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33il confronto quotidiano con l’e-

sperienza della conservazione − attraverso quanto si effettua nei cantieri di restauro archeologico, su manufatti d’arte e d’architet- tura − appare oggi ancora poco diffuso entro la densa trama della città.

A partire dal 2003, anno in cui Richard Florida1 ha pubblicato

“L’ascesa della nuova classe cre- ativa”, gli studi di natura econo- mica hanno iniziato a porre una particolare attenzione sul tasso di creatività che i vari sistemi terri- toriali riescono ad esprimere. Si tratta di un approccio che assi- mila la creatività non ad un atto istintivo ed immotivato, quanto ad una forma di sapere codifi- cato e diffuso coincidente con la cosiddetta economia della cono- scenza.

Essa si identifica con la presen- za di un capitale umano fatto di figure professionali evolute che spaziano dalla matematica all’in- formatica, dall’architettura all’in- gegneria, dalle scienze alle arti espressive.

Una delle specificità dell’anali- si di Florida è la sua capacità di associare il concetto di creatività a quello di luogo, ponendo l’at- tenzione su quelle aggregazioni sociali e produttive che rappre- sentano il tratto più evidente di una qualunque organizzazione sistemica strutturata intorno all’e- conomia della creatività.

Non a caso una delle più ri- correnti lamentazioni circa le ina- dempienze ed i ritardi del Meri- dione, di cui Napoli rappresenta il simbolico concentrato, è proprio sulla sua incapacità di strutturar- si come sistema e, certamente, il

centro nevralgico di questa con- siderazione negativa si concentra intorno al sistema per eccellenza che è quello produttivo.

Nella stessa esperienza comu- ne dei tanti turisti che visitano la città, Napoli è vissuta come la capitale di una creatività che sembra escludere totalmente la s dimensione produttiva e con essa quella del lavoro.

Eppure questa considerazione, si manifesta in tutto il suo pre- giudizio, se solo ci si avventura in uno dei tanti vicoli della città, in cui la dimensione stradale è caratterizzata da una laboriosità incessante, fatta di una continua sequenza di piccole botteghe in cui la dimensione del lavoro è ancora antica.

Ma il dato visivo che risulta di tutta evidenza è la precarietà, al- tro termine che appartiene alla gergologia territoriale napoleta- na e che potremmo considerare come il polo opposto del termine sistemico.

Nella realtà napoletana, infat- ti, la produzione nasce da una condizione contraddittoria in cui prevale il sommerso ed una dimensionale aziendale micro- scopica fatta prevalentemente di terzisti che, con velocità, si spo- stano da una produzione all’altra inseguendo, con spirito ‘cinese’, commesse che permettono di galleggiare, ma mai realmente

di emergere da una condizione che potremmo definire di “crisi costante”.

Ma accanto a quello sin qui descritto, esiste anche un altro mondo, fatto di aziende che tena- cemente, attraversando le gene- razioni, sono riuscite a costruire un’altra storia fatta di una eccel- lenza produttiva capace di com- petere ai più alti livelli sui mercati internazionali.

Ciò che sembra mancare tra questi due mondi è proprio la connessione tra le parti, quel tessuto di relazione che, elevan- do le singole circostanze ad una dimensione sistemica, rende pos- sibile la coesione di impegni ed, infine, lo sviluppo collettivo.

Questo breve testo vuole dare un contributo proprio alla com- prensione del sistema produttivo territoriale napoletano e campa- no, sviluppando alcune osserva- zioni sulle opportunità e sui limiti che esso presenta in relazione all’azione delle pratiche proget- tuali.

Il design italiano infatti, dopo la gloriosa stagione dei primi de- cenni del dopoguerra caratteriz- zata da una preminente relazione con la grande industria e con set- tori merceologici specifici, si è an- dato progressivamente aprendo verso nuovi fenomeni produttivi e stili di vita, adattandosi ai cam- biamenti prodotti nella cultura Napoli tra produzione e creatività

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industriale ed in quella del pro- getto. Uno di questi è certamente il confronto con le opportunità of- ferte dai diversi sistemi territoriali che si aprono verso quello che è stato definito come il Quarto Ca- pitalismo2.

La tipica organizzazione terri- toriale italiana, legata alla picco- la e media impresa, deve il suo successo ad una costante ricer- ca della qualità produttiva che si esprime diffusamente attraverso uno stretto legame con il design e con la sua capacità di promuove- re innovazione.

