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Altri resoconti visionari fanno esplicito riferimento a oggetti e/o ad azioni legati all’universo della scrittura soprattutto nella sua dimensione di “cate-

na di trasmissione” autorevole e certifi cata, con cui assicurare all’esperienza di contatto diretto con l’oltremondo tutta la sua più duratura effi cacia. In

4QFrammento aramaico C (4Q536), un testo in prima persona rinvenuto

a Qumran altamente frammentario, databile su base paleografi ca al i seco- lo a.C. e la cui natura di vero e proprio resoconto visionario è abbastanza incerta, i riferimenti alla rivelazione delle luci (degli angeli?: fr. i, col. i, l. 3) e alla conoscenza dei segreti (fr. i, col. i, l. 9) sono messi in relazione a qualcuno preposto a scrivere «queste mie parole in un libro che non mar- cirà» e che deve quindi custodire «questi miei discorsi [in un rotolo che non] sparirà» (fr. i, col. ii, ll. 12-13 = tq, p. 435). 4QVisioni di ‘Amrama

(4Q543), un manoscritto qumranico paleografi camente riconducibile alla metà del i secolo a.C. contenente l’incipit di un testamento attribuito al nipote di Levi, proprio in apertura mette in stretta correlazione visione e scrittura: «Copia dello scritto delle parole delle visioni di ‘Amram, fi glio di [Qahat, fi glio di Levi]» (i, 1 = tq, p. 447); un inizio più o meno simile si trova in Testamento di Levi, 1,1, le cui visioni, redatte in forma di testa- mento, prendono ugualmente le mosse da una esplicita identifi cazione tra l’esperienza visionaria e la sua messa per iscritto: «Copia delle parole di Levi» (aat ii, p. 382).

In 2 Baruc i libri e lo scrivere assumono ugualmente un ruolo di note- vole importanza all’interno del resoconto: viene sottolineato come «ver- ranno giorni e saranno rivelati i libri in cui sono scritti i peccati di tutti coloro che hanno peccato e, ancora, i depositi in cui è stata raccolta la giustizia di tutti coloro che sono stati giustifi cati nella creazione» (24,1 = aat i, p. 300). Ciò nonostante, Baruc è invitato ad ascoltare la parola che gli viene rivolta durante il contatto diretto con l’oltremondo e a scriverla nella memoria del suo cuore (50,1). 2 Baruc si conclude con una lettera di accompagnamento indirizzata «alle nove tribù e mezzo» (78,1 = ivi, p. 336). Questa lettera, quasi certamente aggiunta al corpo del resoconto propriamente detto in un secondo momento, come vero e proprio resumé del messaggio visionario precedente, va letta e meditata durante alcune non meglio specifi cate riunioni e soprattutto nei giorni del digiuno (86,2). In 4 Esdra il veggente viene invitato a scrivere in un libro quanto espe- rito nell’esperienza di contatto diretto con il mondo altro e a nascondere il tutto per poterlo insegnare, evidentemente a tempo debito, ai sapienti del popolo capaci di cogliere e conservare i segreti in esso contenuti (12,37-38). Nel prosieguo, il mediatore chiede a un essere sovrumano, quasi certamen- te Jhwh stesso, che venga immesso in lui il «santo spirito», un’allusio-

ne alla capacità di vedere direttamente ciò che accade nell’oltremondo in modo che il mediatore possa scrivere «tutto quello che è stato fatto nel mondo dall’inizio» (14,22 = ivi, p. 484). L’essere sovrumano chiede al mediatore di procurarsi molte tavolette per scrivere, assicurando inoltre che la «lampada dell’intelletto» rimarrà accesa fi n quando Esdra non avrà terminato la scrittura (14,25 = ivi, p. 485); solo a opera compiuta, al- cune cose verranno rese pubbliche, altre consegnate in segreto ai sapienti (14,26). Al termine della sezione, si sottolinea come in 40 giorni siano stati scritti 94 libri: i 24 scritti per primi sono quelli destinati a essere resi pubblici, in modo che possano essere letti non solo da chi è degno, ma anche dagli indegni; i 70 scritti per ultimi, invece, Esdra dovrà consegnarli ai sapienti del popolo, «perché in essi c’è la sorgente dell’intelligenza, la fonte della sapienza, e il fi ume della conoscenza» (14,46-47 = ivi, p. 487). Nella recensione breve del Testamento di Abramo troviamo una scena in cui scrittura e prassi di natura giudiziaria sono strettamente associate. In 10,7-11, dopo che una nube conduce Michele e Abramo nel luogo dove è collocato il paradiso per vedere in che modo avviene il giudizio, un giu- dice riceve da un angelo l’anima di una donna accusata di aver ucciso la propria fi glia. L’anima cerca di difendersi sottolineando che l’accusa è il frutto di una calunnia, ma il giudice fa venire colui che è preposto alla redazione degli atti giudiziari e un uomo «straordinariamente grande, [che] aveva tre corone sul capo, l’una più alta dell’altra – si tratta di quelle che sono chiamate testimoni» (Testamento di Abramo [recensione breve], 10,8-9 = aat iv, pp. 61-2), provvisto a sua volta di una «penna d’oro» (10,10). L’uomo ha il compito di mostrare «il peccato di quest’anima» (10,11):

