• Non ci sono risultati.

Papiri e codici (i): l’Egitto tardoantico

La trasmissione dei testi visionari sulla lunga durata ha comportato una estrema varietà di riposizionamenti e di riformulazioni di cui è impossibile dare conto in maniera dettagliata in una trattazione di carattere generale. Qui intendo soprattutto riportare alcuni esempi di pratiche di testualiz- zazione e/o scritturalizzazione così come emergono da alcuni manoscritti nella loro dimensione di “artefatti” funzionali e contestuali. I casi che ver- ranno discussi, oltre che a scopo esemplifi cativo, servono anche a mettere in guardia da una troppo rigida classifi cazione in senso cronologico degli stessi processi di testualizzazione e scritturalizzazione. Ciò che intendo evidenziare è che tali pratiche di manipolazione testuale non sempre cor- rono su binari opposti o incomunicabili, ma in molti casi rappresentano gli esiti di una stratifi cata opera di trasmissione che ha visto accavallarsi successi ma anche momenti di oscuramento o di forte confl itto interpre- tativo; questo perché, nel loro percorso di trasmissione, proprio in quanto testi che favoriscono in un modo o nell’altro procedimenti di riattivazio- ne visionaria, i testi apocalittici si sono trovati, per via del loro contenuto quasi mai del tutto decifrabile in modo univoco, al centro di vicende di decodifi cazione tortuose, anche in momenti in cui il processo formativo dei diversi canoni sembrava essere oramai chiuso.

L’Apocalisse di Giovanni, come è noto, non è riconducibile a un pro- cedimento pseudepigrafi co, per cui l’autore del testo si presenta come un singolo direttamente coinvolto in ciò che racconta, senza il bisogno di ap- poggiarsi a un nome autorevole del passato che avalli e giustifi chi il suo resoconto. Se, come abbiamo visto, la presenza della pseudepigrafi a può

spiegare, almeno in parte, alcune delle forme di messa per iscritto dei reso- conti visionari provenienti dal giudaismo del secondo tempio – un mec- canismo che permette di amalgamare e arricchire narrazioni accolte come autorevoli sulla base della comune ascendenza da un autorevole personag- gio del passato – la sua assenza permette di considerare un aspetto centrale del testo del veggente di Patmos: la profonda unitarietà che lo pervade e che lo fa emergere come una sorta di microcosmo perfettamente conge- gnato, la cui specifi cità più profonda sta proprio nella fi tta serie di corri- spondenze che lega e connette le diff erenti sezioni che lo compongono.

Uno studio della trasmissione papiracea dell’Apocalisse di Giovanni sembra off rire numerosi esempi di vera e propria riattivazione del testo, peraltro in contesti perlopiù privati o parapubblici9, in una fase piutto- sto precoce della sua circolazione10. Tra i papiri egiziani che tramandano il testo, P115 (= P. Oxy. lxvi 4499), databile al iii secolo d.C. (Blumell,

Wayment, 2015, pp. 142-60), è noto soprattutto per l’attestazione della va- riante al numero della bestia di Ap 13,18 (che l’autore specifi ca essere «nu- mero d’uomo»), che qui non è 666, come nella maggior parte delle atte- stazioni, ma 616, un evidente tentativo di sovrainterpretazione connessa al processo di riattivazione del testo visionario11. L’idea che il numero 666 indichi il valore del nome «Nerone Cesare», secondo un procedimen- to gematrico di traslitterazione dall’ebraico in greco (Nerone Cesare in ebraico doveva scriversi nrwn qsr, il cui valore numerico, secondo il signi- fi cato delle lettere, sarebbe appunto 666), in un ambiente dove il bilingui- smo era di casa, si è imposta nella critica scientifi ca non senza forzature e problemi. Come osservato oramai qualche anno fa da Edmondo Lupieri, nulla nel testo dice che il nome debba essere cercato in una lingua piutto- sto che in un’altra, implicando una sorta di procedimento interlinguistico che calcoli il valore numerico di un nome passando dal latino all’ebraico al greco. A ciò si unisca che non sappiamo di quante lettere doveva essere il nome nascosto sotto il numero (e in “Nerone Cesare” i nomi sono addirit- tura due), ed è forse questo l’aspetto più complicato della questione, dato che se non conosciamo il numero delle lettere del nome, qualsiasi interpre- tazione sarà sempre possibile e avrà una stessa verosimiglianza rispetto alle altre (cfr. Lupieri, 1999, p. 218).

