione di investiture feudali di numerosi altri possedimenti puntualmente rinnovate da Alberto V e da Nicolò III. I beni immobili e i diritti feudali cumulati da Bartolino poterono essere trasmessi ai suoi figli che occuparono a loro volta posizioni di prestigio a corte come uomini di legge e d'armi, uno di essi fu creato cavaliere da Nicolò III e divenne per un mandato capitano del popolo di Firenze689.

Analogamente ad altri ingegneri del suo tempo, Bartolino fu coinvolto in delicate vicende politiche: ne è un esempio la sfortunata missione che gli fu affidata per la consegna delle terre e delle fortezze

di Lugo e Conselice a Giovanni da Barbiano, il quale tradendo i patti con l'Estense, imprigionò il

novarese che riuscì a liberarsi solo l'anno seguente.

La fiducia di cui godette Bartolino trova riscontro anche nei frequenti incarichi svolti per i Gonzaga, alleati dei signori di Ferrara, che lo ricompensarono con la concessione di diversi beni immobili nel Mantovano. Gli indizi di un prestigio oramai consolidato sono inoltre ravvisabili all'aprirsi del

Barbiano il quale tradì l'estense imprigionando il suo ingegnere (CAMPORI 1882, pp. 11-21; FIOCCHI 1985, p. 96).

Bartolino riuscirà a fuggire solo nel febbraio del 1396 ed in quello stesso anno riprese a dirigere i cantieri delle fortificazioni di Ferrara (FIOCCHI 1985, p. 96). Sempre del 1396 è un'investitura concessa al novarese da Francesco I

Gonzaga che gli assegna terre presso il monastero di Santa Maria di Felonica e gli conferisce la cittadinanza mantovana, nel 1400 segue un'altra investitura di terre nella stessa area concesse dall'abate dello stesso monastero (L'OCCASO 2005,

pp. 63-65). Nel 1397 fu ancora a Mantova impegnato nelle difese della città assediata da Gian Galeazzo Visconti, la sua presenza nella città lombarda è nuovamente testimoniata nel 1401 quando lavora per il Gonzaga forse a Sermide o nelle vicinanze (L'OCCASO 2005, p. 64) e nello stesso anno ricopre il ruolo di intermediario tra Nicolò III e Francesco

Gonzaga per una trattativa sui dazi di confine (FIOCCHI 1985, p. 96).

Alla luce di questi dati il Montanari in accordo con Luzi anticipa l'erezione del castello di San Giorgio al 1390 ipotizzando tuttavia che l'impegno di Bartolino si fermasse alla concezione progettuale mentre la fase di cantiere sarebbe stata portata avanti da maestranze locali (MONTANARI 1990, pp. 21-30). L'assenza più o meno prolungata

dell'ingegnere dal cantiere si era riscontrata anche a Ferrara quando nel 1395, durante il periodo di prigionia del novarese, si diede comunque principio a lavori fortificatori di Castel Tedaldo, per cui, come ipotizza il Campori, era a disposizione delle maestranze un modello elaborato dallo stesso Bartolino (CAMPORI 1882, pp. 11-21).

Il prestigio e la competenze acquisiti da Bartolino travalicarono almeno dal 1400 i contesti di Ferrara e Mantova in quanto Gian Galeazzo Visconti richiese la presenza di Bartolino da Novara e Bernardo da Venezia a Milano per la formulazione di un parere in relazione al cantiere del duomo della città (MONTANARI 1990, p. 26; ANNALI DELLA

FABBRICA 1877-1885, I, p. 25).

