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89Il cantiere di restauro di Sant’Agostino alla Zecca in Napoli come “luogo” di conoscenza

Stefano Gizzi

miglior qualità? È il rosso rubino. Dove si trova e qual è il prezzo per piede?»)6. Nondimeno, nu-

merosi sono gli esempi di cantieri ri-iniziati come cambiamenti in corso per scoperte inattese: basti pensare a quello per la costru- zione dell’Auditorium romano di Renzo Piano, ove il rinvenimento di una villa rustica di età repub- blicana ha obbligato il progettista ad effettuare una variante che ha accolto il complesso archeologico all’interno della nuova architet- tura, con conseguenze senz’altro positive per l’opera. Ma anche in altri lavori più recenti, come in quelli condotti per la conservazio- ne della quattrocentesca Rocca Pia di Tivoli, il disvelamento di una scala “a lumaca” oblitera- ta ha condotto a rivedere sia il progetto, sia il cantiere appena avviato, nell’ottica di una valoriz- zazione di tale significativo ele- mento.

Beninteso, se è vero che le in- dagini, dettagliate e circostanzia- te, debbono sempre precedere la fase d’intervento, la successione teorico-operativa non è, però, mai univoca, nel senso che la comprensione prosegue in can- tiere con ritorni e rimandi conti- nui; è, anzi, spesso quest’ultimo a dettare soluzioni per la storia e vi- ceversa, in un intreccio comples- so. Dando, inoltre, per scontato che non possa esistere uno svol-

gimento rettilineo del genere “lettura preventiva - progetto - restauro” (se non ricadendo in posizioni ‘puriste’), né che l’i- dea propositiva possa derivare da una mera sommatoria di dati preventivamente acquisi- ti, occorre anche comprovare, in un progetto di restauro, la maggiore o minore comples- sità e i gradi di possibili ap- prossimazioni e di attuazione delle varie fasi attraverso pro- cessi più o meno complessi, che necessitano di ricorrenti rinvii e di verifiche circolari, tali da escludere una sequen- za ordinata a priori di opera- zioni singolarmente concluse. Emerge, quindi, la necessità di reiterate inversioni in rapporto al progetto e alla conoscenza: ma quest’ultima non può che incarnarsi in una cognizione storica (e critica)7.

Pur se ovvio e scontato, non appare inutile sottolineare come la prima specie di cono- scenza che occorra prevedere sia quella di tipo storico, sia a livello generale, sia in ambi- to particolare, partendo dalle varie fonti, orali, scritte, dalle ricerche archivistiche (presso fondi pubblici e privati), sia esaminando storie particola- ri, quali quelle delle religio- ni - come, appunto, nel caso specifico del campanile - o

Fig. 1 Napoli, Palazzo Donn’Anna. Laterizi di integrazione di Adolfo Avena

Fig. 2 Napoli, campanile della chiesa di Sant’Agostino alla Zecca. Una tassellatura di restauro in marmo nel listello sul cornicione

Fig. 3 Napoli, campanile della chiesa di Sant’Agostino alla Zecca. Una reintegrazione con laterizi gialli e con malta all’interno del paramento in mattoni originario

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dei contesti antropico-sociali. Come pure, appare eviden- te che una ulteriore e priorita- ria indagine conoscitiva deve essere quella compiuta grazie al rilievo del manufatto, come comprensione, e come esposi- zione critica, ma anche quale selezione di elementi utili. Na- turalmente, ciò vale anche per il tipo di grafici, di appunti, che debbono essere sempre personali, interpretativi, non- ché per la necessità di indagi- ni metrologiche, che possano servire per confrontare o meno attribuzioni, cerchie culturali dell’autore, nonché essere utili per individuare fasi successi- ve della fabbrica8. Così come

occorre comprendere se alcu- ni rilievi pregressi siano stati, in qualche modo, ‘forzati’ o ‘regolarizzati’ a seconda delle intenzioni dell’architetto che li ha compiuti (come quelli otto- centeschi del Letarouilly per i palazzi romani9 o dello Schin-

kel per l’Acropoli di Atene, che ‘normalizzavano’ la realtà per eliminare alcuni presunti difetti che possedevano, al contrario, una loro ragione, per adatta- menti a preesistenze o a ele- menti architettonici pregressi).

