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Durante i secoli alto-medievali il torrente Aposa, che dai rilievi appenninici scendeva verso la pianura, attraversando il cuore di Bologna risultò sufficiente ad alimentare con il suo modesto apporto idrico i fossati delle mura e a soddisfare contemporaneamente i ridotti fabbisogni di una esigua popolazione urbana che si trovava a vivere in una città retratta con una superficie non superiore ai 21 ettari, protetta da una cinta muraria che sfiorava appena un perimetro di 1750 metri. L'assetto idrografico attorno alla città era segnato da altri due corsi d'acqua che come l'Aposa avevano origine dall'Appennino ma differenza di quest'ultimo fluivano ad una certa distanza dal centro urbano ed erano caratterizzati da una portata decisamente superiore: si trattava del fiume Savena e del fiume Reno che scorrevano rispettivamente a oriente e a accidente dell'area urbana; l'Idice, un modesto torrente a est del Savena completava il quadro dei corsi d'acqua naturali prossimi alla città.

Sulle rive del Reno, dell'Idice e in misura preponderante su quelle del Savena si addensarono tra la fine del XI e l'inizio del XII secolo i primi mulini documentati dalle fonti scritte. Proprio l'infittirsi

72 Compendio della storia di Bologna fatto da Giovanni Ronco dal 610 al 1400, in BUBo, ms 1124. Cfr. HUBERT 1999,

p. 67.

73 È stato ipotizzato che la «capella magna» fosse decorata con pitture di Giotto e sculture di Giovanni di Balduccio chiamati a Bologna da Beltrando del Poggetto in quel torno di anni. BENEVOLO 2006, pp. 41-42.

74 GHIRARDACCI 1973, vol. II, pp. 111-113.

delle strutture molitorie, atte principalmente alla macinazione del grano, è stato interpretato quale segno sintomatico del progressivo incremento demografico che in quegli stessi anni trovò sostegno nel rilancio dei traffici commerciali lungo la via Emilia e soprattutto nel successo conquistato dell'Università sorta probabilmente sul finire del XI secolo. La proliferazione dei mulini in quel torno di anni rifletteva l'incremento del fabbisogno annonario di una città chiamata ad assicurare, per la propria prosperità, oltre al sostentamento dei sui cittadini quello di una popolazione fatta di studenti universitari di alto rango che qui si riversavano insieme alle nutrite schiere dei loro servitori.

Il tumultuoso incremento demografico combinato con le esigenze di un rinnovato quadro economico misero gradualmente in luce l'inadeguatezza della ristretta superficie urbana della città e delle infrastrutture idrauliche preposte a servirla. La situazione assunse contorni particolarmente problematici lungo le rive dell'Aposa dove le possibilità di sfruttare con efficienza l'energia idraulica disponibile diveniva sempre più complicata dall'infittirsi dei nuovi mulini da grano e dalla germinazione di opifici dediti ad una vasta pluralità di attività artigianali76: era quindi palese che se

da una parte era indispensabile pensare ad un incremento della superficie cittadina dall'altra l'esigua portata dell'Aposa risultava del tutto insufficiente a soddisfare le necessità di una città in rapido mutamento.

Nella seconda metà del XII secolo, il rafforzamento dell'autorità comunali unito all'intraprendenza di una compagine imprenditoriale in rapida ascesa si aprì finalmente la strada ad un inedito programma di ampliamento urbano che avrebbe comportato anche un radicale riordino della rete idrica cittadina: avviando lo scavo di nuovi canali o migliorando i tracciati già esistenti con l'obbiettivo di dirottare in modo controllato parte delle acque del Savena e del Reno verso la città. Sul versante orientale vennero così avviati i lavori di scavo del canale che avrebbe deviato le acque del Savena e nell'ottobre 1176 l'autorità comunale dispose che lungo il suo tracciato77 venissero

costruiti nuovi mulini (in tutto 32) con le infrastrutture funzionali alla loro istallazione78,

l'operazione fu attuata dal potere pubblico ma molto probabilmente il Comune si avvalse dei finanziamenti dei magnati bolognesi a cui furono ceduti in usufrutto i mulini assieme ai proprietari dei terreni espropriati per lo scavo del canale79..

