• Non ci sono risultati.

S22 disturbi mentali comuni nei migranti: identificazione, trattamento, percorsi di cura

CooRdinatoRi M. Nardini, D. Berardi

lost in traslation? Il percorso dei disturbi mentali comuni dei migranti tra formazione e pratica clinica

E. Caroppo, P. Brogna, P. Bria

Master universitario di II livello “Migrazione, Cultura e Psicopatologia”, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma

Il nostro gruppo da vari anni si occupa di formazione universitaria in tema di salute mentale dei migranti e pertanto è favorito nell’osservazione dei percorsi evo- lutivi dei saperi che, muovendo dall’aula di lezione teorica pervengono e si concretizzano nell’operatività clinica di tirocinio della stanza di terapia.

Partendo dal presupposto che ogni individuo possegga un personale e irripetibile codice di significato per spie- gare e comprendere la propria sofferenza e ogni opera- tore sanitario un personale e irripetibile codice di com- prensione di quella stessa sofferenza, la domanda che ci poniamo è dove avvenga l’incontro con l’altro, dove sofferenza e capacità di comprensione e cura riescano ad embricarsi per produrre sollievo e cambiamento. Studiando i diversi approcci clinici con utenza migrante di venti allievi del nostro Master universitario di II li- vello “Migrazione, Cultura e Psicopatologia”, abbiamo avuto modo di evidenziare come tale incontro possa av- venire ovviamente a vari livelli e questo dipenderà sia dalle caratteristiche dell’utenza che da quanto il clinico in formazione sia disposto a mettersi in gioco senza di- fendersi dietro schemi teorici e griglie precostituite di lettura dei fenomeni psichici. Il rischio che si corre nel lavoro clinico con i migranti è quello di perdersi in una corticale decodificazione culturale della sofferenza sen-

riconoscere l’esordio di un episodio psicotico, includo- no: segni e sintomi prodromici caratteristici; deficit neu- ropsicologici valutati con test cognitivi; caratteristiche del decorso della malattia.

In questa presentazione descriveremo l’organizza- zione dello SMILE e, nei 3 anni di esperienza sinora osservati, le evidenze preliminari dell’efficacia degli interventi psicosociali standardizzati che in esso ven- gono impiegati, nei diversi disturbi e macroaree dia- gnostiche.

za riuscire veramente ad ascoltarla. Il nostro punto di vista alla fine di un anno di riflessione condivisa anche con gli allievi del Master è quello che, come sempre nel lavoro clinico e ancor di più coi migranti, ci si possa perdere nel trasferimento di informazioni nella stanza di terapia “senza desiderio né memoria”.

“Stairway to heaven”: il doppio percorso dei migranti

M. Ferretti, F. Padalino, M. Nardini*, A. Bellomo Dipartimento di Scienze Mediche e del Lavoro, sezione di Psichiatria e Psicologia Clinica, Università di Foggia;

* Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche,

Università di Bari

Introduzione: tra le più recenti ricerche in ambito

cross-culturale inerenti il paradigma migrazione, stress psicosociale e adattamento alla globalizzazione, sem- pre maggior interesse stanno suscitando gli effetti del Goal Striving Stress nei migranti. Possiamo considerare questa particolare forma di stress come la conseguen- za di un processo di migrazione nella migrazione che vede l’individuo aggiungere alla mobilità geografica, normalmente caratterizzante il processo migratorio, la mobilità sociale (verticale) che contraddistingue, invece, il cambiamento di status. Sostanzialmente si presenta come uno stato organico caratterizzato da tensione e disagio causato dall’elevata discrepanza tra le aspirazioni di ascesa sociale e la qualità o la quan- tità finale delle realizzazioni attese (Inglese, 2005) in relazione al grado di acculturazione raggiunto. Molti studi hanno dimostrato che il Goal Striving Stress può

essere associato a patologie psichiatriche, soprattutto per coloro che sono ai margini della società, come i migranti, per cui l’impatto del fallimento o la penuria di obiettivi raggiunti può incrementare la vulnerabilità alla malattia mentale.