Riguardo alla variante attestata in P115, è interessante osservare che già

Ireneo di Lione (tra il ii e il iii secolo d.C.) conosce e condanna quelli che leggono e interpretano il numero 666 nei modi più vari e a suo dire bizzar- ri, che per lui è invece sinonimo del greco Teitan (un altro modo di scrivere

Titan), una divinità pagana in qualche modo collegata ad Apollo (Contro le eresie, 5,30,1). Ireneo sottolinea anche come vi siano alcuni che seguono

una interpretazione basata sulla diminuzione della cifra mediana (da 666 a 616), addebitando tale cattiva lettura a un errore di ricopiatura. Certa- mente P115 non fa altro che accogliere una lezione circolante anche altrove,

come ci ricorda lo stesso Ireneo; ciò non di meno, proprio la mutazione del papiro rimanda a fenomeni di testualizzazione dell’opera tendenti a intravedere nel numero della bestia, e quindi nel personaggio che questa rappresenta, una maggiore individualità e una allusione più esplicita, o più facilmente leggibile, a uno degli imperatori ritenuti più ostili verso i Giu- dei e i seguaci di Gesù; nel caso, la lettura 616 sembrerebbe rimandare alla fi gura di Caligola (Birdsall, 2002).

Anche il Pastore di Erma si iscrive nella tendenza di una autorialità visionaria che mette in primo piano un individuo che non sembra avere il bisogno di appoggiarsi a una maschera pseudepigrafi ca del passato12. È piuttosto chiaro che il Pastore nella sua interezza è un testo «prolisso e di complessa struttura» (Simonetti, 2015, p. 179), che si compone di tre grossi blocchi, peraltro piuttosto evidenti negli elementi paratestuali atte- stati nella tradizione manoscritta: 5 Visioni (in greco horasis o apokalypsis:

Pastore di Erma, 1,1-25,7), 12 Precetti o Mandati (entolē: 26,1-49,5) e 10 Similitudini (parabolē: 50,1-114,5). Tale complessità ha avuto notevoli ri-

percussioni sulla stessa trasmissione dell’opera: il testo greco, la lingua in cui il resoconto è stato messo per iscritto, è tramandato per intero da due codici in pergamena e da due in papiro (cfr. Simonetti, 2015, pp. 179-80). Ma possediamo anche numerosi excerpta, ovvero vere e proprie “pillole”, spesso anche di una certa lunghezza, tendenti ad autonomizzare intere sezioni e renderle, in un certo senso, quasi autosuffi cienti. Così almeno è accaduto in Egitto, dove il Pastore risulta particolarmente presente tra le testimonianze papiracee di scritti protocristiani proprio in forma di estratti, che circolano, peraltro, in contesti piuttosto variegati, da quelli più prettamente catechetici a quelli privati (cfr. Bagnall, 2009, pp. 40-9; Bazzana, 2016, spec. pp. 52-9). L’idea che il Pastore sia un’opera composita e stratifi cata sembra trovare ancora un certo consenso tra gli studiosi, e sicuramente non mancano elementi anche importanti che possono avva- lorare una simile tesi, non da ultimo proprio le testimonianze papiracee, che comunque testimoniano una circolazione di almeno due versioni del- lo scritto, una incentrata sulle sezioni di stampo più propriamente morale (che comprendeva soltanto la quinta visione fi no alla fi ne, come nel P. Mi-

chigan 129), una dal tenore più esplicitamente “apocalittico” (con le visio- ni 1-4, così come nel P. Bodmer 38 del iv secolo d.C., parte del cosiddetto codice delle visioni; cfr. Carlini, 2002).

