gli shader naturali principali quali acqua, condizioni di luce e condi- zioni atmosferiche;
- nella possibilità di calcolare in real-time l’Ambient Occlusion e le ombre proprie e portate, rag- giungendo alti gradi di verosimi- glianza.
Dal punto di vista della multi- canalità e dell’estensibilità verso devices esterni, si elencano al- cune delle esperienze effettuate da gruppi di ricerca ed universi- tà internazionali che, attraverso-
viewers standards o quelli gene-
rati da terze parti, acconsentono a:
- visualizzare in stereoscopia13;
- adottare dispositivi aptici (data gloves, etc.)14;
- utilizzare device di controllo in natural interaction (sensori infra- rosso, Kinect, brain controllers, webcam tracking, etc.)15;
- utilizzare device di brain controls per pilotare il proprio avatar16;
- generare environments utili per
grandi pareti immersive e caves;
- animare le espressioni facciali del proprio avatar attraverso mo-
tion capture da webcam17;
- usare la Realtà Aumentata per visualizzare gli avatar dentro l’ambiente reale18.
Concludendo, pertanto, questa breve e non certo esaustiva pano- ramica sullo stato dell’arte del 3D multicanale per il Virtual Cultural
Heritage, possiamo affermare che già esistono gli strumenti utili per generare contenuti e far parteci- pare in modo attivo l’utente e lo strumento informatico in una vi- sione cibernetica tipica della pros- sima configurazione 3.0 del web.
I metaversi potrebbero divenire presto l’espressione efficace ed efficiente di questa nuova visione. Note:
1_Karwowski, Waldemar, “International encyclopedia of ergonomics and human factors”, CRC Press, 2006.
2_Il comportamentismo1 di John Watson e Burrhus Skinner.
3_La psicologia della Gestalt (dove la paro- la tedesca Gestalt significa forma, schema, rappresentazione), detta anche psicologia della forma, è una corrente psicologica ri-
guardante la percezione e l’esperienza che nacque e si sviluppò agli inizi del XX seco- lo in Germania (da http://it.wikipedia.org/ wiki/Psicologia_della_Gestalt).
4_Koffka e Köhler.
5_Grazie ai lavori multidisciplinari dello psi- cologo E.C.Tolman, del linguista N. Chom- sky, degli psicologi J. Piaget e J.S.Bruner. 6_F. Varela, E. Thompson, E. Rosch, The Embodied Mind: Cognitive Science and Human Experience, MIT Press, Cambridge (MA) 1991, p. 328.
7_G. Bateson, Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano 1977.
8_http://it.wikipedia.org/wiki/Gregory_ Bateson
9_Intendendo con 3D non solo la stereo- scopia, ma più in generale le più diffuse produzioni in computergrafica, i rendering, le applicazioni interattive immersive, etc.. 10_Stiamo parlando delle applicazioni di Aumented Reality o Mixed Reality.
11_P. Levy, L’intelligenza collettiva. Per un’an-
tropologia del cyberspazio, Feltrinelli, Milano 1996. Levy è l’autore moderno che più di altri ha sviluppato il concetto in chiave cibernetica. I riferimenti originali in chiave psicologica e sociologica sono da ascriversi a Herbert Spen- cer (con il trattato Principi di sociologia del 1876-1880), Pierre Teilhard de Chardin (con il concetto di noosfera), H.G. Wells (con il sag- gio World Brain del 1936-38) e successiva- mente ai lavori dei teorici Tom Atlee , Douglas Engelbart, Cliff Joslyn , Ron Dembo.
12_D. De Kerkhowe, Connected Intelligen- ce: the arrival of the web society, Somerville House Publishing, Toronto 1997.
13_http://sl.daleglass.net 14_http://sirslab.dii.unisi.it/public/paper/ depascale2008sl.pdf 15_http://www.youtube.com/watch?v=2t5 2gkAwJq8&feature=related 16_http://nwn.blogs.com/nwn/2011/08/ brain-computer-interface-second-life.html 17_http://sl.vr-wear.com/contribute 18_http://arsecondlife.gvu.gatech.edu
132
Cos’è un museo virtuale?
