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CooRdinatoRe C. Blundo

Modelli cognitivi e neurobiologici della cognizione sociale

C. Blundo

Dipartimento di Neuroscienze, AO “S. Camillo Forlanini”, LUMSA, Facoltà di Scienze della Formazione Roma

Per cognizione sociale si intende un dominio cogniti- vo, ampio ed articolato, che comprende abilità empa- tiche e sintoniche, la capacità di comprendere gli stati mentali altrui e di adottare comportamenti socialmente appropriati al contesto, nel rispetto delle norme etiche

e morali socialmente apprese. Scopo della relazione è di illustrare, alla luce dei recenti contributi delle neu- roscienze, i più significativi modelli teorici all’interno dei quali sono stati compiuti gli studi sulla cognizione sociale e di descrivere le basi neurali dei comportamenti sociali e dei relativi deficit secondari a lesioni cerebrali. I substrati neurali della cognizione sociale includono un ampio network di strutture cerebrali costituito dalla cor- teccia prefrontale orbitoventromediale, dalla giunzione temporoparietale, dalla corteccia cingolata anteriore e da altre regioni. Sul piano morfofunzionale queste spe- cifiche strutture evidenziano una alterazione della loro attività durante l’esecuzione di compiti cognitivi sociali

come ad esempio nel riconoscimento di espressioni fac- ciali emozionali ed in compiti di attribuzione di stati mentali. Vengono inoltre descritte le diverse compo- nenti della cognizione sociale (emozioni prosociali, processi imitativi, riconoscimento delle espressioni emozionali), le modalità di interazione interpersonale che la caratterizzano (empatia, attribuzione agli altri di stati mentali, scelte decisionali morali ed economiche), la natura della sociopatia acquisita in seguito a lesioni della corteccia orbitoventromediale.

lo sviluppo ontogenetico della cognizione sociale

M. Ceccarelli

Dipartimento di Neuroscienze, AO “S. Camillo Forlanini”, Roma

Scopo della relazione è di offrire un contributo sulla co- gnizione sociale descrivendo questo complesso dominio biopsicosociale nel contesto di un modello gerarchico sistemico relazionale della attività cerebrale considera- ta espressione della relazione tra il corpo e l’ambiente ed in cui l’attività mentale è costituita da un insieme di funzioni che sono, al medesimo tempo, espressione e strumenti di regolazione di questa relazione. Il modello prototipico di questo tipo di concettualizzazione neu- robiologica della mente è rintracciabile nei lavori pio- nieristici di J. Jackson, nel modello del cervello tripartito di MacLean, e nei lavori di G. Edelman, A. Damasio, Panksepp, ed altri Autori. Recentemente la scoperta dei neuroni specchio ha fornito evidenze di notevole sup- porto scientifico alla concettualizzazione della attività mentale come frutto della relazione esistente tra cervel- lo ed ambiente. Nella concettualizzazione Edelmaniana di tipo gerarchico-dinamico delle funzioni mentali, la relazione tra l’organismo e l’ambiente è inscritta nella struttura stessa del sistema nervoso, organizzata nelle connessioni tra le aree deputate all’elaborazione degli stimoli interni all’organismo (il “corpo”) e le aree de- putate all’elaborazione di quelli esterni (l’“ambiente”). Questa concettualizzazione di tipo gerarchico-dinami- co delle strutture cerebrali, è a sua volta sostenuta da differenti disposizioni innate all’azione, cioè tendenze innate alla relazione con l’ambiente (motivazioni), che, ereditate filogeneticamente, sostengono, nell’ontoge- nesi, la progressiva costruzione delle diverse funzioni mentali. In un modello neurobiologico relazionale della mente sono presenti diverse motivazioni alla relazione con l’ambiente sottostanti alle diverse funzioni mentali. La cognizione sociale che comprende abilità empatiche e sintoniche e di comprensione degli stati mentali altrui, riflette una motivazione innata alla cooperazione ed alla affiliazione gruppale che per svilupparsi necessita della maturazione delle aree paralimbiche e neocortica- li frontali (il cosiddetto cervello sociale) che si attivano nel corso dello sviluppo ontogenetico (raggiungendo il pieno sviluppo solo al termine della adolescenza) attra- verso l’interazione con l’ambiente sociale.

la “cognizione sociale” nei disturbi psichiatrici: una revisione critica

A. Palma

Psichiatra, Roma

L’interesse scientifico degli ultimi anni ha visto una cre- scente attenzione allo studio della “cognizione sociale” nella ricerca delle componenti psicopatologiche della malattia psichiatrica, ma soprattutto nella definizione dei fattori di rischio e dei processi eziopatogenetici che sono ipotizzati alla base di sintomi e disturbi psichia- trici.

