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Il tempo dell’esperienza e la sua rievocazione nell’Ascensione di Isaia e nell’Apocalisse di Pietro

L’Ascensione di Isaia, di contro, ci pone davanti un processo di testualiz- zazione di esperienze di contatto diretto con il sovrannaturale ricondotte all’autorità di un importante profeta del passato biblico. Anche qui la mes- sa per iscritto ha evidentemente coinvolto diversi materiali di provenienza tradizionale, ma questa volta focalizzati soprattutto su Isaia e altri profeti, sempre riattivati in relazione alla fi gura di Gesù. Anche in questo caso una preistoria fatta di scambi e dinamiche tra oralità e forme di testualizzazio- ne più o meno fl uide soggiace al testo così come lo leggiamo oggi.

La cornice del testo pone Isaia e il fi glio (lo Shear-Yasub di Is 7,3) nel- la casa del re di Giuda Ezechia (cfr. 1-5). Costui ha convocato suo fi glio Manasse insieme al profeta e a suo fi glio per consegnargli il testo di una visione avuta nel quindicesimo anno del suo regno, durante un periodo di malattia (cfr. 2 Re 18,2; 20,6; Is 38,6), insieme a una visione di Isaia, quella più estesamente narrata nella seconda parte dello scritto (6-11). Prima di riportare il contenuto delle rivelazioni vissute da Isaia, il testo ce lo mostra profetizzare che Manasse distoglierà tutto Israele dalle pratiche dei padri; Isaia stesso sarà messo a morte da Manasse, spinto da un consigliere e falso profeta, Bechira, a sua volta indirizzato dal diavolo in persona (Beliar),

soprattutto perché Isaia, con la sua visione, avrebbe svelato l’impostura di Beliar con la quale quest’ultimo ha preteso di farsi adorare dagli uomini come “vero” e “unico” Dio. Subito dopo la notizia dell’arresto di Isaia, e prima del racconto dell’uccisione, lo scritto richiama la visione del pro- feta, ma a questo riferimento aggiunge uno sviluppo narrativo formulato come parte della visione stessa ma del tutto nuovo rispetto al resoconto visionario propriamente detto contenuto nella seconda parte (6-11).

Il resoconto visionario dell’opera appare come una sorta di «analessi esterna» (Norelli, 1995, p. 10) che ci porta al ventunesimo anno del regno di Ezechia. Come abbiamo già avuto modo di notare (cfr. supra, pp. 84-7, 138-9), mentre Isaia svolge un rituale profetico, nella casa del re a Geru- salemme, egli ha una vera e propria esperienza di uscita dal sé durante la quale è condotto in visione attraverso il fi rmamento e i sette cieli, sino alla dimora di Dio, dove assiste alla liturgia celeste guidata da un Cristo preesi- stente ed è in grado di osservare la futura economia di salvezza portata dalla discesa di Gesù e dalla sua incarnazione. La dimensione temporale coperta dallo scritto appare dunque immensamente dilatata: da un passato biblico – quello di Isaia – la visione è capace di dischiudere il futuro (almeno nella dimensione del testo) dell’incarnazione di Gesù il quale, obbedendo a un ordine di Dio stesso, discende attraverso i cieli. Arrivato sulla terra, il Gesù celeste assume la forma umana, nasce a Betlemme e nasconde la sua vera identità al diavolo, ma costui, mosso da invidia per i prodigi compiuti da Gesù, riuscirà comunque a farlo mettere a morte dagli Israeliti.

Il veggente che si cela dietro la maschera di Isaia può arrivare a vedere anche le vicende di Gesù dopo la sua morte, in particolare la discesa agli inferi dove, svelando la sua gloria fi no a quel momento tenuta nascosta, an- nienta l’angelo della morte e gli strappa i giusti defunti tenuti prigionieri, per poi risalire nuovamente sulla terra e ritornare ai cieli, tra l’onore delle potenze del fi rmamento e degli angeli. In questo modo, Gesù può ricostru- ire l’ordine dell’universo e sedere alla destra di Dio.

L’Ascensione di Isaia pone il riscatto dei seguaci di Gesù – che avverrà prima di tutto su questa terra (4,17) – in una dimensione estremamente dilatata, che congiunge passato remoto e futuro ultimo: Isaia ha già visto e predetto il trionfo fi nale dei veri credenti, che dopo la loro ricompensa ter- rena abbandoneranno questo mondo per la loro destinazione defi nitiva. In questa estrema dilatazione temporale, che si connette probabilmente a pratiche di contatto diretto con l’oltremondo innescate dalla lettura pub- blica di materiali tradizionali riconducibili all’autorità di Isaia, si rifl etto-

no le dinamiche testuali dei gruppi di seguaci di Gesù in cui l’Ascensione

di Isaia è stata prodotta e/o redatta e quelle dei gruppi successivi in cui lo

scritto è stato trasmesso e, come tale, riadattato in quanto vero e proprio testo autorevole.

