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Maschere pseudepigrafi che e antologie visionarie

I testi apocalittici, e forse anche le esperienze che essi in un modo o nell’al- tro rendicontano, dichiarano di derivare direttamente da una fi gura au- torevole del passato (Enoc, ad esempio, è un candidato abbastanza adat- to a svelare misteri propri del mondo ultraceleste, se non altro perché in Gen 5,21-24 viene immaginato come direttamente assunto in cielo senza morire; Baruc ed Esdra sono ottime cifre pseudepigrafi che per resoconti riconducibili alla distruzione del tempio del 70 d.C., dato che entrambi i personaggi sono vissuti nella fase successiva alla distruzione del primo tempio).

Non è possibile stabilire se i processi di attribuzione pseudepigrafi ca presenti nei testi così come li possediamo oggi siano in qualche caso di-

rettamente riferibili all’esperienza che sta dietro il testo oppure, cosa forse più probabile, alla complessa opera di rimessa per iscritto della stessa espe- rienza di contatto diretto con il mondo altro; certo è che questa esperien- za, in quanto rimodulazione corporea di stimoli psicotropi, è percepita e concepita come una vera e propria trasformazione del sé in prospettiva visionaria, per cui appare ricodifi cata come complesso pseudepigrafi co di reinvenzione del passato proprio per meglio obbedire alle necessità cultu- rali in cui essa viene ulteriormente riformulata come vero e proprio reso- conto scritto.

Il processo di attribuzione pseudepigrafi ca di un resoconto visionario conduce inevitabilmente all’assemblaggio di materiali tradizionali in un modo o nell’altro riconducibili alla maschera di volta in volta chiamata in causa. I testi che oggi compongono 1 Enoc, ad esempio, off rono ampio ma- teriale per esplorare i procedimenti visionari di interpretazione di segmen- ti tradizionali legati in vario modo alla fi gura di Enoc, e non è un caso che buona parte degli studi si siano concentrati, ad esempio, sulle molteplici rideclinazioni dell’episodio della caduta angelica13; ciò nonostante, l’intro- duzione del Libro dei vigilanti (cfr. 1-5; ma si veda anche quanto riportato in 1 Enoc, 93,1-10; 91,11-17) è una riscrittura tradizionale improntata al pro- cedimento della pseudepigrafi a allusiva, soprattutto perché vengono mes- si in bocca a Enoc discorsi fondati su materiali riconducibili nella Bibbia ebraica in un modo o nell’altro a Mosè (derivanti, in particolare, dal libro dei Numeri e dal Deuteronomio); in questo modo, il personaggio che in Gen 5,21-24 è ricordato come colui che è stato assunto direttamente in cielo, riplasma elementi tradizionalmente legati alla fi gura di Mosè.

Proprio la necessità di obbedire alla fi nzione pseudepigrafi ca del testo obbliga a una sorta di mascheramento dei riferimenti mosaici che, come tali, non possono essere esplicitati ulteriormente14; è come se Libro dei vi-

gilanti, 1-5 volesse indicare nella rivelazione ricondotta alla fi gura di Enoc

l’antecedente principale di quella mosaica, per cui quella di Enoc, in so- stanza, emerge come una rivelazione più antica e, come tale, maggiormente esclusiva. Questa complessa operazione di reinvenzione avviene sulla scor- ta di un processo insieme di amalgama e nascondimento delle tradizioni riconducibili a Mosè che mette in primo piano, sempre e comunque, la fi gura di Enoc in quanto portavoce di una visione diretta dell’oltremondo antecedente a quella tesaurizzata nei testi riconducibili all’autorità mosai- ca. La strategia discorsiva di 1 Enoc, in questo senso, si pone esplicitamente come una sorta di inversione della dipendenza dei testi enochici rispetto a

quelli ricondotti all’autorità mosaica; il lascito di Enoc diventa il più anti- co esempio di visione diretta dell’oltremondo, mentre quello mosaico assu- me il ruolo di ulteriore e successivo stadio nel processo rivelativo di Jhwh. I testi visionari cercano di presentare una nuova rivelazione che ricon- fi guri precedenti ritenuti autorevoli; tale operazione avviene innanzitut- to attraverso l’utilizzo allusivo di un linguaggio e di un immaginario di provenienza tradizionale, intesi come bagaglio concettuale e memoriale capace di sostanziare e rendere socialmente condivisibile un’esperienza di contatto diretto con il sovrannaturale. Oltre all’utilizzo allusivo del passa- to, i testi visionari mostrano, però, anche una sorta di antologizzazione di precedenti ritenuti autorevoli. Come rilevato già a suo tempo da Michael Fishbane (1985, p. 515), il procedimento della antologizzazione si presenta in due forme particolari: come rete di materiale tradizionale disseminato e quasi diluito in porzioni di testo più o meno ampie, o come antologizza- zione mirata che si concentra su alcuni particolari materiali di provenienza tradizionale. 1 Enoc, 1,3b-9 descrive una vera e propria teofania in cui un dio trascendente fa il suo ingresso nel mondo per giudicare gli empi e bene- fi care i giusti; il passo è intriso di fl ussi tradizionali di diversa provenienza (Es 19; Dt 33,1-3; Ger 25,30-31; Mi 1,3-4; Ab 3,6.9), ma in un modo o nell’al- tro connessi alle numerose teofanie di Jhwh che ritroviamo nei testi che entreranno a far parte dei successivi canoni (cfr. Hartman, 1979, pp. 114-8; VanderKam, 2000, pp. 332-53; Nickelsburg, 2001, pp. 143-4).

L’esempio più compiuto di una antologizzazione “disseminata” è cer- tamente rappresentato dall’Apocalisse di Giovanni, nella quale non è solo impossibile ravvisare citazioni letterali di precedenti considerati autorevo- li, ma la cui struttura interna appare interamente governata da un costante processo di reinvenzione e rifunzionalizzazione di fl ussi di trasmissione di diversa provenienza, che spesso appaiono associati a diverse e ulteriori costellazioni di riferimenti ulteriormente assemblati in base alla presenza di termini e/o concetti che, nella mente dell’autore, sembrano richiamare e connettere tra di loro precedenti autorevoli diversi (sul problema, cfr. Alkier, Hieke, Nicklas, 2015).

Dn 10-12, di contro, una sezione dell’apocalisse che si presenta come dettagliata profezia ex eventu inerente alla storia umana, rappresenta un esempio di antologizzazione mirata; le allusioni disseminate all’interno dell’ultima sezione del testo appaiono soprattutto legate ai libri di Isaia e di Ezechiele, sebbene anche in questo caso sia possibile intravedere l’oc- casionale ricorso all’antologizzazione disseminata, come in Dn 11,36, in

cui emerge una particolare attenzione su Ab 2,3. Entrambe le modalità di ripresa, comunque, non rappresentano solo una coerente formulazione di un programma visionario che intende reinventare e riadattare preceden- ti considerati autorevoli, ma si pongono come sintomo di una modalità di costruzione del discorso saldamente impiantata in un contesto in cui i fl ussi tradizionali rappresentano un vero e proprio bagaglio cognitivo- concettuale e linguistico costantemente rimesso in circolo.

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