Metodi: lo studio è stato condotto attraverso un’intervi-

sta narrativa semi-strutturata somministrata ad un cam- pione di immigrati di diversa provenienza geografica, articolata per aree tematiche, con indicatori dei livelli di integrazione e del bisogno di realizzazione. La discre- panza nelle risposte è stata associata a varie sintomato- logie psichiatriche.

risultati: i pazienti intervistati hanno risposto in manie-

ra differente in alcune specifiche aree dell’intervista. Un gap tra livello aspirazionale e obiettivi raggiunti signifi- cativo compare nell’area Lavoro. Va evidenziato come il lavoro abbia numerose implicazioni per gli individui: essendo un simbolo di status sociale ha grosse influenze sul modo in cui l’individuo percepisce se stesso e gli altri.

conclusioni: l’area di provenienza media la relazione

tra GST e malattia mentale. Paragonati ai migranti non comunitari, quelli comunitari con disturbi dell’adatta- mento correlati a forme di stress presentano livelli più alti di GST.

Percorsi di cura dei migranti con disturbi mentali comuni

I. Tarricone, S. Ferrari, N. Colombini, R. Casadio, A. Serio, M. Amore, L. Grassi, M. Rigatelli, G. Pompei, V. Castorini, D. Berardi

Università di Bologna

background: presso il CSM Bologna Ovest è attivo da

circa 10 anni il progetto di psichiatria transculturale “G. Devereux”. Un team multiprofessionale, composto da psichiatri, psicologi, infermieri professionali, assistenti sociali e antropologi, ha l’obiettivo di intervenire sul di- sagio psichico dei migranti. Qualsiasi migrante, regolare o non, si può rivolgere al centro, sia direttamente, sia mediante altri servizi.

Metodi: studio prospettico e naturalistico. Tutti i mi-

granti che si sono rivolti al CSM Ovest tra il primo di luglio 1999 e il 30 giugno 2008 sono stati inclusi e sono stati suddivisi in 5 raggruppamenti in base all’area geo-

grafica di provenienza: Maghreb, Africa Sub-Sahariana, Asia, Est-Europa e Centro-Sud America. Le diagnosi psi- chiatriche sono state formulate in base ai criteri ICD-10 e sono confermate dai ricercatori tramite l’utilizzo della Schedule for Clinical Assessement of Neuropsychiatry (SCAN).

risultati: il campione è costituito da 186 pazienti. Il

57% sono uomini, l’età media è di 33 anni. L’area di provenienza maggiormente rappresentata è quella del Maghreb (29%). I disturbi mentali comuni (DMC) han- no una prevalenza nei migranti del 70% e la diagnosi psichiatrica più frequente è il disturbo dell’adattamento (29,9%). La maggioranza dei pazienti è inviata al centro dai servizi sociali e di volontariato, solo un 18% dai me- dici di medicina generale.

conclusioni: i DMC appaiono come un problema clini-

co di estrema importanza, sia in termini di prevalenza, che per l’atipicità del percorso di cura riscontrato. Ciò sottolinea l’importanza di avviare nuovi modelli di la- voro per la psichiatria di consulenza e collegamento, in grado di includere non solo le cure primarie, ma anche i servizi sociali, il volontariato e gli altri servizi coinvolti. La ricerca sarà pertanto estesa ad altri DSM della Regio- ne Emilia Romagna e confrontata con analoghe rileva- zioni in corso presso altre realtà italiane.

Il trattamento dei migranti in un servizio di salute mentale

S. Vender

Dipartimento di Medicina Clinica-Psichiatria, Università dell’Insubria Varese-Como

Presso l’Unità Operativa di Psichiatria dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Circolo e Fondazione Mac- chi di Varese, a direzione universitaria, per i pazienti migranti che necessitano di un intervento specialistico ambulatoriale (ed eventualmente ospedaliero) non è previsto un iter per il trattamento diverso rispetto agli autoctoni. I dati rilevati su di un centinaio di pazienti migranti, confrontati con i pazienti autoctoni, segnala- no somiglianze e differenze (soprattutto connesse que- ste ultime alla loro nazionalità), che saranno discusse: tutto ciò per segnalare l’utilità di mantenere il modello operativo in atto oppure le opportunità di una sua mo- dificazione.

come il cervello si comporta nell’oscurità: lo studio dell’organizzazione funzionale cerebrale nell’elaborazione delle informazioni e nell’apprendimento in individui con cecità congenita

E. Ricciardi, P. Pietrini

Laboratorio di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica, Dipartimento di Medicina di Laboratorio e Diagnostica Molecolare, Università di Pisa