Nell’Apocalisse di Pietro le esperienze di contatto diretto con il divino sono ricondotte alla maschera di Pietro, raffi gurato mentre «pensò come avrebbe potuto conoscere il mistero del Figlio di Dio» (1 [versione etio- pica] = ant iii, p. 218). Il testo mostra Gesù seduto sul Monte degli Ulivi (evidentemente nei momenti precedenti alla sua cattura) che, interrogato dai suoi, svela soprattutto a Pietro la sua venuta alla fi ne del mondo; tale svelamento avviene grazie a una serie di parole attribuite proprio al Gesù terreno (la parabola del fi co in Apocalisse di Pietro, 2 = ivi, p. 219) e di visioni in cui Gesù stesso mostra ciò che accadrà negli ultimi tempi (3-14). Gesù conduce Pietro e gli altri discepoli sul «monte santo» (15 = ivi, p. 225), dove appaiono due uomini splendenti, interpretati da Gesù come Mosè ed Elia e, al tempo stesso, una rappresentazione dei patriarchi giusti; contestualmen- te, il testo mostra il paradiso «aperto» (16) e una vera e propria ascensione di Gesù, portato via da una nube insieme ai due patriarchi.

Il testo prosegue riportando le parole che Pietro avrebbe trasmesso a suo fi glio (e/o discepolo) Clemente (Appendice al testo etiopico = ivi, p. 226)16, in cui vengono evocate altre rivelazioni che Gesù avrebbe tra-

smesso allo stesso Pietro riguardanti le vicende post mortem degli esseri umani (i seguaci fedeli a Gesù e i suoi nemici). Il testo si concentra poi (ivi, pp. 227-33) sugli eventi della parousia (il ritorno ultimo e defi nitivo di Gesù) – sempre un discorso messo in bocca al Gesù terreno e rivelato a Pietro e che Pietro, a sua volta, affi da a Clemente; nel discorso, Gesù evoca addirittura Adamo e le vicende della creazione, per mostrare proprio la misericordia che Dio userà nel giorno del giudizio (ivi, pp. 226-7, 231-2). L’apocalisse si conclude con una serie di raccomandazioni di Pietro (ivi, pp. 232-3), in cui emerge, in modo pressoché defi nitivo, che la dimensio- ne temporale dischiusa dal resoconto visionario è tutta incentrata su un passato che è quello del Gesù storico, che avrebbe rivelato a Pietro una serie di misteri sull’aldilà e sul suo ritorno, misteri che Pietro, a sua volta, avrebbe affi dato a suo fi glio, intimandogli di «spaventare i peccatori con il castigo della fi amma di fuoco, di modo che si pentano dei loro peccati» (ivi, p. 233).

La dimensione visionaria, in questo caso, ricondotta al Gesù terreno, o anche della storia, appare come una sorta di svelamento di un Gesù del

passato che parla esplicitamente del futuro escatologico; siamo evidente- mente di fronte a una testualizzazione visionaria che si innesta su pratiche di rilettura e reinterpretazione di materiali tradizionali circolanti tra i se- guaci di Gesù e che sono già stati a loro volta testualizzati come discor- si attribuiti a un Gesù collocato in un certo spazio e in una temporalità oramai del tutto esaurita. Più in particolare, l’Apocalisse di Pietro sembra presupporre già un resoconto della trasfi gurazione di Gesù (non sappiamo se in una forma del tutto sovrapponibile a quella dei vangeli sinottici; cfr. Mc 9,2-8, Mt 17,1-8, Lc 9,28-36) e, quindi, l’attribuzione al Gesù terreno di rivelazioni inerenti alla sua intronizzazione futura. L’apocalisse, in sostan- za, evidenzia un procedimento di attribuzione al Gesù storico di parole segrete che in altri ambiti protocristiani sono ricondotte a un Gesù visio- nario e che, come tale, nel testo appare nella sua dimensione post mortem; d’altronde, Paolo stesso, così come i profeti attivi nei gruppi a lui coevi, sono convinti di avere accesso a rivelazioni di Gesù che permettono di co- noscere la volontà stessa di Gesù (cfr. 1 Cor 2,6-16; 14,37; Fil 3,15). Anche il Vangelo di Giovanni ritiene che, dopo la sua resurrezione, i discepoli di Gesù siano in grado di comprendere meglio le sue parole rispetto a quan- do le ascoltavano direttamente da lui (cfr. Gv 14,26; 16,13-14), mentre la stessa Apocalisse di Giovanni emerge come una rivelazione di un Gesù che è dichiarato provenire direttamente dal mondo altro (cfr. Ap 1,1).

L’Apocalisse di Pietro rilegge e reinterpreta materiali preesistenti inte- grandoli e riassemblandoli sulla base di pratiche più o meno ritualizzate di meditazione e rievocazione di quegli stessi materiali, che appaiono così riformulati e rimessi in moto alla luce di particolari contenuti rivelativi. In questo modo, l’Apocalisse di Pietro può presentare le vicende delle ani- me dopo la morte (fornendo, per la prima volta in maniera abbastanza compiuta almeno per l’ambito protocristiano, un vero e proprio catalogo di pene infl itte a coloro che si sono macchiati di determinati crimini; cfr. Bremmer, 2010)17 e gli eventi della parousia come predizioni di un Gesù storico che – prima della sua morte – avrebbe rivelato il signifi cato più profondo della sua vicenda terrena e il fi lo che tiene unita la sua parabola terrena e la sua defi nitiva venuta come essere celeste e intronizzato (cfr.

