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Abitare la memoria

Nel documento Ri-attivare per trasformare spazi in luoghi (pagine 155-158)

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Note:

1_Per poter vedere i risultati dei due seminari si rimanda ai siti www.mo- bilarch.it http://europaconcorsi.com/ people/2144659247-Mobilarch, dove sono caricate immagini degli allestimenti realizzati, nonché testi di riflessione teorica prodotti in relazione alle singole azioni. Il gruppo MOBILARCH è un gruppo di ricer- ca fondato nel 2009 da Nicola Flora, com- posto da architetti di diverse scuole e che opera nella ricerca e promozione dell’in- novazione nel settore dell’Arredo e dell’Al- lestimento, in stretta sinergia con istituzioni pubbliche ed imprese private.

2_ Cfr. V. Teti, Il senso dei luoghi, Donzelli, Roma 2004.

3_ Nell’introdurre il lavoro di Hillann, Car- lo Truppi scrive che “nell’antica Grecia, luoghi quali incroci, sorgenti, pozzi, bo- schi erano “abitati”: da déi e dee, ninfe, daimones. Gli uomini dovevano essere consapevoli dello spirito, della sensibilità, dell’immaginazione che vi sovrintendeva e di come corrispondere al luogo in cui si tro- vava. Nella nostra cultura, invece, a partire da Cartesio e Newton – con le astrazioni del razionalismo e la rivoluzione scientifica del seicento – i luoghi hanno perso l’ani- ma: abbiamo sostituito l’individualità, la specificità di ciascun luogo con l’idea di uno spazio “vuoto”, uniforme, che si può misurare e occupare”, in J. Hillmann, L’ani- ma dei luoghi, Rizzoli, Milano 2004.

L’interesse della Facoltà di Ar- chitettura di Napoli verso il re- cupero e la valorizzazione dei cosiddetti “centri minori” è testi- moniato, sin dalla fine degli anni ‘90, dalle ricerche effettuate dal gruppo di studiosi dell’area de- gli interni che, attraverso pubbli- cazioni, tesi di laurea, seminari e workshop, hanno cercato di affrontare, sia dal punto di vista metodologico, che nell’imposta- zione teorica e culturale, il tema del riuso di architetture, paesi, lo- calità e territori abbandonati o in parte dismessi. Da quelle prime esperienze, originali, innovative ma anche acerbe e anticipatrici, la questione dei piccoli centri, è oggi divenuta di grande attualità; affrontata con differenti modi e finalità, mostra con chiarezza fal- limenti e successi di cui la critica, il mercato, e la ricerca non posso- no non tenere in conto.

Il recupero dei borghi o dei villaggi abbandonati non è più quindi solo un problema discipli- nare o scientifico, ma è un vero e proprio caso imprenditoriale, un obiettivo politico, una necessità sociale di cui si deve conoscere l’evoluzione per poterne immagi- nare le prospettive.

Quest’ultimo decennio è testi- mone quindi di teorie e di prassi, di esperienze e di realizzazioni da cui possiamo estrapolare alcuni momenti che hanno indirizzato e

Abitare la memoria

Paolo Giardiello

caratterizzato sia la ricerca che il progetto.

Una fase, alla quale, in parte, ha contribuito anche la ricerca prodotta dalle università, è stata proprio quella del riconoscimento dei valori di tali luoghi perduti. I fenomeni che causano l’abban- dono infatti, siano essi di tipo so- ciale, economico o culturale, pre- scindono dal giudizio di valore su ciò che viene lasciato e fermano la loro attenzione solo sulle ragio- ni scatenanti il processo, derivanti delle opportunità o delle motiva- zioni pragmatiche che lo giusti- ficano. Tale fase di recupero dei valori è quindi uno stadio neces- sario, di carattere introspettivo, di analisi, percezione e attivazione della memoria collettiva e indi- viduale e di presa di coscienza della storia (quella con la “s” mi- nuscola) vista attraverso il fluire ininterrotto delle tradizioni.

