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CooRdinatoRi I.A. Rubino, A. Troisi

l’esplorazione metabolica del cervello in vivo nello studio dell’aggressività normale e patologica

C. Gentili, M. Guazzelli

Dipartimento di Psichiatria, Neurobiologia, Farmacologia e Biotecnologie, Università di Pisa

La ricerca sul comportamento violento coinvolge dif- ferenti branche del sapere. Il pensiero filosofico, psi- cologico ed etiologico si sono ad esempio interrogati sulla natura dell’aggressività, in che misura sia una “pulsione” naturale e sulle dinamiche che conducono ai conflitti violenti tra le persone. L’interesse dello psi- chiatra d’altro canto è soprattutto volto alla compren- sione e al trattamento del comportamento aggressivo che in alcune condizioni psicopatologiche conduce agli estremi della violenza auto e eterosoppressiva. La ricerca nell’ambito delle neuroscienze ha aperto nuo- ve prospettive per la comprensione del comportamento aggressivo, fornendo la base per affermare una sostan- ziale continuità tra la “normale” reazione aggressiva e il comportamento violento presente talvolta in alcuni disturbi mentali. Uno studio del nostro gruppo ha, per esempio, evidenziato che nel comportamento violen- to, ancorché immaginato, l’attività delle aree orbito- frontali è fortemente inibita rispetto alla condizione non aggressiva di controllo. Questo risultato, ottenuto nei soggetti sani, è perfettamente compatibile con i da- ti provenienti dalla neuropsicologia che suggeriscono come una lesione delle stesse regioni induca ad un comportamento violento e, più in generale, disinibi- to. Anche studi PET, condotti su assassini e su pazienti psichiatrici violenti ed impulsivi, evidenziando una ri- duzione del metabolismo cerebrale a riposo di queste stesse regioni, forniscono un ulteriore tassello della correlazione tra comportamento e attività di network cerebrali. Inoltre nella modulazione dell’attività di questa regione sembra giocare un ruolo molto impor- tante il sistema serotoninergico. Diversi studi arrivano al risultato concorde che una minore disponibilità re- cettoriale serotoninergica (in particolare il recettore 5HT1A) nella corteccia prefrontale-orbitomediale si associa ad una maggiore tendenza all’aggressività e ai tentativi di suicidio.

L’insieme di questi dati inizia a rendere concreta la pos- sibilità di delineare un modello biologico per la psico- patologia che auspicabilmente potrà non solo contribui- re alla conoscenza del funzionamento psicologico, ma anche avere effetti positivi sulle possibilità di intervento terapeutico sul paziente.

Il paziente psichiatrico non autore ma vittima di violenza

D. De Ronchi

Istituto di Psichiatria, Università di Bologna

Si parla molto sui media della presunta pericolosità dei pazienti con gravi malattie mentali. Al contrario sareb- be importante iniziare ad affrontare il tema del paziente psichiatrico non autore ma vittima di violenza, come chiaramente sottolineano recenti papers (Choe et al., Perpetration of Violence, Violent Victimization, and Se- vere Mental Illness: Balancing Public Health Concerns, Psychiatric Services, 2008).

Ogni 1.000 pazienti con gravi patologie psichiatriche vengono riportati 168 episodi di vittimizzazione violen- ta all’anno, oltre quattro volte il tasso della popolazione generale. Ancora Brekke et al. (2001) hanno evidenziato che fra le persone con schizofrenia solo il 6% hanno avuto contatti con la polizia per “aggressioni verso gli altri” e il 34% hanno riportato di essere stati oggetto di violenza. Brunette and Drake (1997) avevano ottenuto simili risultati: solo il 6,4% dei loro pazienti erano stati aggressivi verso altre persone nell’ultimo anno, mentre il 19,8% erano stati vittime di violenze.

Nella relazione che presenterò in questo Congresso, vorrei lanciare le basi per uno studio multicentrico ita- liano sul paziente con gravi malattie mentali non auto- re ma vittima di violenza. Verranno presentati i metodi della ricerca e le unità italiane già attive.