Tornando quindi alla nostra re- altà territoriale, si può certamente affermare che il nucleo principale dell’industria campana, e più in generale di quella meridionale, è costituito da realtà produttive di piccole dimensioni, sviluppatesi su una base familiare, prevalen- temente come evoluzione di una precedente tradizione artigianale. La struttura aziendale risulta for- temente condizionata da questa origine che spesso si traduce in una scarsa attitudine alla piani- ficazione strategica ed all’inno- vazione, ma che comunque for- nisce una straordinaria capacità di adattarsi alle grandi trasfor- mazioni economiche. Si tratta di una cultura imprenditoriale che affonda le sue radici storiche nel modello dell’economia del vico- lo, nei circuiti del subappalto e

dell’informale, di un’organizza- zione basata sulla contiguità ter- ritoriale e sui vincoli di solidarietà sociale e familiare.

Un caso esemplare di questa modalità produttiva è data dal comparto tessile e dell’abbiglia- mento nel quale sono presenti veri e propri “sistemi produttivi locali” che in misura maggiore o minore sono ancorati ad attività sommerse.

Esempi di tali aggregazioni produttive si ritrovano nei territo- ri a nord del capoluogo e nella zona vesuviana, nell’area di Po- sitano e in generale sulla costiera con il comparto dei costumi da bagno e del casual stagionale.

In questi casi siamo in presenza di imprese capaci di adeguarsi ra- pidamente alle esigenze del mer- cato e di sviluppare un particola- re adattamento ad un ambiente produttivo fortemente competitivo a livello globale. Aziende che, evitando di maturare una propria identità visiva, hanno convenien- za ad un anonimato che permette di adattarsi ad un mercato che cambia continuamente, piuttosto che darsi una visibilità che impone scelte coerenti e forti investimenti. L‘instabilità dei mercati e dei pro- dotti, per questo tipo di aziende, paradossalmente rappresenta un connotato strutturale che si espri- me attraverso la capacità di di- versificare continuamente la pro-

duzione, variando velocemente il catalogo dei prodotti, i mercati e gli interlocutori. E’ un fenomeno, spesso ai margini della legalità, tendenzialmente ‘sommerso’ che, puntando alla ‘non esposizione’ dell’azienda e del prodotto, rap- presenta un grosso impedimento all’applicazione delle potenzialità offerte dal design che, per sua natura, porta ad una ‘sovraespo- sizione’ del prodotto e, con esso, del produttore stesso.

Andando più a fondo nell’a- nalisi delle specificità del sistema territoriale, bisogna affiancare ai fenomeni descritti in precedenza, quelle realtà produttive, in cui la componente della ricerca tecno- logica è prevalente.

Sino ad un recentissimo pas- sato il sistema produttivo cam- pano si è strutturato intorno ad aspettative di sviluppo concen- trate su un’industria “pesante”, prevalentemente meccanica ed in particolare automobilistica ed aeronautica, il cui peso è andato progressivamente ridimensionan- dosi3.

Oggi, però, assieme ad azien- de originate da un’imprendito- ria nazionale, quali ad esempio l’Alenia Aermacchi, il comparto automobilistico di Pomigliano, il centro di ricerca sulle tecnologie avanzate Elasis, l’AnsaldoBreda, emergono aziende frutto di una imprenditoria locale che rappre-

sentano delle punte di eccellenza nel panorama nazionale. Esem- pi provenienti dalla cantieristica come la Fiart Mare e molte altre legate alla nautica da diporto, un nutrito gruppo di aziende del settore del packaging, come la Seda, contribuiscono a delineare un’area dell’imprenditoria loca- le fortemente dinamica, ad alto contenuto tecnologico e speciali- stico, in cui l’apporto della cultura del design è determinante nello sviluppare nuovi scenari tecnolo- gici, di prodotto e di mercato.

Un’ulteriore opportunità pro- gettuale è offerta da un nuovo modello di sviluppo regionale basato sul turismo, attraverso produzioni enogastronomiche di qualità e modalità evolute di frui- zione dei beni culturali.

Si tratta di un campo che coin- volge in primo luogo la grafica, il packaging, la comunicazione territoriale, ma che può riguar- dare anche specifiche soluzioni di prodotto.

Un ultimo settore da introdurre è quello più specificamente arti- gianale. Si tratta del settore, tra quelli precedentemente indicati, ove più ridotta appare la neces- sità di innovazione e che, però, si sta ridefinendo secondo parame- tri che lo pongono come modello per il progetto contemporaneo.

Riconoscere nell’artigianato una delle componenti di conoscenza

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