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29Il cantiere, la storia, l’identità urbana

Alessandro Castagnaro

ve che «Amiens è prima di tutto un capolavoro di struttura. [...] Le chiese e le cattedrali costituirono senz’altro il centro della pratica dell’insegnamento di un mestiere e di un’arte – ma furono altresì luogo di riunione per la vita civile, sociale e commerciale della città, una specie di agorà o di forum al coperto, ragion per cui in alcuni casi esse arrivarono a sostituire integralmente gli edifici munici- pali»2.

Pur esistendo notevoli lacune storiografiche e carenza di mate- riale archivistico sulla formazione dell’architetto in periodo medie- vale, quei pochi documenti ritro- vati consentono di individuare il notevole grado di approfondi- mento e di studio che l’architetto dell’epoca svolgeva sia a livello preparatorio che durante il corso della progettazione e dell’esecu- zione dei lavori. Inoltre sono si- gnificative le notizie relative all’o- pera ed ai viaggi dei costruttori di cattedrali, come pure alcune informazioni sulla preparazione tecnica e teorica di esperti mu- ratori e carpentieri e di maestri i quali conobbero nozioni di geo- metria greca e di matematica araba.

Tuttavia il problema di dedurre un alzato dalla pianta restò sem- pre un nodo cruciale dell’intero iter progettuale e, se pure in qual- che caso fu risolto, rimase per lo

più geloso ‘segreto’ dei maestri muratori.

In epoca moderna i trattati as- sumono un ruolo fondamentale nella formazione dell’architetto e l’attesa che tormentava tanti ani- mi, sfociò presto in una rivoluzio- ne spirituale ed artistica tale da segnare l’avvio al Moderno. Tut- tavia, sia nella didattica specializ- zata sia nella didattica culturale, perdurò il prevalere dell’aspetto tecnico-pratico della formazio- ne dell’artista ed in particola- re dell’architetto. Tant’è che lo stesso Michelangelo compì il suo apprendistato a bottega presso il Ghirlandaio; quando egli abban- donò le “lettere” per la bottega «dal padre e da fratelli del padre, i quali tal arte in odio avevano, ne fu mal voluto e bene spes- so stranamente battuto; a quali come imperiti dell’eccellenza e nobiltà dell’arte, parea vergogna che’ella fosse in lor casa»3. Ma il

cantiere, come trasposizione pra- tica di fermenti ed istanze cultura- li delle varie epoche, ha segnato in ogni tempo l’evoluzione del gusto e le diverse trasformazioni urbane. Dalla prima cupola del- la Chiesa di S. Maria del Fiore a Firenze (1418-36) – uno dei più impegnativi cantieri del tempo – espressione dell’ingresso dell’Era Moderna con il positivo connubio tra antico e nuovo, Messer Fi- lippo Brunelleschi diede l’avvio,

nella città-guida, all’affermazio- ne del primo gusto rinascimenta- le, quello dell’Umanesimo e del conseguente abbandono del Go- tico, ritenuto espressione dell’arte barbara. Secondo le parole del Filarete egli aveva fatto risorgere “questo modo antico dell’edifi- care” che sarebbe dovuto essere universalmente adottato in luogo dell’usanza “moderna”.

Nella stessa misura i cantieri del Cinquecento romano – che videro impegnati Leonardo, Bramante, Antonio da Sangallo il Vecchio e il Giovane, Giacomo della Porta, Domenico Fontana e tanti altri – segnarono il passaggio della sin- tesi delle arti dalla Firenze medi- cea alla Roma dei Papi. Come è stato notato: «Il contesto storico romano non ha nulla in comune con quello borghese industriale, mercantile di Firenze; né la città eterna godette di quella continu- ità che caratterizzò il passaggio fiorentino dal Medioevo al Rina- scimento. Quando i papi ristabili- rono la loro sede a Roma, questa era un immenso cumulo di rovine e il loro disegno può concentrar- si in quattro punti fondamentali: riportare la città agli splendori dell’impero; fortificarla militar- mente; effettuare una sistematica opera di restauro; concepire il rinnovamento dell’intera città in funzione delle esigenze e del pre- stigio della Chiesa»4. Il tutto con

un unico grande cantiere esteso nell’intera Roma del tempo.

Il sussistere delle “botteghe for- mative“ rimase come esperienza cantieristica ed operativa per tut- to il ‘600, ciononostante si fece più evidente il notevole divario formativo tra aspetto pratico e aspetto teorico con conseguen- te mancanza di fusione tra loro. Già nel 1567 Philibert De l’Orme aveva pubblicato un trattato di architettura con la prima esposi- zione sul ruolo dell’architetto di- stinguendo il “buon architetto”, che unisce la teoria e la pratica, da coloro che ne fanno una que- stione di mestieri (maestri-mu- ratori e maestri-carpentieri che hanno solo pratica) e da color che hanno solo teoria come qual- che pittore o notaio: «Oggigiorno vi sono pochi veri architetti […] perché la maggior parte di colo- ro che si attribuiscono tale titolo devono essere piuttosto chiamati solo “maestri-muratori”»5.

