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S68 la valutazione della pericolosità sociale delle persone con disturbi mental

CooRdinatoRe V. Volterra

accertamento della pericolosità sociale: metodi e limiti

S. Ferracuti

Cattedra di Psichiatria, II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Sapienza Università di Roma

La valutazione di pericolosità sociale comporta diversi profili a seconda del contesto. Una prima differenzia- zione fa riferimento alla valutazione del possibile rischio di un atto violento, etero- o autodiretto, di un paziente nell’immediato, ovvero nelle 24-48 h successive alla visita psichiatrica. L’altro profilo è relativo, invece, alla valutazione di pericolosità sociale di un prosciolto per infermità di mente ai sensi dell’art. 88 e 89 cp. In que- sto secondo caso la prognosi di pericolosità è molto più problematica, poiché quello che è richiesto è una valu- tazione prospettica in un futuro ipotetico, che può avere come span anche tutta la vita della persona. Sul primo tipo di valutazione esiste una discreta mole di ricerca che consente di effettuare previsioni dotate di un discreto gra- do di attendibilità, mentre sul secondo tipo di giudizio non si è in grado di effettuare valutazioni cliniche che siano dotate di effettiva attendibilità scientifica. I metodi di valutazione della pericolosità sono essenzialmente di tre tipi: attuariali, clinici e misti. I metodi attuariali sono dotati di una discreta capacità predittiva, ma mancano di strumenti di controllo per la simulazione e producono falsi positivi, mentre i metodi clinici sono spesso sogget-

ti al pregiudizio e hanno scarse conferme dalla ricerca. Allo stato probabilmente la soluzione più idonea per la valutazione di questo secondo tipo di giudizi deve tener conto dei limiti dei criteri di valutazione, cercando di svi- luppare nuovi criteri dimensionali di valutazione, come il livello di consapevolezza di malattia. Infine, il fatto che allo stato anche i disturbi di personalità possano essere valutati come non imputabili e perciò prosciolti, pone serie difficoltà per la dimostrazione della mancanza di pericolosità sociale in questi soggetti.

Pericolosità sociale

R. Catanesi

Sezione di Criminologia e Psichiatria Forense, Università di Bari

Le sentenze della Corte Costituzionale 253/03 e 367/04 hanno sensibilmente ampliato le possibilità di tratta- mento territoriale di pazienti giudicati socialmente pe- ricolosi che altrimenti sarebbero stati internati in OPG. Questa importante modifica ha tuttavia aperto nuove problematiche operative, che ricadono tanto sul peri- to chiamato ad esprimersi sulla pericolosità quanto gli operatori dei DSM che potrebbero essere chiamati in causa nella gestione del paziente.

La possibilità di ricorso allo strumento della libertà vi- gilata deve muoversi nella direzione di assicurare “ade-

guate cure all’infermo di mente” ma contestualmente “far fronte alla sua pericolosità”. La possibilità di utilizzo del momento valutativo della sociale pericolosità quale “aggancio” terapeutico o come strumento trattamentale impone dunque ampi livelli di collaborazione fra lo psi- chiatra-forense e lo psichiatra dei servizi, se si vuole che questa opportunità non resti solo teorica.

Si tratta, in pratica, di costruire un progetto trattamentale per l’infermo di mente, che da un lato risponda alle sue specifiche esigenze terapeutiche e dall’altro, consenten- dogli un migliore assetto psicopatologico attraverso le cure proposte, ne riduca le probabilità di messa in atto di nuovi comportamenti violenti. Sempre che, natural- mente, sia possibile, nel singolo caso, ottenere conte- stualmente i due risultati.

Alla luce della evoluzione giurisprudenziale sembra del tutto riaperta la questione della possibilità di prevedere comportamenti violenti e di poterli prevenire attraverso trattamenti medici, mentre sullo sfondo si staglia il ri- schio di cambiamento della figura professionale dello psichiatra e del trasferimento, su di esso, di istanze di difesa sociale, con ricadute anche in tema di responsa- bilità professionale.

Pericolosità sociale in soggetti dediti ad abuso di sostanze ed alcool

V. Volterra

Università di Bologna

L’abuso di sostanze ed alcool, tranne nei casi di croni- cità o d’intossicazione acuta occasionale, è considerato, per gli autori di reato, un aggravante di responsabilità nel nostro codice penale. L’altissima frequenza, se non la co- stanza, di comorbilità in tali soggetti, ed in particolare il riscontro di disturbi di personalità, rendono però molto complessa la valutazione della loro imputabilità, e ancor più quella della loro pericolosità sociale, soprattutto dopo la recente sentenza della Corte di Cassazione.

