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Testi visionari e spazialità critica

È importante sottolineare come molti degli elementi richiamati siano ben rappresentati in resoconti di natura visionaria o in testi che illuminano alcuni aspetti del passaggio dall’esperienza visionaria alla sua messa per iscritto. In Storia della cattività babilonese, 8b (cfr. aat iii, p. 341)7 la pa- rola del Signore viene rivolta a Geremia, affi nché egli possa recarsi presso il re Sedecia ad annunciargli quanto riferito da Jhwh; il veggente, dopo es- sersi prostrato e aver adorato il dio di Israele, chiede di essere esonerato dal compito, temendo di essere così destinato a morte certa. Jhwh, allora, off re a Geremia un’altra possibilità, quella di mettere per iscritto quanto avve- nuto durante l’esperienza di contatto e di affi dare il resoconto a un lettore, nel caso Baruc, affi nché possa leggerlo davanti al re e a tutta l’assemblea degli anziani di Israele. Nel caso descritto, Baruc è un giovane molto caro a Geremia, il che assicura, all’interno della fi nzione letteraria, l’attendibilità di quanto riferito durante la lettura pubblica. Ma, al di là dell’elemento ideologico dell’attendibilità o meno, il racconto sembra fotografare una situazione estremamente comune nella trasmissione dei resoconti visiona- ri giudaici antichi e tardoantichi, situazione che appare non a caso confer- mata da quanto riferito dal veggente di Patmos nella sua Apocalisse, dove la disseminazione del resoconto visionario tra sette ekklēsiai dell’Asia Mi- nore della fi ne del i secolo d.C. doveva necessariamente implicare sistemi di diff usione legati a personaggi che ricevevano e leggevano pubblicamen- te il contenuto del rotolo.

Nel Pastore di Erma troviamo una scena che sembra dare conto di un ulteriore aspetto legato ai processi di trasmissione del resoconto visiona- rio. In 5,1-4, il mediatore umano si trova a camminare in campagna nello stesso periodo in cui, l’anno precedente, ha fatto esperienza di un primo contatto diretto con il mondo altro; proprio in questa seconda occasione uno spirito lo aff erra e lo trasporta in un luogo già precedentemente visita- to dove Erma, una volta giunto, si inginocchia e inizia a pregare; una volta rialzatosi, il veggente vede dinanzi a sé una anziana signora, anche questa vista già in precedenza, con la quale, mentre cammina e legge un piccolo libro, inizia un nuovo dialogo:

«Puoi riferire tutto questo agli eletti di Dio?». Le rispondo: «Signora, non pos- so ricordare tante cose; dammi il libro perché possa ricopiarlo». «Prendilo» mi dice «poi lo renderai». Lo presi e ritiratomi in un luogo appartato del campo, lo trascrissi tutto, lettera per lettera perché non riconoscevo le sillabe. Quando ebbi fi nito di trascrivere le lettere del libro, d’improvviso mi fu strappato di mano, non vidi da chi (trad. it. in Simonetti, 2015, pp. 229-31).

Il testo ricorda come il processo visionario molto spesso venga “innescato”, per così dire, da elementi che, in una particolare cultura, assumono la fun- zione di vero e proprio meccanismo psicotropo, in questo caso la lettura di un libriccino (il termine biblaridion è lo stesso che troviamo in Ap 10,2), la cui ricopiatura non appare solo come strumento di trasmissione e tesau- rizzazione di un contenuto forse troppo diffi cile da mandare a memoria, ma come strumento generatore di una ulteriore esperienza di contatto con il mondo altro (il testo ricopiato sparisce misteriosamente, evidentemente per lasciare spazio a un nuovo testo). Anche nel caso della scena descritta nel Pastore di Erma, il fatto che il veggente non comprenda le lettere del testo trascritto sembra voler implicare, all’interno della fi ction, l’assoluta fedeltà del procedimento di trascrizione, il che non toglie, al di là della volontà ideologica di sottolineare tale elemento, l’assoluta plausibilità del processo che il testo ci mette davanti, che quasi necessariamente implicava fenomeni di riadattamento e rifunzionalizzazione.

I testi richiamati sembrano evidenziare ancora un elemento legato ai processi di trasmissione/tesaurizzazione dei resoconti visionari, una sorta di costante degli scritti apocalittici giudaici e protocristiani, quello legato al proliferare di versioni e recensioni che rendono lo studio di tali tradi- zioni un compito estremamente complesso, oscillanti continuamente tra

fi ssità e libera modifi cazione, o anche tra circolazione funzionale e tentati- vi di irrigidimento testuali e/o scritturali.