Quasi contemporaneamente, sul fonte occidentale, un consorzio di circa 40 imprenditori privati, detti «Ramisani» avviò lo scavo di un canale che avrebbe condotto alla città le acque del fiume Reno80. Sebbene il carattere speculativo dell'impresa sembra essere preponderante molto

76 L'energia idraulica era alla base di molteplici processi produttivi tra cui la lavorazione delle pelli e dei tessuti, del ferro e del vetro, della pergamenta (e successivamente della carta) e delle attività delle fornaci.

77 Non è chiaro se a quella data il canale di Savena esistesse già, fosse ancora in fase di scavo o ne fosse approvato unicamente il progetto. PINI 1987, p. 10.

78 PINI 1987, p. 11, ivi nota 30.

79 PINI 1987, pp. 11-12.

80 Il documento più antico che avvolare l'esistenza del canale di Reno nell'area urbana, e quindi presuppone che il su tracciato fosse già completato dal punto di captazione delle acque dal fiume fino alla città, risale al 1184 (PINI 1987, pp.

14-15). L'indagine sulle origini del canale di Reno, complicata da fonti scarne quanto cantraddittorie ha trovato una vasta eco nella storiografia che si è occupata a vario titolo del sistema dei canali bolognesi. Le origini del Canale di Reno (come della Chiusa di Casalecchio) restano a tutt'oggi un problema aperto, tanto che i punti oscuri irrisolti rendono ancora attuale quanto affermato all'inizio della digressione storica che accompagna l'ottocentesca Raccolta di

Leggi sulla regolazione delle acque bolognesi, infatti ancora oggi «Niuno storico ha saputo fino ad ora con precisione

determinare il tempo nel quale fosse costrutto il canale di Reno». (RACCOLTADI LEGGI 1838, vol. I, p. 7). Come ha

osservato Santa Frescura Nepoti (Frescura Nepoti 1975) le sporadiche informazioni a nostra disposizione per ricomporre la genesi del Canale e della Chiusa provengono in gran parte da fonti secondarie di carattere cronachistico che presentano importanti lacune cronologiche e dati spesso in contraddizione tra loro. Il problema è stato studiato da scrittori come l'Alberti, il Ghirardacci, il Sigonio, il Vizani, il Savioli e il Guidicini, ed a partire dal Settecento anche gli studiosi di idraulica e gli ingegneri non hanno mancato di inserire nei loro scritti digressioni storiche sull'argomento. Nel XIX secolo gli autori delle Raccolte di leggi riportarono approfondimenti storici e trascrizioni di documenti. Tutte queste fonti sono concordi nel rimandare la realizzazione del canale e della chiusa al 1191, quando per iniziativa di una società di privati chiamati “Ramisani”, l'acqua del Reno fu condotta in città attraverso un canale che sarebbe passato per

probabilmente la decisione di protrarre il canale sino alla città non fu del tutto estranea agli interessi del Comune in quanto il canale di Reno oltre a consentire l'impiantarsi di nuovi mulini nell'area urbana permise di allagare i fossati del fronte occidentale e meridionale della nuova cinta muraria detta «dei torresotti»81 mentre le fosse disposte lungo gli altri lati del perimetro difensivo potevano

essere alimentate dalle acque del Canale di Savena82.

Il Canale di Reno, prolungandosi entro l'area urbana prendeva il nome di canale delle Moline. Il tracciato di questo canale intra moenia resta ancora oggi un problema non del tutto risolto così come l'individuazione del luogo in cui le acque si apprestavano a defluire all'esterno della cinta urbana, anche se è probabile che questo sito coincidesse con l'area del Cavaticcio (antico letto del torrente Aposa) superato il quale le acque venivano convogliate nell'alveo del vecchio Savena83.

