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L’onda lunga dei processi di canonizzazione

Dagli esempi riportati emerge abbastanza chiaramente come la testua- lizzazione e la scritturalizzazione siano processi stratifi cati e complessi, in cui si coagulano dinamiche religiose e, più in generale, culturali ine- vitabilmente connesse a meccanismi di trasmissione sulla lunga durata. Sintetizzando forse in maniera eccessivamente rigida, si può dire che se le pratiche di testualizzazione si manifestano soprattutto in un orizzonte culturale in cui l’oralità e la memoria sono meccanismi autoritativi dotati di una loro autonomia, quelle di scritturalizzazione, mettendo al centro l’ispirazione divina di un testo in quanto tale, fi niscono con il favorire cri- teri di delimitazione ed esclusione interni alla scrittura come corpus uni- tario – criteri dottrinali e, come tali, derivanti dall’accostamento di scritti originariamente slegati; ma anche cronologici, legati all’antichità o alla

presunta antichità della loro origine; e, in ultima istanza, di uso pubblico funzionale alle prassi di Chiese che si defi niscono come parte di un orga- nismo più ampio e che rispondono, come tali, a un testo che deve essere il più possibile stabile.

Con questo non si vuole certo negare l’importanza dell’oralità anche rispetto ai processi di scritturalizzazione, o anche la fondamentale rile- vanza delle prassi religiose non immediatamente legate alla lettura e alla scrittura nella gestione e nella trasmissione dei testi assunti come canonici. Ma è proprio qui che si manifesta una fondamentale linea di discrimine: rispetto alla stabilizzazione di un corpus di libri ispirati direttamente da Dio, non solo aumenta in maniera esponenziale l’attività di spiegazione in funzione canonica, volta a salvaguardare o a testimoniare il valore nor- mativo del testo, ma crescono anche i confl itti rispetto a interpretazioni non ritenute in linea con tale normatività. Simili dinamiche non possono non avere avuto enormi ripercussioni rispetto alla trasmissione, ricezione e tesaurizzazione degli stessi resoconti di natura visionaria.

Di certo la “rivoluzione libraria” che ha investito l’impero romano nella particolare congiuntura storica che ha visto il progressivo aff ermarsi del cri- stianesimo, prima come religio licita e poi come unica religione dell’impe- ro, ha avuto un notevole peso nel passaggio da forme più o meno fl uide di testualizzazione a veri e propri processi di scritturalizzazione (cfr. Graft on, Williams, 2006; Bremmer, 2015; Stroumsa, 2016); questo ha peraltro coin- ciso con l’aff ermarsi di tecnici della scrittura che svolgono le loro attività in maniera sempre più autonoma e obbedendo a bisogni e necessità di vere e proprie “comunità testuali” (cfr. Rüpke, 2016, trad. it. 2018, pp. 316-50; cfr. anche infr a, spec. pp. 324-9). Ma va anche sottolineato come il processo di scritturalizzazione non sia stato per nulla uniforme né lineare e come esso non abbia aff atto implicato la dismissione di pratiche di manipolazione più o meno invasive di materiali testuali precedenti; mutando soprattutto l’atmosfera in cui queste pratiche si svolgono e gli intenti con cui sono messe in atto più o meno coscientemente, esso ha comunque visto, al suo interno, fasi di grande fl uidità e di estrema frammentazione.

Bisogna senz’altro ricordare, al riguardo, come i diversi organismi ecclesiastici che componevano i variegati universi cristiani tardoantichi siano giunti con estrema fatica a defi nire un proprio corpus unitario di scritture, il più delle volte espressione di dinamiche interne e specifi che di ciascuna realtà ecclesiale e, come tale, non necessariamente connesso, almeno in maniera diretta, a ciò che si era aff ermato come corpus unico in

gruppi presenti in altre città e/o regioni o, addirittura, all’interno di una stessa area di azione.

Il proliferare di varie forme di fl uidità testuale, dunque, o di reali pro- cessi di testualizzazione, in tale contesto, appare sempre più legato, a volte in maniera diretta, altre volte in modo competitivo o polemico, all’on- da lunga dei processi di formazione, all’interno di organismi sempre più istituzionalizzati, di veri e propri corpora ritenuti come espressione di una verità rivelata unica e assoluta. Questo doppio binario – a volte composto di linee parallele e, come tali, mai coincidenti, in altri casi quasi sovrap- poste – si è articolato e rimodulato a seconda dei singoli contesti e delle dinamiche religiose e culturali presenti al loro interno, che hanno a loro volta determinato le varie forme di trasmissione a cui sono stati sottoposti i testi visionari e le diff erenti versioni in cui sono giunti fi no a noi.

