La scenografia è l’arte di crea- re l’ambiente di una rappresenta- zione teatrale, di una ripresa ci- nematografica o di un spettacolo televisivo.
Dal greco skené (scena) e graphìa, in ambito teatrale il ter-
mine ha assunto solo nel Rinasci- mento il suo attuale significato, ovvero quella di spazio oltre il si- pario nel quale si svolge l’azione, spazio effimero e illusorio che si- mula ambientazioni e profondità maggiori di quella effettivamente disponibili sul palco.
La scenografia teatrale è un progetto artistico, che si realiz- za su due binari convergenti: il primo è quello della calibrata composizione pittorica di un’im- magine prospettica suggestiva, il bozzetto, fatto di forme, luci, co- lori e ombre. Il secondo binario invece è fatto di spazio, materia, deformazioni prospettiche, trucchi e artifici: la riuscita di una buona scenografia teatrale si realizza nella coincidenza tra l’immagine progettata per il bozzetto, realiz- zata in prospettiva per simulare la visione fisiologica degli spettatori,
e quella percepita dall’osservato- re privilegiato, tradizionalmente posto nel palco reale del Teatro d’opera, per il quale il bozzetto deve necessariamente divenire un enorme quadro a tre dimensioni collocato nello spazio al di là del sipario.
La scenografia teatrale è fatta di volumi solidi, superfici dipinte, profondità, aria, luce e colore, e della loro trasformazione ai fini illusori; risulta fondata quindi su un vero e proprio progetto archi- tettonico, compositivo e struttura- le, dove la funzione non è quella dell’abitare permanente ma della più fugace illusione visiva, com- plesso processo compositivo che spesso viene trascurato dal solo commento sulla qualità artistica del bozzetto, che finisce per ridur- si a mera creazione pittorica se non analizzata in funzione della sua traduzione in termini spazia- li lungo la profondità del palco, nell’insieme di tutte le soluzioni tecniche adottate nel passaggio dalla bidimensionalità del qua- dro alla terza dimensione del pal- coscenico.
Ed è proprio l’abilità dello sce- nografo (e dello scenotecnico) nel trovare tali ingegnose soluzioni che rendono possibile la coincidenza tra la scena percepita e l’immagi- ne progettata nel bozzetto.
Storicamente, proprio attra- verso le capacità illusorie della rappresentazione prospettica ap- plicata alla scenografia teatrale, sono state testate, sperimentate e accresciute le possibilità del di- segno di architettura e dell’archi- tettura stessa, di presentarsi ed essere rappresentata, come testi- monia l’ampia trattatistica rina- scimentale in materia.
ll ciclo di seminari Cantieri dell’illusione si pone dunque l’o- biettivo di riammagliare quell’an- tico legame, oggi spesso perduto, tra la progettazione architettoni- ca e quella per il teatro, e dun- que costituisce un campo di in- teressante sperimentazione del progetto architettonico, oltre a fornire agli studenti affascinanti sbocchi professionali per il loro futuro lavorativo.
Alessandra Pagliano
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La sfidaQuando Giulia Minoli e Laura Valente, rispettivamente coordi- natrice e responsabile scientifica del museo ci hanno contattato per coinvolgerci nel progetto MEMUS, nel quale uno dei punti fonda- mentali, ruota attorno alla possi- bilità di valorizzare e far conosce- re più diffusamente lo sterminato materiale, dell’Archivio del Teatro San Carlo, parte del quale deci- samente ‘immateriale’, visto la natura della musica, abbiamo visto subito la possibilità di mette- re ancora una volta alla prova le nostre idee sui musei immateriali e di creare un luogo stimolante e immersivo, dove il ‘bene’ esposto è decisamente intangibile.
Giulia Minoli e Laura Valen- te, ci hanno parlato inoltre della possibilità di non esporre con- temporaneamente tutto il mate- riale dell’Archivio ma di pensare ad un luogo in grado di ospitare in successione, tematiche, argo- menti, accadimenti differenti per tempo e motivazioni e ci hanno comunicato la loro intenzione di dedicare l’apertura del MEMUS al rapporto tra arte e musica, par- tendo dai materiali visivi e sonori dell’archivio che si riferiscono ai progetti di regia e scenografici di alcuni dei molti artisti interna- zionali, che hanno rappresentato emblematicamente il rapporto tra Arti visive e il Teatro San Car-
MEMUS – Museo Archivio del Teatro San Carlo Leonardo Sangiorgi
lo e proponendo infine a Studio Azzurro di rivisitare liberamente questi materiali attraverso un ul- teriore realizzazione originale che ne operasse un’ultima sintesi. An- selm Kiefer con Elektra di Strauss,
William Kentridge con Il flauto magico di Mozart, Giulio Paolini
con la Valchiria di Wagner, Brice
Marden con Orfeo e Euridice di
Gluck, Mimmo Paladino con Tan- credi di Rossini e infine Valerio
Adami con Capriccio di Strauss
sono diventati così i nostri com- pagni di viaggio in questa parti- colare sfida.
Le suggestioni
Abbiamo immaginato uno spa- zio, con una grande e al tempo stesso discreta presenza multime- diale. Abbiamo immaginato una multimedialità fortemente con- notata dalla narrazione, in modo tale da porre il visitatore, non con un ‘punto di vista’ rispetto all’o- pera esposta ma con un suo per- sonale e intimo ‘punto di vita’.
Abbiamo pensato insomma che l’approccio generale del progetto espositivo si centri e si evidenzi attraverso il ‘mettere in scena’ materiali visivi dalla natu- ra differente e fisicamente molto diversi fra di loro e che questa ‘macchina’ multimediale si con- noti visivamente con un sempli- ce segno forte e con un grande grado di flessibilità, nella gestio-
ne degli spazi, nella proposta dei contenuti e nella varietà della loro fruizione.
Abbiamo pensato al progetto museale non solamente finalizza- to all’occasione del primo evento ma abbiamo immaginato il no- stro progetto per un museo nella sua piena attività.
Lo spazio
Un ambiente non buio ma la cui luminosità naturale ed artifi- ciale può essere controllata, uno spazio le cui dimensioni e forme fisiche non sono palesate chia- ramente ma un po’ nascoste e mascherate, attraverso l’uso di un colore-ambiente dalla tonalità molto bassa, per favorire la di- mensione visionaria e sognante, nel quale vogliamo calare il “visit- attore”.
Il segno forte
Nella penombra dello spazio, emerge come segno forte la su- perficie modulata del pavimento, rivestito di un tavolato di legno che richiama quello di un pal- coscenico. Questo ‘palcoscenico sospeso’, leggermente staccato dalle pareti, alloggia e nascon- de inoltre dei tubi fluorescenti, per una diffusa luce d’ambiente e di servizio. Il pavimento da così l’impressione di galleggiare lette- ralmente, sospeso nella luce che sembra sostenerlo.