Come riporta nella sua cronaca Delayto, egli fu responsabile della costruzione della cinta muraria di Finale Emilia a cui lavori di edificazione di diede avvio il 17 ottobre 1402 (DELAYTO 1731, col. 974). Due anni dopo egli è a fianco di

Domenico da Firenze, per le opere di fortificazione dei passi di Corbole, Ariano, Tiene e Sant'Alberto, in occasione del conflitto che nel frattempo stava contrapponendo i Veneziani e Francesco da Carrara, suocero e alleato di Nicolò III

(FIOCCHI 1985, p. 96). Nel febbraio e nel novembre del 1406 la sua presenza è reclamata da Firenze per opere non

meglio precisate, ma non si sa se l'Estense accolse o meno la richiesta della signoria fiorentina (MONTANARI 1990, p. 26;

GAYE 1839, p. 85). Nel 1406 è l'ultima testimonianza del rapporto con i Gonzaga quando vengono concessi

all'ingegnere terreni presso Sermide (L'OCCASO 2005, p. 64). Nello stesso anno sembra che Firenze richieda Bartolino

per la guerra contro Pisa (FIOCCHI 1985, p. 96). L'Occaso ha infine recentemente ristretto l'intervallo in cui si verificò la

morte dell'ingegnere tra il 30 ottobre 1408, quando era ancora vivente, e il 21 settembre 1409, quando risulta deceduto (L'OCCASO 2005, p. 64).

Quattrocento quando Gian Galeazzo Visconti fece richiesta di un suo parere in merito alla fabbrica del duomo di Milano690 mentre la signoria di Firenze reclamava l'ingegnere «de cuius virtutibus

multa relata sunt» per opere non meglio precisate691.

Le numerose concessioni patrimoniali accordate dai principi-committenti sembrano testimoniare una ragguardevole tappa in quel lento processo di affermazione sociale che vide la figura dell'ingegnere-architetto occupare posti di primo piano presso le corti italiane emancipandosi dalle indistinte schiere delle maestranze.

In una celebre missiva scritta da Jacopo della Quercia nel 1428692, anche Giovanni da Siena sembra

avere raggiunto presso gli Este una posizione di tutto rispetto, in continuità con quella occupata dal suo predecessore, scomparso ormai da circa un ventennio. Stando a questa lettera l'ingegnere senese godeva di un sicuro prestigio che gli derivava da competenze artistiche e intellettuali che superavano le mera abilità manuali richieste alle semplici maestranze: queste abilità sembrano trovare conferma nell'entità clamorosa del compenso assegnatogli dal marchese di Ferrara che secondo Jacopo della Quercia ascendeva a 300 ducati l'anno. La consistenza considerevole del

compenso sembra però destare qualche la perplessità693 e resta la possibilità concreta che Jacopo

abbia volontariamente esagerato con l'intento di dissuadere l'Operaio del duomo di Siena dal sul reclutare Giovanni, dirottandone l'attenzione sulla figura emergente di Fieravante Fieravanti che lo scultore-architetto conosceva e aveva già avuto modo di dimostrare più volte la sua perizia in

diverse imprese edilizie694.

I 300 ducati sembrano inoltre in aperta contraddizione con la supplica rivolta qualche anno dopo dallo stesso Giovanni a Nicolò III, lamentando presso il marchese la penosa condizione in cui egli si trovava a vivere a causa dell'irregolarità e dei ritardi dei propri compensi. La toccante supplica scritta da Giovanni al suo signore verrà accolta e trasmessa ai Fattori Generali da Fossa d'Albero il 23 aprile 1434 con l'ordine che ne diano piena soddisfazione:

«Nicolaus Marchio Estensis etc.

Carissimi nostri. Nui ve mandemo in questa inclusa una lettera de maistro Zohanne da Siena nostro inzignero, aciò vui la vediati. Volemo che vui faciati consignare tanti di nostri debitori a dicto nostro ingeniario per quello de havere da nui che sia satisfacto.

Fossadalberi, XXIII aprilis 1434 Factoribus nostris generalibus.

Illustris et Excellentis princeps et domine domine mi singularissime, cum debita recommendatione premissa. A me occorre come fa a lupo che per fame n'esci del boscho, et qui per mi non se ricoglie né pane, né vino, né ho casa donde possa stare, anci, per pagare la pisone de la casa ho venduta una mulla perchè soldati non me siano venuti ad casa. Et per adviso che la Illustre Vostra Signoria de vostri lavoreri non tochai mai uno solo dinaro, se non ch'io ho facto fare bulletini, sì che non me se po' apichare dinaro adosso. Ma io ho speso tuto quello che ho possuto fare per utilità de la Vostra Illustre Signoria, et ho facto venire in questo anno 200 pali et docento asse, et pagato, et ho pagato per ferramente de questa septimana passata, che se po' vedere, per li vostri lavori libbre 200, oltra pali et l'asse, et sum

690 MONTANARI 1990, p. 26; ANNALIDELLA FABBRICA 1877-1885, I, p. 25.

691 MONTANARI 1990, p. 26; GAYE 1839, p. 85.

692APP. I - DOC 112 (1428, luglio 4) 693 CAMPORI 1882, p. 23.