L’episodio della Storia della cattività babilonese richiamato sopra (8b) mette in luce come la lettura del resoconto da parte di Baruc appaia, a sua volta, come uno strumento capace di suscitare nel destinatario del messag- gio una reazione di particolare forza e virulenza, una risposta che eviden- temente appare, anche all’interno della stessa dimensione del racconto, come plausibile proprio in virtù delle corde emotive che la descrizione visionaria è capace di toccare:

Geremia si sbrigò di fare come gli aveva detto il Signore. Mise per iscritto tutte le parole che il Signore gli aveva rivolto, e le consegnò a Baruc, il suo giovane lettore. [Quest’ultimo] le prese e ne dette lettura al re e agli anziani del popolo di Israele. E il sovrano, quando ebbe udito tutte quelle parole dalla bocca di Baruc, divenne livido di collera. Dette ordine di accendere il braciere; prese il libro e lo bruciò al cospetto di tutti. Ordinò che Baruc fosse fl agellato, e lo torturò, domandandogli: «Dove è nascosto Geremia?» (aat iii, p. 341).

Che un resoconto visionario possa generare una risposta emotiva tale da indurre, in chi legge/ascolta, una risposta sensoriale ed esperienziale di na- tura manipolatoria si spiega in relazione alla particolare natura di queste stesse descrizioni, le quali, proprio in virtù dell’uso del linguaggio dell’in- corporazione e tramite la costruzione di reami spaziali, arrivano a deter- minare una esperienza fondata sulla riattivazione, o anche sulla rimessa in moto dei loro stessi contenuti (cfr. Harkins, 2012b).

La teoria della “spazialità critica”, elaborata soprattutto nell’ambito de- gli studi di critica letteraria, distingue tre tipi di spazio, in quanto forme di relazione con l’esterno culturalmente elaborate e che facilitano, attraverso narrazioni che hanno per oggetto descrizioni dello spazio e dell’esperienza fi sica così come si svolge in esso, la ricezione e la relativa rimessa in moto di un testo da parte del suo utilizzatore8.

Se il “primo spazio” si riferisce all’esperienza dello spazio così come esso viene percepito empiricamente, il “secondo spazio” rimanda a una geogra- fi a religiosa, per così dire, culturalmente prefabbricata, come quella che si trova nelle preghiere e nelle narrazioni ritenute autorevoli in particolari contesti. Il “terzo spazio” è invece quell’ambito dove il soggetto si trasfor- ma e dove i meccanismi di potere appaiono completamente riconfi gurati, dunque non solo un orizzonte di resistenza in cui si producono realtà al-

tre, ma soprattutto un luogo di simultaneità, una sorta di specchio in cui il soggetto si rifl ette e si vede nel momento in cui agisce. Il “terzo spazio”, in sostanza, recuperando la nozione di eterotopia così come teorizzata da Foucault (1984, trad. it. pp. 24-5, 39), riconfi gura lo spazio rappresentato come luogo al contempo reale e irreale, mentre le esperienze legate a que- sta forma di spazialità appaiono come dimensioni liminali, esperienze del mondo reale che hanno conseguenze nella stessa realtà e che, al tempo stesso, permettono la piena partecipazione ad altri mondi.

La teoria che vede i testi visionari come veri e propri spazi eterotopici off re importanti spunti per lo studio della loro trasmissione e tesaurizzazio- ne. Le forme di messa per iscritto di un resoconto visionario implicano la messa in campo dei metodi di trasmissione che defi niscono e strutturano lo stesso canale della scrittura all’interno dei contesti culturali tra antichità e tardoantico, in particolare i continui riutilizzi e le specifi che riformulazioni di testi e narrazioni da parte di gruppi e/o individui che hanno interesse a trasmetterli in e per nuove esperienze di rivisualizzazione. Per riprendere la terminologia di Foucault, i testi visionari funzionano come “portali” fi sici rispetto a un mondo che è interamente costruito dall’immaginazio- ne, suscitando esperienze eterotopiche di riattivazione (o re-enacting) che trasformano il singolo lettore/fruitore in un partecipante eff ettivo dell’e- vento narrato. Le varie riscritture a cui i testi apocalittici sono stati sottopo- sti nel corso della loro trasmissione appaiono, dunque, come veri e propri lasciti di rimesse in moto legate a ulteriori esperienze di rivisualizzazione, innescate dall’ascolto, dalla (ri)lettura e dai processi di traduzione e rico- piatura in e per nuovi ambienti e contesti (cfr. anche infr a, spec. cap. iii).

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