Bologna, priva di un fiume di sufficiente portata che attraversasse o anche solo lambisse le sue mura riuscì in tal modo a supplire alla mancanza d'acqua del sito su cui era cresciuta derivandola con canalizzazioni artificiali da due fiumi distanti solo pochi chilometri. Rispetto ai corsi d'acqua naturali, i canali di Savena e Reno presentavano inoltre alcuni indubbi vantaggi: grazie alla predisposizione di strutture di sbarramento e di deviazione realizzati nell'alveo dei fiumi, le portate di questi corsi artificiali poteva essere regolata dall'uomo tanto da mantenersi abbastanza costante anche nei periodi di magra evitando in tal modo di privare i mulini e gli opifici dell'energia idraulica utile per il loro buon funzionamento. Le strutture molitorie erano inoltre protette dai pericoli di danneggiamento derivanti dalle piene e dalla fluitazione di detriti che ne danneggiassero i dispositivi; mentre il territorio circostante non avrebbe subito le devastazioni proprie di un'esondazione fluviale.

Ma le funzioni produttive e difensive non erano le uniche legate alle canalizzazioni urbane, a queste si sommavano l'irrigazione dei campi e degli orti, la pescicultura, lo smaltimento dei rifiuti e delle acque piovane. I canali potevano inoltre essere realizzati per la navigazione favorendo gli scambi di merci e persone con aree lontane: così all'inizio del Duecento i Bolognesi annunciarono un programma ambizioso, che sotto la guida dell'autorità comunale mirava a utilizzare le acque delle canalizzazioni che defluivano fuori dalla città per alimentare una via navigabile chiamata Navile, capace di collegasse Bologna a Ferrara e quindi raccordarsi alla ragnatela di vie d'acqua sulla quale

Via del Pratello (ALBERTI 1541, Libro VIII ad annum; MASETTI 1824, Tomo IV, 1824, p.488; RACCOLTADILEGGI... vol I,

p.7; TUBERTINI 1885, p. 9; TOSTIDI VALMINUTA 1904, p. 5; VIANELLI 1967, p. 12) Solo il Vizzani sembra allontanarsi

dalla versione dell'intervento privato riconoscendo all'iniziativa pubblica un ruolo significativo: «i Bolognesi per beneficio pubblico condussero un ramo del fiume Reno ne i Borghi di Bologna per la via hoggi detta del Pratello» (VIZANI 1601, libro II, p. 80). La datazione al 1191 è stata successivamente messa in discussione dal rinvenimento di un

documento del 1185, riportato nell'opera di Hessel e posto successivamente al centro dell'attenzione dall'articolo redatto da Santa Frescura Nepoti. Si tratta di un testamento di un certo Uberto di Ermanno che lascia in eredità alla moglie Aielina: «medium molendinum in capanna de Cacamoio et sextam porcionem alterius molendini et omnem ius et actiones quas per has partes molendinorum in ramo Rheni habeo» (Hessel 1975, p.199, n.129). Indirettamente il documento ci testimonia l'esistenza del canale in un momento antecedente a quello indicato dalle cronache il che lascia pensare che non solo la Chiusa di Casalecchio e un primo tratto de corso d'acqua fossero stati già costruiti ma che quest'ultimo si prolungasse in città attraverso il cosiddetto Canale della Moline, la cui costruzione veniva fino a quel momento rinviata al XIII secolo. A sostegno di questa ipotesi sarebbe la collocazione della capanna di Cacamoio o

Cagamoggio, che da scritti di epoca posteriore, risulterebbe situata in un'area compresa tra il torrente Aposa e il Campo

del Mercato. Un ulteriore documento del 1184 citato da Pini, riguardante un mulino alla capanna della Veola (presumibilmente lungo l'attuale asse Via Falegnami – Via A. Righi), dimostrerebbe che in quell'anno il canale di Reno era già presente (ASBo, Demaniale, S. Francesco, b. 2/4134, n. 41) cfr PINI 1987, p.13. Uno scritto ottocentesco

conservato presso la Biblioteca dell'Archiginnasio (Alcune notizie sulla Chiusa di Casalecchio, Archiginnasio, ms._B_2238) anticipa ulteriormente i tempi, dando per certa nell'anno Mille l'esistenza della Chiusa di Casalecchio, del tratto del Canale di Reno compreso tra questa e la città e del Navile fino «circa alla Posta del Macagnano». Secondo questo scritto la chiusa era detta Pescaja o Steccaia in quanto in origine lo sbarramento doveva essere costruito di pali di legno infissi nel fondo del Reno, ma se è verosimile che la struttura primitiva del manufatto fosse in legno non sono state ancora messe in luce fonti primarie che confermino l'intorno temporale indicato nel documento

81 PINI 1987, p. 14.

82 PINI 1987, p. 13.

si appoggiavano i traffici mercantili che attraversavano la pianura e si spingevano sino al mare aperto.