Vengono a tal proposito riportati e discussi quattro casi esemplificativi di:

omicidio in corso di diverbio per futili motivi; omicidio per investimento d’auto;

incendio ed esplosione accidentalmente provocati; contagio d’infezione HIV.

Infine si prospettano gli interventi che sarebbe opportu- no prendere per tali persone, onde prevenire, attenuare e, se possibile, eliminare i rischi di pericolosità sociale.

criteri di valutazione della pericolosità sociale in età evolutiva

G.B. Camerini

Neuropsichiatra infantile, Bologna

La pericolosità sociale appare come un concetto di scar- sa pregnanza tecnica e scientifica, per la cui valutazione

a. b. c. d.

il parere dello psichiatra si basa in larga misura su pa- rametri analoghi a quelli che il magistrato utilizza per il giudizio di pericolosità sulla generalità dei cittadini sot- toposti a procedimento penale. Essa dovrebbe divenire un’ipotesi giudiziaria da confermare o negare, formulata in termini pragmatici quali la probabilità di recidiva in comportamenti criminali specifici.

In un ambito preventivo-prognostico, più che conside- rare la pericolosità individuale, una corretta valutazio- ne psichiatrico-forense riguarda i fattori di rischio che possono condurre un soggetto ad una evoluzione in senso delinquenziale (antisociale e violento) dei suoi comportamenti antisociali (Bailey, 1996). A tale scopo possono essere utilizzati protocolli di assessment strut- turati e validati in campo internazionale come il SAVRY (Borum et al., 2000) ed il McArthur Risk Assessment. Largamente utilizzati nei Paesi nordeuropei e nel mon- do anglosassone, essi consentono una rapida presa in considerazione di elementi importanti per pervenire ad una valutazione del “rischio psicosociale” di un minore autore di reato.

Il McArthur Risk Assessment prevede la analisi di alcu- ne precise variabili: fattori disposizionali, storici, conte- stuali e clinici.

Il SAVRY è un questionario semi-strutturato in grado di consentire una valutazione dei bisogni del soggetto e del rischio psicosociale di recidiva. Esso si basa in primo luogo su una analisi dei fattori storici di rischio; vengono poi presi in esame i fattori di rischio contestuali e sociali ed i fattori di rischio individuali/clinici. La valutazione va completata con l’analisi dei fattori protettivi.

Per quanto riguarda la valutazione clinica dell’assetto di personalità, risulta opportuno avvalersi di specifici strumenti diagnostici per identificare tratti che possa- no configurare un disturbo sociopatico. Un protocollo sufficientemente validato è rappresentato dalla Hare Psychopatic Checklist, una rating scale clinica compo- sta da 20 item a ciascuno dei quali può essere assegnato il punteggio secondo quanto emerge dalle informazioni ricevute e da una intervista semi-strutturata.

Dall’analisi della letteratura sappiamo (Sabatello, 2002) che sono diverse le possibili evoluzioni del profilo comportamentale in relazione al contesto di sviluppo, alla gravità del comportamento espresso, alla risposta ambientale. L’interazione di queste variabili influenza significativamente il percorso criminale intrapreso dal giovane autore di un reato di natura violenta ovvero la costruzione della sua carriera deviante (Patrizi, 1996). Sappiamo anche (Rutter, 1996) che se individui ad alto rischio incontrano fattori ambientali positivi, possono raggiungere un punto di svolta tale da produrre un reale cambiamento.

Alla luce di queste premesse, emerge chiaramente la necessità di focalizzare l’attenzione su uno stadio più precoce di sviluppo, con strumenti adeguati atti al- l’identificazione di comportamenti devianti, al fine di individuare il grado di rischio evolutivo di questi profili di sviluppo verso personalità antisociali e di intervenire

precocemente con risposte immediate ed efficaci. Solo a queste condizioni risulta possibile fornire ai soggetti devianti una risposta autorevole secondo una doppia assunzione di responsabilità: da parte del giovane e da parte degli adulti. La gestione di un caso di grave di- sagio richiede diverse professionalità e diversi livelli di intervento, tarati sulle specifiche esigenze del soggetto coinvolto. Solo l’azione sinergica tra gli attori di questa

rete e la definizione di modelli e procedure di presa in carico condivise rendono possibile intervenire tempesti- vamente ed efficacemente in una prospettiva di preven- zione secondaria, fornendo al minore la possibilità di fruire in modo differenziato di servizi polifunzionali che lo accompagneranno per tutto il corso del suo viaggio all’interno del contesto giudiziario penale (Cuzzocrea, 2004).

SabaTO 14 FebbraIO 2009 – Ore 15.30-17.30

Sala MaSaCCio

S69. disturbo da deficit di attenzione ed iperattività (adHd)

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