Manlio Simonetti (2015, p. 185) ha sottolineato che la redazione fi nale del Pastore mette in luce una composizione in momenti diversi, e perciò riconducibile a un lasso di tempo non breve. Per questo, nonostante alcuni tentativi recenti di minimizzare l’evidenza delle testimonianze papiracee per la ricostruzione del testo più antico (Batovici, 2016), proprio la circo- lazione antologica di parti del Pastore rientra, almeno in linea di massima, in tendenze di testualizzazione di esperienze di contatto con il mondo al- tro adattabili, in quanto tali, a diversi usi e bisogni (Bagnall, 2009, p. 48). Eppure anche le sezioni più esplicitamente catechetiche non risultano esenti da interventi di riattivazione visionaria. Un chiaro esempio delle manipolazioni a cui è stata sottoposta soprattutto la sezione parenetica dell’opera è dato da P. Oxy. i 5, un papiro proveniente da Ossirinco e da- tabile, su base paleografi ca, al iii-iv secolo d.C. Questo frammento con- tiene una citazione di Pastore di Erma, 43,9-10 a cui si trova aggiunta una frase di commento, volta a esplicitare il senso del brano riportato come un riferimento diretto a una vera e propria corporazione profetica. Confron- tiamo il passo del Pastore così come si trova nella stragrande maggioranza della tradizione manoscritta e nel papiro:

Pastore di Erma, 43,9-10 (Simonetti, 2015, pp. 318-9)

P. Oxy. i 5

(Blumell, Wayment, 2015, p. 334) Quando un uomo che ha lo spirito di-

vino viene nell’assemblea dei giusti che hanno fede in questo spirito e questa assemblea rivolge una supplica a Dio, allora l’angelo dello spirito profetico, che gli è accanto, lo pervade, ed egli, ispirato dallo Spirito santo, parla all’as- semblea come vuole il Signore. In que- sto modo si manifesterà lo spirito divi- no, tale è la potenza dello Spirito del Signore che agisce sullo spirito divino.

[…] l’angelo dello spirito profetico, che gli è accanto, […] ed egli, ispirato dallo Spi- rito santo, parla come vuole il Signore. In questo modo si manifesterà lo spirito di- vino; questo è infatti lo spirito profetico, è la corporazione [somateion] dell’ordine profetico, che è il corpo [soma] della carne di Gesù Cristo […].

Sebbene non sia del tutto chiara la natura del frammento (una copia del testo del Pastore, una raccolta di passi profetici, un commento?), ciò che co-

munque emerge è che esso identifi ca, nella corporazione profetica, il luogo della manifestazione dello spirito, attribuendo le prerogative dell’attività di contatto diretto con il sovrannaturale a un vero e proprio gruppo di speciali- sti e che, di conseguenza, trasmette il testo come uno specchio in cui si rifl et- te questa stessa pretesa. E non è un caso che venga meno, nella parte fi nale della citazione, il riferimento all’assemblea, riconfi gurando la descrizione in relazione a un ambiente che vede la progressiva tecnicizzazione dell’attività di contatto con l’oltremondo, forse in risposta a processi di istituzionaliz- zazione delle ekklēsiai sempre più marcati (cfr. anche infr a, spec. pp. 365-6).