La ricerca sull’uomo sta dando ampio spazio alla valu- tazione dei meccanismi neurofisiologici e delle variabili neuropsicologiche che sottendono la comprensione di un’azione sulla base della rappresentazione motoria dell’azione stessa e del tipo di attivazione cerebrale che comporta questo fenomeno in pazienti psichiatrici con scarsa capacità nel decodificare le proprie e le altrui emozioni, con evidenti difficoltà nelle interazioni socia- li e con scarse abilità nel mettere in atto comportamenti integrati e socialmente vantaggiosi. Aumenta in modo esponenziale l’oggettività clinica su come la gravità di una malattia psichiatrica correli significativamente con modificazioni della funzionalità di alcuni circuiti che connettono aree associative cortico-sottocorticali e modificazioni metaboliche di nuclei e regioni cerebrali (ad esempio: zone deputate all’elaborazione delle emo- zioni: l’amigdala e corteccia orbito frontale; aree della “rappresentazione condivisa”: corteccia premotoria e corteccia parietale) implicate nel riconoscimento delle emozioni e nel controllo dell’azione, quindi con un de- ficit della “cognizione sociale”.

La cognizione sociale costituisce un “dominio” mentale dai confini ancora confusi e le sue componenti neurop- sicologiche si mantengono ancora fin troppo aspecifi- che rispetto alla definizione di correlazioni dirette ed univoche con determinati disturbi psichiatrici. Lo scopo di questa relazione è fornire una panoramica critica ed aggiornata sui riscontri clinici delle alterazioni, qualita- tive-quantitative, della “cognizione sociale” in sogget- ti con comportamenti cosiddetti “sociopatici” e, sugli eventuali correlati anatomofunzionali in disturbi come l’autismo, la schizofrenia, la personalità antisociale e schizotipica e, per quanto possibile, nei disturbi dell’af- fettività di tipo depressivo, bipolare e nello spettro dei disturbi d’ansia.

la cognizione sociale e morale nella malattia di alzheimer e nella demenza frontotemporale

M. Arfo, G. Zampaglione, C. Blundo

Dipartimento di Neuroscienze, AO “S. Camillo Forlanini” Roma, LUMSA Facoltà di Scienze della Formazione Gli studi di cognizione sociale nei pazienti con demen- za sono ancora relativamente scarsi. Alle prime ricerche,

concentrate prevalentemente su compiti di cognizione sociale inerenti la Teoria della Mente (ToM), si sono, più recentemente, aggiunte ricerche che valutano il com- portamento di questi pazienti in altre abilità sociali quali l’empatia, la conoscenza delle regole sociali, l’adesio- ne alle norme morali/convenzionali. Il riconoscimento delle emozioni facciali, la capacità di risolvere dilemmi morali e di effettuare scelte decisionali in campo eco- nomico (ultimatum game). Obiettivo della relazione è quello di esporre i risultati di due ricerche sperimentali da noi condotte su pazienti con demenza di Alzheimer (AD) e demenza frontotemporale (DFT), rispettivamente sottoposti nella prima a compiti di teoria della mente e nella seconda a compiti riguardanti i dilemmi morali e test di ultimatum game. Nella prima ricerca, condot- ta su 10 pazienti affetti da demenza frontotemporale e 9 affetti da demenza di Alzheimer, le funzioni esecu-

tive nei pazienti con DFT sono risultate relativamente conservate, mentre la performance ai compiti di ToM è risultata significativamente compromessa. Rispetto ai pazienti con DFT quelli con AD hanno evidenziato una minore compromissione nei compiti di ToM. Nella se- conda ricerca condotta su 10 pazienti con DFT e 10 con AD, i primi hanno compiuto un numero di errori signi- ficativamente superiore nei test sui dilemmi morali e di ultimatum game rispetto ai secondi. I risultati delle due ricerche insieme evidenziano che i deficit di cognizione sociale dipendono da un danno della corteccia frontale ed in misura minore da quello delle aree posteriori e che cognizione sociale e funzioni esecutive sono processi indipendenti. I disturbi delle condotta sociale riflettono pertanto un deficit specifico della ToM e di altri domi- ni cognitivo-sociali indipendentemente dal livello delle funzioni esecutive.

SabaTO 14 FebbraIO 2009 – Ore 11.10-13.10

Sala BoRRoMini

S62. Integrazione delle tecniche di esplorazione funzionale

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