Dopo aver aperto uno dei due libri che avevano i Cherubini, egli cercò il peccato di quell’anima. «Anima sventurata – esclamò quell’uomo –, come puoi aff erma- re: “Non sono stata io ad uccidere”? Una volta che tuo marito era morto, non sei [forse] andata a commettere adulterio con il marito di tua fi glia e non hai ucciso tua fi glia?». E le enumerava gli altri peccati (aggiungendo) in quale ora li aveva commessi (10,11-14 = ivi, p. 62).

Nel prosieguo, il testo chiarisce l’identità dei personaggi che svolgono le funzioni giudicanti:

«Signore – chiese Abramo a Michele –, chi è colui che giudica, ché non giudica prima che colui che istruisce il processo abbia corretto?». «[Lo] vedi il giudice?

– risponde Michele ad Abramo. È Abele, il primo martire: è stato condotto in questo luogo per giudicare. Colui che istruisce il processo è Enoc, tuo padre: que- sti è il maestro del cielo e lo scriba della giustizia: il Signore lo ha mandato qui per registrare i peccati e le anime giuste di ciascuno» (11,1-4 = ivi, p. 63).

La menzione di Enoc quale «scriba di giustizia» si riallaccia direttamente alle funzioni attribuite al personaggio nel Libro dei vigilanti e nel Libro

delle parabole; a ciò si unisca che in Giubilei, 4,17, Enoc è colui che per

primo ha appreso la scrittura. Ciò nonostante, nel Testamento di Abramo Enoc appare come uno che ha soltanto il ruolo di ricopiare i giudizi elabo- rati direttamente dal Signore:

Se il verdetto non è regolare – rispose Michele –, non viene accettato; ma non è neppure Enoc che elabora il verdetto; è il Signore che elabora il verdetto; compito di Enoc è scrivere; giacché Enoc ha rivolto al Signore questa preghiera: «Non voglio emettere verdetti riguardo a [nessun’]anima per non essere severo con nessuno». E il Signore ha risposto a Enoc: «Ti do un segno, perché tu registri i peccati di un’anima sul libro. Se l’anima ottiene misericordia, vedrai i suoi peccati cancellati ed essa potrà entrare in vita; ma se l’anima non ottiene misericordia, vedrai i suoi peccati scritti: quanto ad essa, sarà gettata nel [luogo del] castigo» (11,6-11 = ivi, p. 64).

Il testo, al di là della possibile polemica con le funzioni attribuite a Enoc in altre branche del giudaismo precedente e/o coevo, volte soprattutto a ridimensionare il ruolo svolto dal personaggio nel giudizio escatologico (nel Libro delle parabole Enoc appare addirittura identifi cato con l’essere umano di natura angelico-celeste menzionato in Daniele; cfr. infr a, p. 268, 271-2), sembra ribadire la sempre maggiore centralità che il libro, quale strumento di accreditamento di taluni misteri, assume nella trasmissione e nella tesaurizzazione di conoscenze di natura rivelatoria e visionaria. In un simile contesto descrittivo appare l’associazione, non del tutto esplici- ta ma comunque plausibile, tra il ruolo di Enoc e quello dell’assessor del tribunale romano, le cui prerogative consistevano proprio nel collaborare con il magistrato attraverso un’attività istruttoria che gli permetteva di esprimere una specie di parere prima della sentenza vera e propria.

Del Testamento di Abramo possediamo anche una versione greca più lunga, in cui troviamo una scena di giudizio piuttosto diversa rispetto a quella appena menzionata (cfr. 13 = ivi, pp. 88-91). Qui sono presenti un giudice e alcuni angeli preposti ad aprire il libro su cui sono trascritti i pec-

cati dell’anima sottoposta a valutazione; il tribunale escatologico si com- pone altresì di due angeli che trascrivono le azioni giuste e quelle ingiuste (13,9 = ivi, p. 90). La funzione giudicante è attribuita ad Abele, forse a causa di una cattiva interpretazione da parte del traduttore greco della for- ma ebraica ben-’adam con cui questa fi gura era identifi cata nell’originale semitico (cfr. 13,2 = ivi, p. 88), resa e spiegata con l’espressione «fi glio del primo uomo creato, quegli che è chiamato Abele»; va sottolineato che la forma ebraica ben-’adam indica semplicemente l’essere umano o anche l’espressione “fi glio dell’uomo”/“essere umano”1.

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