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Il tempo dell’esperienza e la sua rievocazione nell’Apocalisse di Giovanni e nel Pastore di Erma

Prima di condurre alle sue estreme conseguenze teoriche il ragionamento, è comunque importante soff ermarsi sui rapporti tra il tempo dell’esperien- za e la sua rievocazione (o anche simbolizzazione, secondo la terminologia approntata da Sperber; cfr. supra, pp. 151-2) all’interno dei resoconti visio- nari sicuramente aff erenti agli ambienti dei seguaci di Gesù tra i e ii se co- lo d.C.

L’Apocalisse di Giovanni vede la prossima e imminente venuta del Gesù celeste («il tempo infatti è vicino», Ap 22,10; ma cfr. anche 22,6: «inviò il suo angelo a mostrare ai suoi servi le cose che debbono avvenire presto», trad. it. in Lupieri, 1999, pp. 97, 99) in un orizzonte di appiattimento del tempo storico che muove dal momento in cui si svolgono le esperienze di contatto diretto con l’oltremondo vissute dal suo autore. Qui il discorso visionario rappresenta uno spartiacque tra un presente di contaminazione e adeguamento ad ambienti ritenuti incompatibili con la pratica di vita propria del vero seguace di Gesù e un futuro, anticipato nell’esperienza diretta del mondo altro, in cui Gesù – soggetto e oggetto della rivelazio- ne – mostra l’esclusivismo proprio della coabitazione ultima e defi nitiva tra Jhwh/Gesù e i suoi seguaci. La dimensione del tempo ultimo, in questo senso, appare come un orizzonte imminente che riproduce e riassembla, in prospettiva cosmica, il passato (a cui si allude quasi continuamente asso- ciando e rimodulando frammenti memoriali provenienti soprattutto dalla Bibbia ebraica) e lo rende funzionale alla decifrazione e alla realizzazione anticipata del futuro ultimo e defi nitivo che si concretizza nella visione della Gerusalemme celeste.

L’assenza della pseudepigrafi a, che, come tale, pone il futuro escatolo- gico in un presente limitato e avvertito come urgente (sebbene anche qui il riassemblamento di immagini dal forte tenore allegorico tenda a porre tale contingenza in una luce fortemente universale), si osserva nello stesso Pa-

store di Erma. L’autore, che dice di chiamarsi Erma, tende a rappresentarsi

come un individuo fortemente connotato in quanto tale, tanto da off rire non poche informazioni sul suo passato personale e sulla sua famiglia (cfr. Simonetti, 2015, pp. 181-3). Al di là della questione se tali notazioni rappre- sentino o meno dati reali, rimane che l’orizzonte temporale dello scritto vuole essere quello di un hic et nunc in cui irrompe e si manifesta la realtà altra legata a una serie di contatti diretti con essa.

Erma si presenta come tramite di una serie di rivelazioni ricevute prima da un’anziana signora e successivamente da un’entità defi nita “Pastore” (in greco poimēn); nonostante la cornice della rivelazione, il contenuto ha però un prevalente carattere edifi cante e/o morale, incentrato in buona parte sull’invito alla penitenza e a “vivere per Dio”. Le numerose descrizioni di natura allegorica e le molteplici personifi cazioni, che in un modo o nell’al- tro riassemblano immaginari e materiali di diversa provenienza (sebbene i riferimenti a passi o a frammenti di matrice biblica siano abbastanza scarsi), non fanno altro che universalizzare moniti e raccomandazioni a vivere il presente secondo certe direttive e certi insegnamenti, prospettando un vero e proprio programma di “mutazione del sé” (cfr. Osiek, 1999, p. 29).

La terza visione dell’opera (9,1-21,4), ottenuta dopo che Erma ha prega- to e digiunato, rappresenta uno dei fulcri attorno a cui ruota il resoconto nella sua interezza. Qui troviamo l’immagine della torre, un riferimento abbastanza esplicito a una collettività costituita da “pietre”/seguaci, alcuni fedeli (rappresentati come pietre che si inseriscono senza diffi coltà nella costruzione) e altri che hanno invece bisogno di un percorso di perfezio- namento (le pietre che vanno squadrate e riparate); in questo quadro tro- viamo però anche pietre scartate, un’allusione a coloro che non sembrano porsi in linea con quanto Erma ha ottenuto durante le sue esperienze di contatto diretto con il sovrannaturale. Nell’ambito della visione, Erma sottolinea che quando la torre sarà completata avverrà la fi ne e che ciò av- verrà presto (16,9; trad. it. in Simonetti, 2015, p. 255). Ma nel prosieguo che cosa sia eff ettivamente questa “fi ne” (in greco telos) non è ulteriormente specifi cato; a ciò si unisca che nella ix Similitudine (89,3; ivi, p. 439) si sot- tolinea che la manifestazione terrena di Gesù è avvenuta «alla fi ne degli ultimi giorni» (in greco ep’ eschatōn tōn ēmerōn tēs synteleias). Il richiamo a imminenti tempi ultimi appare completamente fi nalizzato al pentimen- to e alla trasformazione di sé, hic et nunc. Il tempo sta lì lì per giungere, per cui è necessario prepararsi. Questo tempo “ultimo” giungerà quando l’edifi cazione dei vari seguaci sarà terminata, e in quel momento non vi sarà posto per chi ha tardato a uniformarsi al comportamento indicato da Erma (cfr. 13,5).

Le visioni del Pastore, nel testo come lo leggiamo oggi, appaiono intro- dotte con gradualità. La prima è detta giungere all’improvviso, la seconda dopo che Erma ha pregato, la terza dopo che ha pregato e digiunato. Che siamo di fronte agli esiti di un vero e proprio processo di testualizzazio- ne, si evince peraltro dal modo in cui è introdotta la visione della torre

(9,1-15,5); all’inizio troviamo l’espressione «Ecco, fratelli, la visione che ho avuto» (ēn eidon, adelphoi, toiautēn: 9,1; ivi, p. 235)15, la quale rimanda a una storia compositiva in cui oralità e scrittura hanno convissuto. Più in dettaglio, la presenza di ēn «si spiega con l’introduzione dei titoli parziali, assente nella redazione originaria e introdotta successivamente in un se- condo momento» (ivi, p. 555); ciò deve essere avvenuto quando le visioni sono state riassemblate per formare una versione dello scritto più o meno unitaria ed è proprio questa ricucitura di materiali di diversa provenienza e ambientazione che ha dato vita alla dimensione temporale che troviamo “svolta” all’interno dello scritto nella sua globalità. L’assenza del procedi- mento pseudepigrafi co, in questo quadro, concentrando l’attenzione sul personaggio Erma quale vero e proprio “editore” visionario, permette di defi nire una temporalità che dal presente si proietta in un futuro, piut- tosto indeterminato, che illumini e spieghi i particolari hic et nunc in cui sono avvenute le visioni e la loro successiva messa per iscritto.

Il tempo dell’esperienza e la sua rievocazione

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