La realizzazione del canale Navile fu un impresa che il Comune di Bologna riuscì a portare avanti potendo godere a pieno dei diritti sull'acqua che lo avrebbe alimentato. In primo luogo di quella del Canale di Reno, le cui prerogative erano rimaste prima di quel momento nelle mani del gruppo di privati che ne aveva promosso lo scavo da Casalecchio alla città. Per questa ragione nel 1208 si stabili una concordia tra il Comune e i «Ramisani» che cedettero all'autorità pubblica i diritti d'uso dell'acqua del loro «ramum» affinché si potesse «conducere ipsam aquam per navigium sive ramum Comunis factum et de cetero faciendum ad civitatem vel iusta Bononiam et deinde usque ad valles»84.

A partire da questo momento i Bolognesi avviarono quella successione di interventi che per tratti consecutivi prolungarono il corso del Canale di Reno (Canale delle Moline) dal fronte meridionale della città sino alle aree palustri comprese tra Bologna e Ferrara. Nel 1221 venne scavato il tracciato di tre miglia che dalla città raggiungeva Corticella dove si trovava l'antico porto commerciale di Bologna, tentando in un secondo tempo di istallare nuove strutture di approdo a circa un miglio di distanza dalle mura dei «torresotti» dando così forma al porto del Maccagnano85. Nel 1287 il Navile

venne ulteriormente allungato verso Ferrara, sino a Malalbergo lambendo Castel Maggiore e Pegola86. Attraversata un'area palustre sconvolta a più riprese dalle esondazioni del Reno il Navile

doveva raccordarsi al cosiddetto Canale della Fossa che sboccava a nord sulla riva destra del Po di Primaro a circa tre miglia da Ferrara, assicurando in tal modo il collegamento con il principale crocevia dell'area basso-padana87.

84 ASBo, Registro Grosso, I, cc, 178r-179v; trascritto in SAVIOLI 1784, II, 2, p. 293, n. CCCLXXX: «videlicet quod

predicti ramixani pro se et eorum heredibus et successoribus et omnibus illis partem habent vel habuerint in ramo reni concedunt domino guidoni potestati et procuratoribus pro comuni bononie accipere aquam reni in corpore reni ad clusam eorum quam habent vel habuerint in flumine reni imperpetuum et conducere ipsam aquam per navigium sive ramum comunis bononie factum et de cetero fatiendum ad civitatem bon. vel iusta bononiam, et deinde usque ad valles secundum quod rectori vel rectoribus bon. placuerit. Quam concessionem facerunt pro eo quod predictus dominus Guido pot. et predicti procuratores pro comuni bon. et eorum successoribus promiserunt et convenerunt eis facere clusam ramixanorum expensis propriis comunis bon. et retinere et refacere totum capitale cluse et rami senper quandocumque opus fuerit, donec aqua reni bononiam venerit et navigium duraverit a loco ubi capitur aqua de corpore reni usque ad ramum comunis et usque ad clusam, que clusa fieri et esse debeat illius altitudinis ut modo est, ibi ubi modo currit aqua et non plus nisi pedem unum si opus fuerit et rectori vel rectoribus bon. placuerit. Ita tamen quod molendina ramisanorum abeant aquam ad suffitientiam ut bene possint molere omni tempore et comune bon. hanc totam superfluam aquam per suum ramum et navigium conducat sicut ei placuerit». Si veda inoltre PINI 1987, pp. 14-

15.

85 Il porto del Maccagnano sembra entrare in funzione solo a partire dagli anni '80 del Duecento. FRESCURA NEPOTI

1975, p. 168.

86 TOSTIDI VALMINUTA 1904, pp. 4, 9 ,15-20; SAVIOLI 1784, II, 2, pp. 204, 293-296; PATITUCCI UGGERI 2002, pp. 76-77.

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