Come definire un museo vir- tuale è una questione tuttora aperta, trattandosi di un concet- to relativamente giovane ma che fa riferimento a una realtà assai vasta. Oggi con questo termine si tende a indicare una realizzazio- ne divulgativa in qualche modo connessa con la ricostruzione di- gitale di paesaggi e monumenti.
Mentre le tecnologie digitali rappresentano un semplice stru- mento per la realizzazione di qualcosa di più ampio, potrem- mo invece caratterizzare il museo virtuale per l’approccio narrativo utilizzato per comunicare deter- minati contenuti.
Il grande potere dell’uso delle tecniche di narrazione in un mu- seo sta nella capacità di costruire nessi logici e cognitivi fra infor- mazioni che altrimenti sarebbero slegate, almeno per chi non pos- segga un’approfondita cultura storica, stimolando l’interesse e l’apprendimento (Antinucci 2004; 2007).
Possiamo sintetizzare in tre ele- menti i fattori chiave di un museo virtuale: emotività, interazione, attendibilità. Con il primo sotto- lineiamo il fattore narrativo, con il secondo mettiamo a fuoco l’a- spetto partecipativo, di coinvolgi- mento degli utenti, non più sem-
I musei virtuali e la ricostruzione del paesaggio Augusto Palombini
plici spettatori passivi, e con l’idea di attendibilità mettiamo l’accento sul rigore scientifico della restitu- zione, che comporta peraltro pro- blemi non banali di natura meto- dologica sulla gestione dei diversi livelli di certezza.
Questo aspetto suscita tradi- zionalmente ricorrenti discussioni e diffidenza in ambito scientifico proprio per il rischio connesso ad un’idea di narrazione che in ta- luni casi può tramutarsi in inven- zione. Ma un simile timore trova ragion d’essere in un equivoco di fondo: la confusione fra il con- cetto di narrazione come oggetto e come tecnica.
La narrazione intesa come og- getto suscita facilmente i timori di inattendibilità, ma se invece pensiamo a questo termine come a una tecnica comunicativa, ap- plicabile a qualunque contesto, è evidente che l’attenzione per l’attendibilità scientifica deve spostarsi sul merito dei concetti da esprimere e non sulla tecni- ca per farlo. In questo modo si può comunicare qualunque ar- gomento, e la sua attendibilità è una questione che si pone su un piano diverso.
A buona ragione possiamo quindi sottolineare l’importan- za, l’efficacia e l’utilità dei musei virtuali per la comunicazione del
Patrimonio, efficacia dimostrata anche dall’incremento di visi- tatori quando al museo fisico si affianca quello virtuale, con o senza l’apporto digitale (Palom- bini 2012).
La base Ecologica
In generale, la realizzazione di un terreno virtuale, cioè di uno scenario ricostruttivo, si può sud- dividere in due parti: la creazione della base ecologica, cioè del pa- esaggio naturale, e quella delle parti architettoniche (tutto ciò che rappresenta costruzioni realizzate dall’uomo). Queste due operazio- ni richiedono strumenti e processi di lavoro diversi. In questa sede daremo una sintetica descrizione della prima, mentre la seconda è trattata singolarmente altrove (cfr. D. Ferdani in questo volume).
Un passo iniziale importante, anche se non strettamente essen- ziale, è la creazione di un siste- ma informativo geografico (GIS) che contenga tutte le informazio- ni disponibili sul territorio in base alla loro posizione geografica. Ciò costituirà la base per realiz- zare l’elemento fondamentale di partenza, e cioè un modello di- gitale del terreno (DEM): si tratta di una rappresentazione digitale che riproduce la geomorfologia del territorio, con i suoi dislivelli.
Fig. 1 I musei italiani nel tempo
Fig. 2 Paesaggio pleistocenico di Casal dè Pazzi, Marco Di Ioia. Ricostruzioni paesag- gistiche ottenute con due fra i più comuni motori di generazione di paesaggi: VNS e Vue, tratte da progetti del CNR-ITABC