694 Trapela chiaramente dalle righe che l'Operaio del Duomo di Siena aveva richiesto informazioni sulla disponibilità di Giovanni a recarsi a Siena e ad essere impiegato per imprese edilizie presso la città di origine; Jacopo della Quercia dopo aver espresso una chiara attestazione di stima sul conto del suo concittadino impiegato in quel momento al servizio del marchese di Ferrara facendo menzione del suo elevato compenso, abbia raccomandato in alternativa un altro ingegnere bolognese: Fioravante Fioravanti con il quale lo scultore senese aveva parlato. Quest'ultimo aveva già dato dimostrazione del suo ingegno nel palazzo realizzato per il legato a Bologna e il castello edificato per Braccio da Montone, dimostando secondo Jacopo una maggiore attitudine a spostarsi rispetto a Giovanni. In altre parole

l'intenzione di Jacopo è chiaramente quella di promuovere l'icarico di Fieravanti a Siena ed è possibile che l'esagerato compenso apparentemente tributato a Giovanni dall'Estense potesse costituire un ulteriore fattore dissuasivo per il comune di Siena che certo doveva fare conti sull'impatto economico conseguente dall'eventuale coinvolgimento di una figura che per il suo servizio veniva già ricompensato in maniera così cospicua.

remasto sì al verde che ho tolto ad usura libbre dosento. Ma perchè se sia vole la mia adversa fortuna ch'io sia pegio tractato che niuno altro. La Vostra Illustra Signoria me signò una supplica ch'i vostri facturi me assignasseno debitori de la Camera per quello ch'io dovesse havere a dinari posti per lo vostro distrecto per lo salario del inzignero, et de niuna coxa sum sta proveduto, et a multi altri è sta facto assignamento et a mi niente. Piaqua ale Vostra Illustra Signoria che per spesa me fossero date libbre V la septimana, et fo facto befe de mi. Per me non ho el modo da vivere se la Vostra Illustra Signoria non me provede, et se a lei piace la farò chiara ch'io sum al tuto desfacto sa la gracia de Vostra Illustra Signoria non ge provede. Ala quale devotamente me recomando et voglio obedire fino ad la morte. Faza de mi la Vostra Illustra Signoria come a lei pare. Data in Ferrarie, adi 21 d'aprile 1434.

Vester servus Iohannes de Senis Illustri et excellentissimo domino Nicolao Marchioni Estensi etc. domino meo singularissimo.»695

La consapevolezza della penosa condizione in cui versava l'ingegnere marchionale non fu però sufficiente a evitargli un ulteriore contributo: in quello stesso anno Giovanni sarà infatti chiamato a

versare 16 lire al Marchese di Ferrara in occasione delle nozze del figlio Leonello696.

La volontà di ristabilire la regolarità dei pagamenti sembra apparentemente emergere da alcune disposizioni marchionali. Come risulta da un provvedimento di Nicolò III, Giovanni avrebbe dovuto godere di uno stipendio di 5 lire alla settimana697 secondo un trattamento economico comune agli stipendiarii di corte che occupando una carica amministrativa di una certa importanza, dovevano ricevere un'adeguata remunerazione.

Sappiamo inoltre che alla retribuzione su base settimanale si sommava (almeno per 1434) un considerevole compenso proveniente dalla tassazione delle comunità del dominio come risulta da un documento contabile del 17 aprile del 1434 che ci informa come fossero state raccolte per il salario dell'ingegnere militare ben 348 lire versate dai comuni di Bondeno, Finale Emilia, San

Felice, Nonantola, Adria, Comacchio, Argenta, Filo. Modena e Reggio Emilia698. Occorre anche in

questo caso osservare che almeno per alcune di queste comunità si presentasse una situazione di inadempienza come nel caso di Modena che non versò all'ingegnere il compenso dovuto fino agli ultimi giorni della sua vita.