Di particolare rilevanza, per esemplifi care il discorso, è ancora il caso di

1 Enoc. Al di là di una visione, altamente semplifi cante, che ha ritenuto di

poter individuare delle ben delineabili fasi nella trasmissione e riscoperta del testo – che può essere schematizzata nel seguente modo: popolarità nel giudaismo prerabbinico e nei vari gruppi protocristiani, decadenza nel periodo medievale, riscoperta moderna a opera della fi lologia otto- centesca – va invece sottolineato come l’evidenza materiale manoscritta racconti una storia abbastanza diversa; una storia fatta di monaci, crono- grafi , rabbini, esperti della Cabbala, studiosi di magia e astrologia, teologi che, in vario modo e con intenti e modalità diverse, hanno continuato a trasmettere o a riscrivere e rimodulare il testo, o anche frammenti te- stuali direttamente o indirettamente ascrivibili a esso. Il peso del singolo trasmettitore, all’interno del suo contesto di aff erenza, testimonia della maggiore o minore rilevanza del processo di scritturalizzazione rispetto a quello, parallelo, di testualizzazione funzionale a particolari usi e con- sumi pratici.

Non si può non ricordare la fi gura di Atanasio di Alessandria (295- 373 d.C.) il quale, nel redigere il suo famoso canone di Scritture, ha brandito un concetto di apocrifo come potente strumento di contrasto al proliferare di pratiche di testualizzazione fl uide e che, come tali, in- generavano nuovi testi che pretendevano, secondo Atanasio mentendo, di discendere da un passato ancestrale (cfr. Lettere festali, 39,21-22 [del 367 d.C.]; trad. it. in Camplani, 2003, pp. 512-3; sul passo di Atanasio, cfr. anche Brakke, 2010; Piovanelli, 2013, spec. pp. 97-100). Ma sempre il libro attribuito a Enoc assume un valore profondamente diverso per un altro

esponente dell’istituzione ecclesiastica, Giacobbe di Edessa, un vescovo giacobita della Chiesa di Edessa, in Siria, vissuto tra la metà del vii secolo e il 708 d.C. Nella Lettera allo stilita Giovanni (13,2; trad. ingl. in Wright, 1867, p. 430), discettando di alcuni membri della Chiesa alessandrina dei tempi di Atanasio, Giacobbe ricorda come alcuni di essi facessero ampio uso di vari libri “segreti”; tra questi, il vescovo cita il «libro segreto di Enoc» che, a diff erenza di Atanasio, egli considera autentico in virtù del fatto che una sua citazione, dal valore altamente confermativo, si trova nell’Epistola di Giuda, per Giacobbe chiaramente opera dell’apostolo (Gd 4-5). Anche Giorgio Sincello (cfr. supra, pp. 104-5) difende il suo ricorso a testi che altri hanno considerato e considerano apocrifi (soprat- tutto 1 Enoc e Giubilei), proprio ricordando l’uso confermativo che ne hanno fatto gli autori del Nuovo Testamento; nel suo caso, egli richiama 1 Cor 2,9, Gal 6,15 ed Ef 5,14 (ma non Gd 4-5), ritenendo che, proprio in questi passaggi, Paolo abbia fatto uso di scritti apocrifi autorizzando, così, altri a fare altrettanto.

Come si vede, la formazione di un corpus unitario di Scritture cristia- ne, che abbia valore autoritativo più o meno assoluto, si congiunge ine- vitabilmente con la questione di come considerare testi che, in un modo o nell’altro, mostrano con esso tangenze di varia natura eppure di valore normativo quanto meno discusso; se tale considerazione implica, sempre e comunque, la sottrazione al giudaismo delle sue Scritture, che così di- mostrano di avere senso solo e soltanto come preparazione all’evento Cri- sto, ciò non di meno proprio la presenza di un’ampissima messe di opere che, in un modo o nell’altro, appaiono legate alle Scritture cristiane crea inevitabilmente dinamiche di inglobamento o rifi uto che non potran- no mai essere uniformi o assolute e che devono necessariamente tenere conto dell’uso concreto e della eff ettiva presenza di quegli stessi materiali nel contesto in cui una particolare istituzione vive e agisce. Tale dinamica di inclusione e/o esclusione (a seconda dei casi), dunque, non potrà ap- parire sempre uguale a sé stessa, dovendo tenere il più possibile presenti le diff erenti pratiche di trasmissione e di disseminazione a cui gli stessi testi discussi sono stati sottoposti nel contesto in cui si vuole estendere una particolare autorità. Questo stesso processo “dall’alto” mostra di avere importanti ripercussioni anche nell’uso concreto, da parte di singoli o di gruppi che vogliono difendersi dall’espandersi del potere istituzionale, de- gli stessi materiali al centro del contendere. Un processo complesso, come la scritturalizzazione, può certamente prevedere, almeno in alcuni casi, di-

namiche di testualizzazione più o meno fl uide; ma ci troviamo di fronte ormai a un quadro mutato rispetto a quello del giudaismo del secondo tempio, in cui – come vedremo nell’ultimo capitolo – l’estrema permea- bilità, rispetto a dinamiche esterne, del centro di congiunzione tra potere politico e religioso (il tempio di Gerusalemme e le sue élites), ha fi nito con l’orientare la produzione culturale verso bisogni comunicativi di natura fortemente contestuale.

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