Fin dai tempi antichi al senso della vista è stato attri- buito un ruolo prioritario nell’interazione con l’am- biente circostante. Basti ricordare che in Greco antico il verbo “sapere” (οιδα) corrispondeva all'aoristo del verbo "vedere" (οραω), e cioè "ho visto e quindi so”. Consideriamo anche alcune espressioni idiomatiche di uso comune, quali “vedere di buon occhio” oppu- re “non vedere l’ora di”, o espressioni simili presenti in altre lingue, si pensi ad esempio all’inglese “I see what you mean” o “Can you see my point?” o anco- ra all’espressione francese “voir la vie en rose” che ha anche il suo equivalente in italiano. Allo stesso tempo, la superficie del cervello dedicata alle funzioni visive nei primati è notevole, oltre un terzo dell’intero manto corticale. Queste prime considerazioni sono sufficienti a sollevare alcune domande fondamentali. In che mo- do individui privi della vista fin dalla nascita possono rappresentarsi un mondo che non hanno mai visto? Che cosa accade alle strutture cerebrali preposte alle funzioni visive? Esiste un senso del bello che prescinde dall’esperienza visiva? Quanto dipendiamo dalla vista per imparare dagli altri? Che impatto ha la mancanza della vista sullo sviluppo dei meccanismi cerebrali che sottendono la vita emotiva e l’interazione sociale? Lo studio di chi non ha mai visto si sta dimostrando un formidabile strumento per aprire gli occhi su come il cervello umano sviluppa la sua mirabile architettura funzionale.

bibliografia

Pietrini P, Furey ML, Ricciardi E, Gobbini MI, Wu H-WC, Co- hen L, Guazzelli M, Haxby JV. Supramodal category-related

representations of objects in the human ventral visual path- way. Proc Natl Acad Sci (USA) 2004;101:5658-63.

Pietrini P, Ptito M, Kupers R. Blindness and consciousness: new

light from the dark. In: Tononi G, Laureys S, editors. The Neurology of Consciousness. Elsevier 2009, pp. 360-74.

Sonno e coscienza: dalla teoria alle misure

M. Massimini, M. Rosanova, G. Tononi

Università di Milano; University of Wisconsin

Durante gli stadi più profondi del sonno NREM la co- scienza si riduce mentre i neuroni corticali rimangono attivi, continuano a ricevere informazioni dalla peri- feria sensoriale e sono in grado di produrre comples- si schemi di attività sincrona. Dunque, perché la co- scienza si riduce? Secondo una recente teoria (Teoria dell’Informazione Integrata; Tononi 2004) ciò che è importante per la coscienza non sono tanto la frequen- za di scarica, le afferenze sensoriali o la sincronizza- zione di per sé, ma, piuttosto, la capacità di un sistema di integrare informazione. In altre parole, il cervello sarebbe in grado di generare coscienza nella misura in cui è in grado di selezionare tra grande repertorio di stati disponibili (informazione), a patto che non si disgreghi in sotto-sistemi indipendenti (integrazione). Una predizione chiave di questa teoria è che questa capacità venga significativamente meno durante le fasi più profonde del sonno NREM: il cervello o tende a ri- durre il proprio repertorio di stati disponibili, oppure si disgrega in moduli indipendenti. In una serie di espe- rimenti (Massimini, et al. Science 2005; Massimini, et al. PNAS 2007) abbiamo impiegato una combinazione di stimolazione magnetica transcranica (TMS) e di elet- troencefalografia (EEG) allo scopo di verificare diret- tamente questa predizione. Queste misure dimostrano che, durante veglia, una perturbazione corticale diret- ta con TMS produce uno schema di attività cerebrale diffuso che è, allo stesso tempo, specifico per il sito di stimolazione. Al contrario, durante sonno NREM, la stessa perturbazione risulta o in una risposta EEG di breve durata che rimane locale, o in una risposta dif- fusa ma aspecifica. Questi risultati sono compatibili, rispettivamente, con una perdita di integrazione e di informazione nei circuiti talamo-corticali.

The cholinergic system and conscious experience: function and dysfunction in mechanisms of stimulus processing

M. Furey, E. Ricciardi, P. Pietrini

Section on Neuroimaging in Mood and Anxiety Disorders, Mood and Anxiety Disorders Program, NIMH, NIH

gIOVedì 12 FebbraIO 2009 – Ore 11.10-13.10

Sala PeRugino

S23. Nuove conoscenze sulle basi neurali della coscienza

Outline

Documenti correlati