Apocalisse di Pietro, 6 = ant iii, p. 221).

Che uno scritto come l’Apocalisse di Pietro sia fortemente legato a processi di rimessa in moto visionaria di materiali preesistenti, e quindi a forme di attualizzazione visionaria di fl ussi di trasmissione piuttosto eva- nescenti eppure ben presenti tra i vari seguaci di Gesù, spiega in parte la

versione dell’apocalisse presente nel frammento greco di Akhmim (appa- rentemente più breve della versione etiopica e, almeno come attestata nel manoscritto, interamente incentrata sulla rievocazione dell’episodio della trasfi gurazione) e quella del cosiddetto frammento Rainer (sempre in gre- co), una forma di testualizzazione piuttosto vicina alla versione preservata in etiopico (cfr. bibliografi a e ulteriore discussione in Norelli, 1991; cfr. anche Buchholz, 1988).

In sintesi, si può aff ermare che la domanda posta più sopra (“Perché i seguaci di Gesù hanno scritto delle apocalissi?”) ha forse oramai poco sen- so (cfr. anche Norelli, 2016). I seguaci di Gesù hanno aff rontato l’evento traumatico della morte del loro leader mettendo in atto una serie di strate- gie di fuga e/o reintegrazione18. Una di queste è stata sicuramente la con- vinzione di poter vedere e ascoltare quanto Gesù suggeriva loro dopo la sua morte, evidentemente ritenendo di avere esperienze dirette con un Gesù proveniente direttamente dalla o aff erente alla dimensione del mondo al- tro. Questa forma di comunicazione appare come una modalità di rimessa in moto di esperienze di evocazione e/o rievocazione innescate da azioni più o meno ritualizzate che, in un modo o nell’altro, mettono al centro la necessità di superare una perdita o lo smacco legato a una morte giunta in modo inaspettato.

Tali rievocazioni del Gesù visionario (e, quindi, i materiali tradizionali a esse collegati) sono state trasmesse e tesaurizzate in vario modo dai grup- pi di seguaci e hanno dato vita a fl ussi tradizionali fortemente soggetti a fenomeni di attualizzazione e rimessa in moto visionarie.

Le apocalissi protocristiane, tra i e ii secolo d.C., non sono altro che esiti più o meno compiuti di queste dinamiche di riattivazione visionaria interne al variegato universo del giudaismo del periodo romano, forme di testualizzazione che hanno raggiunto uno stadio formale-compositivo abbastanza stabile e – come tali – prodotti in un modo o nell’altro re- dazionali, anche quando fortemente connotati in senso autoriale (i casi dell’Apocalisse di Giovanni e del Pastore di Erma).

Proprio il raggiungimento di forme testuali piuttosto defi nite spiega la particolare dimensione temporale che ciascuno scritto mette di fronte al lettore: una dimensione testuale e, come tale, inscindibilmente legata al processo formativo di veri e propri scritti che sul contesto performativo dell’esperienza di contatto diretto con il divino hanno innestato elementi propri dell’attività scrittoria (aggancio a e ricompattamento di materiali tradizionali di diversa provenienza, processi di attribuzione, temporaliz-

zazione e spazializzazione del resoconto visionario, ricostruzione di una narrazione in sé conchiusa che mostri chiaramente il suo punto di inizio e la sua naturale conclusione), sebbene secondo modalità descrittive che cercano di non obliterare mai del tutto un certo rapporto con la stessa esperienza psicotropa di partenza di cui il resoconto è ritenuto diretta de- rivazione.

Tale processo mostra, però, almeno verso la fi ne del i secolo d.C., anche una tensione verso forme di tesaurizzazione e trasmissione che risponda, con la vera e propria creazione di una scrittura che sia autorevole, alle com- plesse dinamiche che i gruppi di seguaci sperimentano nei vari contesti in cui si trovano a vivere (il caso delle sette lettere di Ap 2-3 è, a tal proposito, emblematico; cfr. Arcari, 2016a); dinamiche che, se da un lato tentano di riorganizzare i materiali di/su Gesù circolanti tra i vari seguaci, dall’altro vedono il sorgere di questioni organizzative di legittimazione dell’autorità interna su più ampia scala e che, come tali, devono per forza di cose rifor- mulare il passato per renderlo funzionale alla sempre maggiore distanza tra i gruppi di credenti in Gesù e quella tradizione che pure pare giustifi ca- re e assicurare la loro stessa sopravvivenza.

Le apocalissi della fi ne del i secolo e del ii secolo appaiono come un passaggio fondamentale in questo processo di reinvenzione e rifunziona- lizzazione del passato e nei meccanismi di rifondazione e ricreazione di un’autorità che voglia ancora dare un senso all’evento traumatico della morte del leader o che cerchi di riproporre messaggi e discorsi variamente ricondotti (o riconducibili) ai vari Gesù di volta in volta evocati e/o ricor- dati nell’ambito dei gruppi di seguaci sparsi nell’impero.

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