In questo senso, si possono condividere appieno le idee espresse da Arnaldo Bruschi, secondo cui qualunque rilievo,

nei suoi rapporti col restauro, ri- mane sempre ‘storicizzato’, «per- ché niente si può sottrarre alla storia, naturalmente entro limiti che possono essere variabili»10;

d’altro canto, «per rilevare un edi- ficio si deve capirlo, si deve com- prendere che cosa si sta rilevan- do, che significato può avere quel particolare. Non si può disegnare in modo meccanico, come una macchina, che non capisce quel- lo che sta fa facendo, e lo ‘riduce’ in maniera sbagliata. Tra l’altro, occorre ricordare che ci serviamo sempre, in un rilievo metrico, di mezzi grafici, e che non tutto è graficizzabile: siamo sempre di fronte alla riduzione della real- tà, a una sua interpretazione, a una sua rappresentazione: una parte della realtà, e solo una par- te, sarà quella disegnata. Certo, poi tutto è un’interpretazione: di questa realtà seleziono solo alcu- ni elementi, che mi sembrano più importanti, e che sono quelli che io rappresento»11.

In tale ottica, un rilievo (che è sempre operazione discreta e, dunque, non sistematica12) si

basa anche su schemi, su schiz- zi, su abbozzi, su canovacci, su annotazioni eseguite in cantiere, attraverso una restituzione che va effettuata senza eludere il contat- to ‘corporeo’ e quotidiano con il manufatto; ed è stato giustamen- te osservato come il rilievo stesso

rappresenti una base formante e fondativa dell’analisi storica13.

Esso va considerato unitamen- te allo studio delle tecniche, me- diante indagini non distruttive.

In tutto ciò, nel caso specifi- co del cantiere di restauro del campanile di Sant’Agostino alla Zecca, appaiono significativi le ricognizioni ed i rilievi delle bu- che pontaie, degli alloggiamenti, delle sedi di appoggio delle tra- vi, delle cavità, delle sporgenze e delle convessità, delle saldature e delle stagnature, delle staffe e delle briglie di rame, dei residui di impiombature, dei giunti, delle scarniture e delle levigature14; ma

anche di elementi architettonico- stilistici quali le modanature o i tori dei cornicioni in piperno o in calcare e in marmo bianco, o il genere di inclusi sia del piperno stesso sia della medesima mal- ta, nonché il tipo di lavorazione dei mascheroni apotropaici (qua- si pippeschi barocchi divertisse- ments15) posti all’imposta degli

archivolti.

Fondamentale e di grande in- teresse appare altresì lo studio dei restauri pregressi, di quelli precedenti all’intervento di Adolfo Avena, oltre a quelli condotti da lui stesso16 (nonché della possibile

datazione di altri interventi di dif- ficile reperimento nelle “perizie di spesa”, quali, ad esempio, le tas- sellature “ad elementi contigui” di

reintegrazione dei cornicioni in piperno, o quelle, in verità più limitate, in marmo bianco).

In questo senso, uno studio oculato sul tipo di materiale di interpolazione da lui ado- perato, ed in primo luogo dei mattoni impiegati, comparati a quelli dallo stesso utilizzati per il restauro del paramento di Palazzo Donn’Anna a Posilli- po17, può senz’altro fornire no-

tazioni interessanti, oltre alla conferma del suo particolare modo di intervento, a fronte della collocazione di altri in- serti laterizi (di dimensioni non canoniche e di color giallino) di difficile individuazione tem- porale.

Ugualmente attinente si pro- fila un approfondimento critico dei provvedimenti statici ‘stori- ci’, quali quelli effettuati dopo i vari terremoti del XVIII, XIX e XX secolo, iniziando dalla ricerca e dalla classificazione dei vari tipi di catene e di cerchiature messe in atto. In particolare, non appaiono ancora del tut- to chiarite le caratteristiche, il tipo e il genere delle catene in ferro del 1732, a seguito de- gli eventi sismici del 1688 e del 1694, e se ve ne siano di occulte, e quali esattamente gli inserti del duo Avena-Abatino del secondo decennio del No- vecento (con precipuo riguar-

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