• Non ci sono risultati.

Un esito per certi versi estremo del processo di aggregazione di materiali di diversa provenienza, che sembra rappresentare a sua volta una dinami- ca che dalla testualizzazione di un resoconto visionario tende inevitabil- mente verso una vera e propria scritturalizzazione, è rappresentato dalla presenza dell’Apocalisse di Pietro all’interno del codice Panopolitano (cfr.

supra, pp. 104-5); si tratta davvero di un caso di particolare rilevanza, dato

che i testi trasmessi in questo manoscritto sono il frutto di un’aggregazio- ne ex post di scritti ricopiati in epoche e appartenenti a generi piuttosto vari e non tutti riportanti esperienze di contatto diretto e in prima persona con l’oltremondo.

Il codice di Akhmim, rinvenuto durante la campagna di scavo diretta dagli egittologi Urbain Bouriant (1868-1903) e Gaston Maspero (1846- 1916) presso l’antica Panopoli (1886-87), consta di 33 fogli. Quelli che vanno dalla pagina 2 alla pagina 10 presentano un frammento greco del

Vangelo di Pietro databile, dal punto di vista paleografi co, secondo alcu-

ni al vi-vii secolo d.C., secondo altri al iv-v secolo d.C. Dopo due fogli in bianco (11-12), il manoscritto preserva un frammento dell’Apocalisse di

Pietro (6 fogli) databile al v secolo, e quindi il testo del Libro dei vigilanti

in greco (fogli 21-33), secondo Cavallo e Maehler riconducibile, come ab- biamo visto, al vi-vii secolo d.C. (cfr. supra, p. 105).

La storia della trasmissione dell’Apocalisse di Pietro è, come per tutti i testi apocalittico-visionari fi n qui considerati, piuttosto complessa (cfr. No- relli, 1991; cfr. anche Van Minnen, 2003). Il frammento greco presenta note- voli divergenze rispetto alla versione etiopica dell’apocalisse, quella che tra- smette il testo nella sua forma più ampia e articolata. Al di là delle allusioni e dei riferimenti presenti nella letteratura antica, che peraltro testimoniano di un’ampia diff usione di materiale visionario ricondotto all’autorità di Pie- tro, e oltre al frammento greco proveniente da Akhmim, il testo è noto da un manoscritto etiopico (il Ms. 51) proveniente dalla collezione dell’esplo- ratore Antoine T. d’Abbadie (1810-1897), che mostra coincidenze notevoli con un altro frammento greco dell’apocalisse conservato in un papiro del- la collezione Rainer, pubblicato per la prima volta da Charles Wessely nel 1924 (cfr. anche James, 1931).

Il contenuto dell’Apocalisse di Pietro così come trasmesso in etiopico si articola in due grandi sezioni: la descrizione degli eventi escatologici e dei luoghi oltremondani (1-14) e la visione sulla montagna in cui Gesù mostra a Pietro e ai discepoli i misteri dell’aldilà (15-17). Il fatto che il testo etiopi- co presenti divergenze sostanziali rispetto alla versione greca di Akhmim non implica che esso sia riconducibile a un’attività redazionale e/o com- positiva addebitabile esclusivamente alla Chiesa etiopica. Ciò è provato dal frammento greco della collezione Rainer, in cui troviamo l’incipit del discorso con cui Gesù ordina a Pietro di recarsi a Roma in una forma abba- stanza vicina a quanto trasmesso in etiopico (14 = ant iii, p. 224, nota 12; il passo sembra collegare le due sezioni che compongono l’apocalisse come avviene nell’etiopico)24.

I due frammenti greci (quello di Akhmim e quello della collezione Rainer; cfr. infr a, pp. 184-5, 368-9) testimoniano che circolavano più ri- elaborazioni di materiale visionario connesso a Pietro, a riprova del fatto che forme complesse di testualizzazione di resoconti visionari attribuibili a maschere pseudepigrafi che autorevoli erano diff use anche tra i seguaci di Gesù tra la fi ne del i e gli inizi del ii secolo d.C.