Le medesime dinamiche sono documentabili per l’Ascensione di Isaia e l’Apocalisse di Elia. Del primo testo (cfr. Bazzana, 2016, pp. 63-5) posse- diamo innanzitutto un frammento greco di 14 pagine, il P. Amherst i 1, un codice calligrafi co in maiuscola biblica del v secolo d.C. (cfr. Cavallo, Maehler, 1987, n. 18a). Si tratta di un manoscritto di alta qualità – al di là degli errori e dei numerosi passi piuttosto corrotti – e presumibilmente composto per un uso pubblico, come emerge soprattutto dalla presenza di segni rimandanti alla lettura (punti, segni di pausa ecc.). Il manoscritto ha inoltre dovuto avere una sua circolazione autonoma ben al di là dell’at- tività del primo scriba, dato che sul margine alto di alcuni fogli appaiono correzioni riconducibili a una mano diversa da quella che ha redatto il manoscritto e che reinseriscono passi che il primo copista aveva omesso13. Sempre all’Ascensione di Isaia è però riconducibile il manoscritto del Cairo in copto akhmimico ifao Copto 379Vo, di cui si possedevano frammenti provenienti dal Museo nazionale delle antichità di Leiden (F1949/4.1Vo). Il manoscritto del Cairo, fi no a poco tempo fa ritenuto perduto, è stato nuovamente identifi cato da Roger Bagnall (cfr. 2002); esso presenta, sul

recto, un resoconto, databile alla fi ne del iii secolo d.C., che ha a che ve-

dere con la produzione di vino e, sul verso, un frammento di Ascensione di

Isaia, riconducibile al iv secolo d.C. Come si vede, si tratta, a diff erenza

di P. Amherst i 1, di un manoscritto a uso esclusivamente privato, come peraltro confermato dalla qualità piuttosto scarsa della scrittura e dalla presenza di colonne piuttosto larghe e “aff astellate”.

Per quanto concerne l’Apocalisse di Elia (cfr. Bazzana, 2016, pp. 65-6), questa appare attestata in greco (in psi i 7, databile tra il iv e il v secolo d.C.) e in copto, confermando la notevole diff usione del testo in alcuni ambienti cristiani dell’Egitto tardoantico. Più in particolare, la traduzione in copto, la meglio attestata, è venuta alla luce grazie a due manoscritti, databili su basi paleografi che al v secolo d.C., provenienti verosimilmente

dal Monastero Bianco di Shenute presso Sohag, in Alto Egitto, e conte- nenti estratti in akhmimico e in sahidico del nostro testo insieme all’A-

pocalisse di Sofonia (il Copte 135 della Biblioteca nazionale di Parigi), che

sono stati a loro volta integrati dal contenuto di un ulteriore manoscritto del iv secolo d.C. (proveniente dal mercato antiquario e acquistato dal Königliche Museen di Berlino), il P. 1862; questo ulteriore testimone ha portato all’identifi cazione dell’opera proprio per la presenza del titolo, «Apocalisse di Elia» (cfr. aat iii, pp. 114-6). Ulteriori testimoni del testo copto sono i frammenti in sahidico contenuti nel colofone di un codice biblico del British Museum di Londra (bm or. 7594), proveniente forse da Hermopolis e databile al iv secolo d.C. (contiene la parte iniziale dell’a- pocalisse) e un manoscritto della collezione Chester Beatty di Dublino (catalogato con il numero 2018; cfr. Pietersma et al., 1981), che si compone di dieci fogli ma è privo della parte fi nale. Quest’ultimo manoscritto, in particolare, off re un sistema di punteggiatura piuttosto inusuale, dividen- do il testo in unità al livello di fonemi, che rimanda, con molta probabilità, a un quadro socioculturale specializzato.

Al di là di tutto, comunque, sia le testimonianze copte che quelle gre- che riconducono l’Apocalisse di Elia a contesti di fruizione che possiamo defi nire, in qualche modo, pubblici, siano essi di provenienza liturgica oppure vicini a vere e proprie fi gure tecniche della trasmissione religio- sa. Più variegata, stando almeno alla documentazione in nostro possesso, appare invece la trasmissione dell’Ascensione di Isaia, evidentemente le- gata sia a pratiche di condivisione della testualità che possiamo defi nire pubbliche, sia a forme di tesaurizzazione più strettamente private e/o individuali.

Outline

Documenti correlati