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Come sottolineato di recente da Istvan Czachesz (2015), dietro i testi apo- calittici giudaici e protocristiani sembrano essere rintracciabili individui che ripropongono all’interno della narrazione esperienze percettive a loro volta interpretate come non ordinarie. Indicativo, in tal senso, è il caso di

Ascensione di Isaia 6,10-11, dove il visionario rimane con gli occhi aperti

in uno stato di apparente incoscienza e non vede i presenti all’esperienza di contatto con il mondo altro. A ciò si unisca la possibilità di postulare casi di forte prostrazione fi sica dovuti a una malattia – lo stesso Paolo, in 2 Cor 12,7, pare alludere a una sua infermità in un contesto di rievoca- zione di un’esperienza di viaggio ultramondano – o alle cosiddette espe- rienze di “prossimità alla morte”, si pensi ai resoconti pronunciati in un contesto di lascito testamentario (ad esempio, 1 Enoc [Epistola di Enoc], 91,1 ss.; 2 Enoc, 1,10-3,1; 43,1-3; Testamento di Levi, 19,1-5; Apocalisse di Pie-

tro [versione etiopica], 32) o a quelli in cui il visionario è rappresentato

come uno che si sente in procinto di lasciare la vita (Apocalisse di Abramo, 10,2; Ap 1,17) o che è ritornato dall’aldilà15.

Non va nemmeno messa da parte la possibilità che le visioni alterate della realtà rendicontate nei testi apocalittici siano, almeno in alcuni casi, la conseguenza dell’assunzione di particolari sostanze, il cui utilizzo è ad esempio ben attestato in una notevole varietà di contesti antichi16, e la cui

rielaborazione a livello di immaginario – il visionario che mangia o beve qualcosa durante l’esperienza di contatto diretto con il mondo altro – si trova abbastanza spesso all’interno dei vari racconti17.

Al di là di questi casi piuttosto specifi ci, comunque, a livello più ge- nerale va sottolineato che i testi ci mettono davanti inneschi di natura psicotropa che appaiono riconfi gurati nella veste di ciò che è consolidato tradizionalmente e, dunque, associato, in modo quasi automatico o senza necessità di ulteriori chiarifi cazioni, a esperienze di contatto diretto con il mondo altro.

In alcuni casi è esplicitamente riportato che il visionario ottiene la sua esperienza di contatto con il mondo altro in uno stato di sonno, di dormi- veglia o anche semplicemente disteso sul letto18. In altri casi, sebbene tra le

righe, emerge come l’astinenza o particolari condotte sessuali19, così come

il digiuno20 o specifi che pratiche alimentari21, ma anche la preghiera22 o la

prolungata meditazione23, possano condurre un singolo a particolari espe-

rienze reinterpretate come di contatto diretto con il mondo altro. A ciò si unisca la presenza di un insieme di azioni che, a livello cogniti- vo, possono essere classifi cate come “disforiche” ed “euforiche”. Vanno rite- nute disforiche quelle azioni che implicano sentimenti di forte privazione, e dunque fenomeni di scissione del sé fortemente negative e che trovano la loro concretizzazione in esternazioni come il pianto, la prostrazione, la depressione, il lamento, l’incapacità di agire, il terrore24. Di rifl esso, sono da intendersi come euforiche tutte quelle azioni che implicano esternazio- ni quali la gioia, la benedizione, la consolazione, ma anche l’eccitazione provocata dall’attesa legata a eventi ritenuti decisivi come la battaglia o l’andata in guerra o, più semplicemente, ammonizioni che servono a man- tenere alta l’attenzione e la vigilanza25.