Che il manoscritto di Akhmim sia stato pensato come un vero e pro- prio libro unitario, sebbene composto di materiale diverso e circolante autonomamente, è innanzitutto provato dalla prima pagina del codice, una sorta di copertina su cui è disegnata una grande croce copta centrata insieme a due croci più piccole, oltre alle lettere alpha e omega. Il testo dell’Apocalisse di Pietro preservato ricopre circa la metà del contenuto di quanto trasmesso in etiopico e in un ordine piuttosto diverso, quasi cer-

tamente per meglio adattare l’apocalisse a quanto precede, la parte del

Vangelo di Pietro incentrata sul processo di Gesù, la crocifi ssione e la resur-

rezione, a sua volta seguita dal viaggio di Pietro e compagni per la pesca; il testo del vangelo, in questo caso, inizia e termina in maniera piuttosto brusca, per cui è molto probabile che esso sia stato ricopiato da un ma- noscritto che presentava solo la selezione riportata, a cui è stata poi fatta seguire l’Apocalisse di Pietro25.

Il testo presente nel manoscritto inizia con la menzione dei falsi pro- feti, per poi concentrarsi sul viaggio di Gesù e dei discepoli verso il mon- te della trasfi gurazione dove, insieme a un Gesù glorifi cato, si mostrano due giusti che rappresentano coloro che hanno seguito l’insegnamento di Gesù e che, come tali, vivono in un aldilà fatto di beatitudine; il testo pro- segue, poi, con una descrizione del luogo in cui sono relegati coloro che si sono comportati in modo malvagio e delle pene loro infl itte. L’ultima parte del codice, come già ricordato, è invece un ampio estratto del Libro

dei vigilanti, che comprende 1 Enoc, 1,1-32,6, incentrato sulla caduta origi-

naria degli angeli che, invaghitisi delle donne, decidono di abbandonare il cielo e di unirsi sessualmente a loro; da questa unione nascono i giganti, esseri mostruosi che contaminano, con le loro azioni, il mondo. Il testo narra anche del viaggio di Enoc nell’aldilà dove egli può vedere qual è il destino delle anime dei morti e i luoghi in cui essi abitano in attesa del giudizio fi nale; qui Enoc annuncia anche la punizione destinata agli angeli trasgressori.

Il caso del codice di Akhmim è interessante soprattutto perché il Van-

gelo di Pietro, l’Apocalisse di Pietro e il Libro dei vigilanti si trovano uniti

senza perdere la loro caratterizzazione di opere autonome; il compilatore, in sostanza, sembra aver tenuto presente, almeno come falsariga, un’idea di testo unitario e, al tempo stesso, composto di diff erenti “capitoli”; ognuno dei tre testi inclusi nel manoscritto, non a caso, è separato dal precedente da uno o due fogli vuoti, proprio per indicare lo stacco tra un libro e l’altro. Ciò nonostante, le opere che compongono il codice appaiono connesse tra loro, almeno potenzialmente, da più fi li rossi: innanzitutto l’estrema rile- vanza attribuita al post mortem, aff rontato sia nella prospettiva delle origini (il Libro dei vigilanti), sia in relazione alla fi gura di Gesù (l’Apocalisse di

Pietro); a ciò si unisca che i riferimenti in 2 Pt 2,4-5 alla fi gura di Enoc e

alle vicende degli angeli peccatori avranno certamente potuto innescare a loro volta discorsi incentrati proprio su presunte connessioni tra materiali enochici e petrini; non va inoltre dimenticato che la visione concessa da

Gesù nell’Apocalisse di Pietro sembra avvenire, se si legge il testo alla luce di Mt 16,6-9, sul monte Hermon, lo stesso luogo in cui, secondo il Libro

dei vigilanti, Enoc aveva ricevuto le richieste di intercessione presso Dio da

parte degli angeli trasgressori (cfr. 1 Enoc, 13,7-8 = aat i, p. 72).

La stessa inclusione del manoscritto in una tomba – non sappiamo se di un monaco o di un semplice privato – ci dice molto, o comunque abba- stanza, sull’uso pratico o anche rituale legato al suo assemblaggio: molto probabilmente una sorta di vademecum, o forse anche una specie di libro che serva a tenere lontani eventuali profanatori della tomba, a ogni modo un testo che trae la sua effi cacia performativa proprio dalla ricucitura, ide- ologicamente orientata, di materiale di diversa provenienza.

Outline

Documenti correlati