Che il flusso di denaro con il quale doveva essere pagato il senese non fosse scontato lo ribadisce una disposizione del 22 aprile del 1435 quando Nicolò III rinnovò ancora una volta l'ordine ai

Fattori Generali affinché Giovanni fosse ricompensato con le 5 lire settimanali previste699.

L'assegnazione di un salario su base mensile, o in questo caso settimanale, costituiva ad ogni modo un primo elemento di distinzione tra gli artisti al servizio del principe e le folle di artigiani che venivano retribuiti su base giornaliera. Il riconoscimento di un salario, la cui entità veniva fissata a discrezione del principe, seppure liquidato con ritardi e irregolarità, rappresentava un'importante segno di riconoscimento delle competenze dell'ingegnere svincolando la remunerazione del suo

impegno dalla quantità di lavoro svolto700.

Le difficili condizioni economiche in cui versava Giovanni a causa del ritardo dei pagamenti non sembrano essere una situazione isolata se paragonata alle vaste schiere dei creditori di Nicolò III o allo stato di povertà in cui viveva buona parte di chi serviva la sua corte. La povertà doveva anzi costituire un problema diffuso: nello stesso momento in cui Parisina Malatesta poteva disporre di cospicue risorse economiche per acquistare beni di lusso di vario genere, parte dei suoi servitori non disponevano neppure di uniformi adeguate perché non venivano loro destinate le risorse necessarie. Le masse degli indigenti del dominio costituivano una vera preoccupazione per Nicolò III che

695 ASMo, Camera Ducale Estense, Computisteria, Mandati in volume, 3 (1434-1435), c. 30. Ho ripreso fedelmente la trascizione proposta in FRANCESCHINI 1993, (doc. 389 l), già edito in CAMPORI 1882, pp. 24-25 e ripreso in RICCI 1904,

p. 59, ; GRAZIANI SECCHIERI 1998, p. 9; TOFFANELLO 2010, p. 140.

696 APP. I - DOC 113 (1434) E' erronea l'informazione riportata dal Campori e ripresa da Ricci che indica che Giovanni da Siena versò per le nozza di Leonello una somma pari a 100 lire (cfr. CAMPORI 1882, p. 25, RICCI 1904, p. 64).

697 APP. I - DOC 116 (1434, aprile 13)

698 APP. I - DOC 117 (1434, aprile 17)

699 APP. I - DOC 119 (1435, aprile 22)

sollecitò le classi più abbienti a destinare parte delle loro ricchezze nel sostegno dei poveri. Nonostante le cospicue rendite incamerate dagli affitti, dalla disponibilità di terre e imposizioni fiscali, lo stesso principe non era spesso in grado di pagare con regolarità i propri creditori più

illustri come può rimostrare la mancanza di puntualità nel versare il census vicariale701.

Le penose vicende di indigenza che si trovò a vivere l'ingegnere senese non sembrano costituire un'eccezione neppure se confrontate con la situazione economica in cui si trovarono a vivere per le stesse ragioni altri celebri ingegneri di corte attivi nel Quattrocento. Biagio Rossetti, in un documento del 29 novembre 1490, lamentava presso Ercole I di essere stato ricompensato per un solo anno di lavoro a fronte di un periodo di servizio lungo ben 7 anni, richiedendo al principe che

gli fosse concesso almeno il materiale utile per realizzare una abitazione ad uso proprio702. Luca

Fancelli, che era stato architetto dei Gonzaga realizzando tra l'altro progetti di Leon Battista Alberti, giunto ormai verso la fine della sua vita, supplicava il principe, in ragione dei suoi 42 anni di

servizio, che gli venissero pagati i lavori che egli aveva portato a compimento703.

Sebbene la situazione in cui Giovanni si ritrovò nel 1434 stridesse di molto se messa a confronto

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