Trauma e aggressività

C. Niolu

Cattedra di Psichiatria, Dipartimento di Neuroscienze, Università “Tor Vergata” di Roma

Intendendo per aggressività un aspetto naturale all’es- sere umano, evolutivamente fondamentale per la sua sopravvivenza, e per violenza una delle sue possibili manifestazioni comportamentali, devianti, nel nostro lavoro abbiamo focalizzato l’attenzione sulle possibili correlazioni tra aggressività, trauma e violenza. In parti- colar modo abbiamo analizzato, nei dati della letteratu- ra e in quelli della nostra esperienza clinica, le diverse pathways evolutive che, a partire da eventi traumatici, possono condurre a disturbi psicopatologici di vario ti- po, nei quali la violenza costituisca una delle caratte- ristiche cliniche di maggior rilievo. Sono state prese in

considerazione le modalità di sviluppo psicopatologi- co a partire da abusi (fisici e sessuali), traumi (familiari, ambientali, bellici) in età evolutiva e depressione con ideazione suicidaria, comportamenti autolesionistici, discontrollo degli impulsi, disturbo post-traumatico da stress, comportamenti devianti e delinquenziali nell’età adulta.

Il processamento subliminale dell’aggressività nella schizofrenia

I.A. Rubino, G. Rociola, A. Siracusano

Clinica Psichiatrica, Università “Tor Vergata” di Roma Nel classico paradigma dell’affective priming, secondo Murphy e Zajonc, è presentato uno stimolo visivo (4 msec) consistente in un viso (con espressione contenta, irata o neutra), seguito da uno stimolo neutro (un ideo- gramma cinese).

L’ideogramma svolge insieme le funzioni di backward mask e di target, impedendo l’identificazione del viso (che svolge la funzione di prime). Il paradigma consen- te l’esplorazione delle fasi precoci di processamento dello stimolo affettivo e ha consentito di dimostrare che l’informazione affettiva è processata a livello auto- matico, senza contributi dell’attenzione cosciente. I dati concernenti la schizofrenia sono ancora fram- mentari, ma prevalentemente indicano una maggiore attivazione nella schizofrenia dell’informazione affet- tiva negativa (volto rabbioso), rispetto alla popolazio- ne generale.

Sono qui presentati i risultati preliminari di una nostra ricerca, che ha confrontato schizofrenici e controlli con un paradigma derivato da quello originale di Murphy e Zajonc, ma con rilevanti perfezionamenti metodologici e con particolare attenzione all’impatto delle differenze di intervallo fra prime e target (SOA) sull’efficacia del priming subliminale stesso.

Traumi precoci e comportamento violento in età adulta: il ruolo dell’attaccamento insicuro

A. Troisi

Dipartimento di Neuroscienze, Università “Tor Vergata” di Roma

Le cause del comportamento aggressivo sono argo- mento di dibattito da quando, nella storia del pensie- ro scientifico, si sono delineate le posizioni innatiste e quelle ambientaliste. La ricerca attuale ha superato questa rigida contrapposizione e sottolinea l’impor- tanza di modelli eziologici multifattoriali che com- prendano l’interazione geni-ambiente. A tale riguar- do, crescente attenzione viene rivolta all’ambiente di sviluppo e al sistema psicobiologico dell’attacca- mento.

In questa relazione vengono presentati i risultati di uno studio condotto su un campione composto da soggetti normali di controllo e pazienti psichiatrici con disturbi non psicotici con differente propensione a mettere in atto comportamenti violenti.

L’eventuale presenza di traumi in età precoce è stata valutata mediante un’intervista strutturata denominata Early Traumatic Life Events (Bandelow et al., 2003) e lo stile di attaccamento è stato valutato mediante l’At- tachment Style Questionnaire (ASQ).

La frequenza di comportamenti violenti in età adulta è stata misurata mediante la scala Physical Aggres- sion dell’Aggression Questionnaire (AQ). Scopo del- lo studio era la verifica dell’ipotesi che la maggiore propensione ad attuare comportamenti violenti in età adulta è caratteristica delle persone che hanno espe- rito traumi precoci nel corso dell’infanzia e dell’ado- lescenza tali da determinare uno stile di attaccamento insicuro.

I dati dello studio hanno confermato l’ipotesi di lavoro indicando che sia uno stile di attaccamento ansioso che uno stile di attaccamento evitante sono significa- tivamente correlati con una maggiore propensione ad attuare comportamenti violenti in età adulta. Queste correlazioni erano presenti sia nei soggetti normali di controllo che nei pazienti psichiatrici con disturbi non psicotici.

SabaTO 14 FebbraIO 2009 – Ore 15.30-17.30

Sala Raffaello

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