Come abbiamo già avuto modo di notare (cfr. supra, pp. 28-9), è possi- bile che dietro i resoconti di viaggi ultramondani giudaici e protocristiani si celi un pattern ampiamente diff uso nell’ambito delle culture antiche, la cui propagazione dipende da fenomeni di coabitazione e scambi culturali, caratterizzato da una specifi ca fi nalità conoscitiva e il cui risvolto sociale coincide con una sorta di momento iniziatico di ingresso all’interno di un gruppo; a tale elemento sembra essere inoltre connessa l’acquisizione di autorità implicita nella trasformazione del visionario nel corso del proprio viaggio ultramondano. Se questo tipo di analisi aggiunge un importante tassello alla discussione, non va però dimenticato come i vari contatti di- retti con il mondo altro attestati nel contesto giudaico, e più in generale

nel mondo antico, siano descrivibili come esperienze performative che as- sommano diff erenti tratti psicotropi e socioculturali (e, dunque, non sol- tanto quelli legati all’iniziazione), che di volta in volta appaiono persona- lizzati e adattati in e per diff erenti scopi. Si tratta, in sostanza, di processi dinamici di natura cognitiva, il più delle volte individuali e legati alle più svariate situazioni e ai contesti più diversi, azionati da stimoli a loro volta tradotti in aderenza a modelli memoriali psicotropi connessi a pratiche più o meno istituzionalizzate all’interno di un dato sistema culturale.

In alcuni testi giudaici antichi è evidente il rapporto tra la visione del mondo altro e le pratiche cultuali che si svolgono nel tempio di Gerusa- lemme o, più generalmente, in un vero e proprio luogo di culto. Testi di particolare rilevanza, in tal senso, sono già nelle profezie bibliche (Is 6,1 ss.; Ger 7,1 ss., 17,19 ss., 26,1 ss., 28,1 ss.; Zc 7,1 ss.), a cui vanno però affi an- cate quelle narrazioni in cui è esplicitamente chiamata in causa l’identità sacerdotale del visionario (un testo su tutti è certamente Ez 1,3), elemento che ritorna, in maniera piuttosto esplicita, in Testamento di Levi, 8,2-10, dove il veggente indossa gli abiti sacerdotali e riceve una vera e propria in- vestitura in tal senso, e nella rappresentazione evangelica della visione del sacerdote Zaccaria (Lc 1,8-25), secondo cui l’angelo appare proprio mentre il sacerdote sta offi ciando all’interno del tempio; emblematico, in tal sen- so, è anche il caso di 2 Baruc, 35,1 ss., dove chi vive un’esperienza di contat- to diretto con il mondo altro si spinge fi no alle rovine del tempio, ormai distrutto, e, dopo aver svolto un lamento sulla sorte di Gerusalemme, ha una visione in sogno (per visioni nel contesto templare, cfr. anche 3 Baruc, Prol. 2; 2 Enoc, 69,1 ss.26; Paralipomeni di Geremia, 9,7 ss.).

Oltre alla menzione specifi ca del tempio e a elementi legati al suo im- maginario27, quale luogo legato a esperienze psicotrope individuali e/o collettive, i testi talvolta ci mostrano specifi che attività cultuali, non ri- conducibili direttamente all’ambiente del culto uffi ciale ma pure rimodel- late in parte su quello e che, come tali, possono condurre all’esperienza diretta del mondo altro. Notevole rilevanza, in tale quadro, assumono le pratiche sacrifi cali (ad esempio, cfr. Apocalisse di Abramo, 9,1 ss.28 e 2 Enoc, 69,3 ss.29), la preghiera e la recitazione di formule di maledizione o di carat- tere propiziatorio (ad esempio, cfr. 1 Enoc [Libro dei sogni], 84,1 ss.; [Libro

delle parabole] 58,1 ss.; 2 Baruc, 21,1 ss.30 e 55,3 ss.). Non è nemmeno casuale, in questo contesto, che i testi rappresentino, almeno in alcuni casi, scene che si svolgono direttamente nell’oltremondo, ma che ricalcano ambienti e prassi cultuali legati al tempio o in qualche modo riconducibili a esso (ad

esempio, cfr. 1 Enoc [Libro dei vigilanti], 14,8-2531; 2Q24 [2QNJ]; 4Q554 [4QNJa]; 4Q555 [4QNJb]; 5Q15 [5QNJ]; 11Q18 [11QNJ ar]32; Testamento

di Levi, 3,5-6; 8,4-10; 3 Baruc, 14; 2 Enoc, 8-9; 21-23; Ap 8,3-5; 9,13-14; 11,1-2;

14,3.17-18; 21).

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