Anche nel periodo della rivolu- zione industriale (1760-1830) le condizioni storico-sociali crearo- no diverse situazioni di sviluppo per l’architettura e per l’urbani- stica moderne in quanto queste due discipline furono influenza- te dai prodromi del liberalismo, dell’industrialismo, della rivolu- zione tecnologica, del socialismo utopistico, del marxismo e di tut- ti quei movimenti che poi si svi-

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lupparono appieno nell’800. Le innovazioni seguite alla prima rivoluzione industriale resero ne- cessario istruire gli architetti sul- la qualità dei nuovi materiali e, nonostante l’accademia francese avesse mirato a formare e con- trollare l’allievo architetto, nella seconda metà del ‘700 si comin- ciò a verificare una netta cesura tra la preparazione prettamente artistica e quella prettamente tec- nica. In quelle scuole politecniche emerse maggiormente il rappor- to diretto tra maestro e allievo sia come forma di apprendistato sul cantiere, sia come lezioni teoriche tenute molte volte negli studi pro- fessionali.

Un grande cantiere espressio- ne della rivoluzione industriale, ed in particolare dell’architettura dell’ingegneria, fu quello che si costituì a Chicago dopo l’incen- dio del 1871 quando la città – to- talmente distrutta ma comunque rappresentante una concentra- zione di grandi interessi – in poco meno di un ventennio fu ricostrui- ta. Vi operarono dapprima un gruppo di tecnici provenienti dal Genio Militare, successivamente si formò la cosiddetta Scuola di Chicago che ebbe quale iniziato- re l’ingegnere-architetto William Le Baron Jenney la cui prepara- zione era stata curata in Francia presso l’Ecole Polytechnique. A Chicago egli ebbe come allievi

nei suoi cantieri e nel suo studio professionale Martin Roche, Wil- liam Holabird, Daniel Burnham e Louis Sullivan che, unitamen- te alla produzione di un altro grande architetto, Henry Hobson Richardson, avviarono la nasci- ta del grattacielo, una sorta di estensione altimetrica illimitata. Questo grande cantiere non solo divenne una scuola per i giovani architetti del tempo ma caratteriz- zò un nuovo paesaggio urbano espresso dalla verticalità.

Anche con la nascita delle fa- coltà di architettura in Italia si ebbe un impulso alla formazione per opera di grandi cantieri. In- fatti la Scuola Superiore di Archi- tettura di Roma, nata nel 1919 e quella di Napoli, nata nel 1928 entrambe divenute facoltà nel 1935, ebbero a disposizione per i docenti, gli allievi e per i primi laureati due grandissimi banchi di prova, il caso di due città di fondazione: l’E42 a Roma e la Mostra Triennale delle Terre d’Ol- tremare a Napoli. Questi diven- nero, in particolare per quanto riguarda la scuola di Napoli, una palestra esercitativa per architet- ti noti e meno noti, napoletani e non, e per i primi laureati della neofondata facoltà di architettu- ra di Napoli essa rappresentò la prima grande occasione di impe- gno professionale. Fu proprio tale stretta collaborazione fra docenti,

architetti e studenti che non solo consentì l’ultimazione dell’intero complesso nel nuovo quartiere di Fuorigrotta in poco più di due anni ma collaborò a formare un’intera generazione di profes- sionisti che hanno poi prodotto il meglio di quanto realizzato a Na- poli nel secondo dopoguerra.

In tempi recenti il divario tra la formazione teorica nelle facoltà di architettura italiane e quell’a- spetto pratico, che sinteticamen- te abbiamo cercato di tracciare in questo scritto, come elemen- to complementare e necessario per una formazione completa, è dovuto anche e soprattutto a quell’immobilismo che ha rallen- tato o bloccato qualsiasi trasfor- mazione urbana e, quindi, ha portato all’assenza di cantieri.

Note:

1_Cfr. A. Castagnaro, La formazione dell’architetto. Botteghe accademie facoltà esperienze architettoniche, Liguori, Napoli 2003; G.Coppola, L’architecte et le project de construction au bas Moyen Age, in L. Callebati (a cura di), Historie de l’archi- tecte, Flammarion, Paris 1998, p.49. 2_H. Focillon, L’arte dell’Occidente, [1938], Einaudi, Torino 1987, p.152. 3_Statistiche sull’estrazione sociale degli artisti italiani tra 1420 e 1540 in P. Burke, Culture and Society, cap. III, nota 2. 4_R. De Fusco, Mille anni d’architettura in Europa, Laterza, Napoli 2007, p. 139. 5_Ph. De l’Orme, Premier tome de l’archi- tecture, Paris 1567.

Napoli è, come è noto, luogo profondamente stratificato il che implica che l’interazione con l’an- tico divenga, molto di frequente, ineludibile conditio sine qua non

laddove si progetti e si operi nel e sul costruito.

Come ogni attività complessa, il cantiere del restauro architetto- nico coinvolge numerose figure e, più in generale, competenze che concorrono al raggiungimento del risultato finale. Ma, in rela- zione a ciò, si può affermare che esista un ‘sistema’ napoletano di competenze in ambito restaura- tivo? E che esistano nessi tra gli attori coinvolti? E’ ravvisabile una chiara identificazione di ruoli e di competenze? Ovvero una visibi- lità del fare restaurativo entro il panorama edilizio partenopeo?

Ciascuno di tali quesiti non am- mette risposte univoche quando ci si sposti dal piano teorico a quel- lo del pratico operare. Dovreb- be, in primo luogo, identificarsi un preciso ambito di competen- ze, specialisticamente avvezzo al confronto con la materia storica: un ambito che, dalla formazione universitaria in campo architetto- nico e ingegneristico si estenda a quella postlaurea − attraverso, in particolare, la Scuola di Specializ- zazione in Beni architettonici e del Paesaggio dell’Ateneo Fridericia- no nonché attraverso il dottorato di ricerca − intesa quale luogo di Il cantiere di restauro e la città Valentina Russo

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