Altro momento fondamentale è quello che consente di riflettere e intervenire sulla attribuzione di nuovi contenuti, e cioè sull’iden- tificazione e definizione di prin- cipi, valori e sensi atti a colmare il vuoto causato dal progressivo abbandono. Vuoto fisico e fruiti- vo ma anche mentale e cultura- le; quindi la scelta di destinazioni d’uso e indicazioni funzionali ca- paci di adattarsi alle forme pri- vate del proprio contenuto e di restituirgli nuovi e attuali signifi-

cati. Questa fase è certamente la più complessa in quanto prevede una valutazione non settoriale ma pluridisciplinare: non esistono in- fatti soluzioni univoche capaci di soddisfare le problematiche connesse alla rivitalizzazione di tali luoghi se non derivanti dalla sintesi di analisi scaturenti da più punti di vista tra loro relazionati.

Infine vi è la fase operativa, o propedeutica alla progettazione, per la quale è necessario defini- re le strategie metodologiche atte a raggiungere gli obiettivi prefis- sati. Tale circostanza, sempre in evoluzione, negli ultimi anni ha prodotto alcune tra le riflessio- ni più interessanti: la distinzione concettuale tra recupero e restau- ro, l’indicazione di linee culturali condivise dalla critica quanto dal- la collettività, il contributo di tec- nologie innovative, la sensibilità verso la sostenibilità e la adegua- tezza delle soluzioni tecniche da adottare.

Le esperienze recenti rappre- sentano la materializzazione del crescente interesse verso il recu- pero dei caratteri distintivi dei luo- ghi attraverso la riappropriazione di tracce e testimonianze costru- ite, di spazi da riportare all’uso, nonché mostrano variegati ed interessanti approcci operativi, a volte anche divergenti, ma pur sempre criticamente validi e so- stenibili.

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Quello che invece appare con- traddittorio e a volte discutibile, dei casi realizzati e che a distanza di pochi anni palesa alcuni limiti, è il percorso che ha portato alla scelta di funzioni idonee e quindi l’attribuzione di significati innova- tivi capaci di rivitalizzare non in maniera temporanea, e soprat- tutto con coerenza, i manufatti storici e tradizionali, l’ambiente costruito e il territorio, su cui si è intervenuti. Scelte non sempre perfettamente ponderate, ovvero a volte accolte senza una neces- saria valutazione critica, hanno portato a dover oggi riflettere an- cora su tale tema.

Partendo infatti dalle ragioni dell’abbandono di tali centri mi- nori si è dato, troppo in fretta, per scontato che essi non potessero più rappresentare un adeguato luogo dove vivere, dove risiedere, il che ha comportato che gli inve- stitori, come anche le ricerche, si sono orientate verso l’identifica- zione di nuove e diverse funzioni compatibili con la forma dei luo- ghi. La mutazione di tali borghi in alberghi diffusi, in resort o in ogni caso in luoghi esclusivamente di vacanza, così come il tentativo di trasformarli in centri commerciali o in raffinate location per la pro- mozione di prodotti o manifatture particolari, non ha dato ovunque l’esito sperato. L’eccessiva proli- ferazione e, talvolta, errate valu-

Fig. 1 Aliano (Matera) Fig. 2 Aliano. I Calanchi

Fig. 3 Aliano. Il Caprone realizzato dagli studenti sfila per le strade del paese

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tazioni hanno creato il preoccu- pante fenomeno ora di mancato utilizzo del bene anche dopo il suo recupero materiale, ora di sovrapposizione di funzioni non sempre coerenti con lo spazio della preesistenza. Il problema della giusta destinazione d’uso non va infatti visto né misurato solo alla scala del manufatto edi- lizio o del tessuto urbano. La rica- duta di tale scelta va, per esem- pio, valutato verso la fruibilità del bene che non può essere interdet- ta a chi non è un utente diretto di tale funzione, le relazioni che si innescano con il contesto sociale del territorio circostante in quanto non può essere un luogo distinto o avulso dalle dinamiche com-

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