CooRdinatoRe L. Canova
le problematiche legislative e normative
P.L. Scapicchio
Professore a contratto, Università del Sacro Cuore di Roma
I radicali ed incalzanti mutamenti sociali che si sono verificati negli ultimi quindici anni, hanno reso l’attua- le modello di Psichiatria di Comunità sostanzialmente inadeguato a rispondere alla nuova domanda di salute. Sul piano legislativo e normativo il nostro Paese è fer- mo a quanto disposto dalla legge 833 del 23 dicembre 1978 e dal DPR 7 aprile 1994. Considerando che il DPR è antecedente alla riforma aziendalistica della Sanità si comprende come anche gli strumenti operativi della nostra organizzazione assistenziale siano fondamental- mente obsoleti.
La riforma del Titolo V della Costituzione, che ha de- legato alle Regioni le competenze in materia di Sanità, ha reso ancor più complesso l’adeguamento legislati- vo e normativo dell’assistenza psichiatrica alla nostra mutata condizione sociale, perché la frammentazione localistica degli interventi ha finora determinato corre- zioni gestionali ma non politiche del modello assisten- ziale. Di contro, la competenza legislativa dello Stato sulla normativa concernente il TSO, che il Parlamento ha deciso di modificare, finirà col condizionare inevi- tabilmente la necessaria riforma dell’attuale modello dipartimentale.
Senza la condivisione di principi operativi tra Stato e Regioni, pertanto, non si supera lo stallo in cui si è ve- nuto a trovare il modello della Psichiatria di Comunità e non si possono colmare le numerose insufficienze che oggi lo caratterizzano.
Psichiatria di comunità: un modello ancora valido? le valutazioni dei Servizi
L. Ferrannini
Dipartimento Salute Mentale, ASL 3 Genovese
La psichiatria si trova oggi di fronte ad un passaggio epocale per il suo statuto scientifico, la sua funzione di cura, la sua legittimazione sociale, con la necessità di una forte e netta scelta di campo, al pari di quella che ha portato al superamento delle istituzioni totali ed al- l’avvio del sistema di psichiatria di comunità, tra una tendenza semplificante e l’assunzione avanzata della complessità scientifica e dell’agire terapeutico.
Questo mutamento-allargamento dei confini impone una riflessione sulle tecniche e sui setting di interven- to: sulle tecniche, nello sforzo di coniugare intervento psicofarmacologico, psicoterapeutico e psicosociale in un vero approccio integrato, attento alle reali evidenze scientifiche (senza suggestioni né compiacenti subalter- nità) ma anche alla produzione di evidenze cliniche (at- traverso strumenti di monitoraggio delle pratiche, dalla cartella clinica a case report a sistemi di audit clinico) che supportino tutti i livelli di intervento, (una clinica cioè capace di produrre evidenze anche sui trattamen- ti psicoterapici e sulla complessa gamma di interventi riabilitativi e psicosociali, ricchi di pratiche e poveri di sistematizzazioni, valutazioni e monitoraggio degli esiti sul versante clinico e della qualità della vita ed inclusio- ne sociale del paziente); sui setting di intervento, intesi non solo come luoghi, ma anche come reti, percorsi di presa in carico e trattamento, flessibili in relazione alle fasi della malattia, agli obiettivi del trattamento, ai con- testi ed alle persone.
Pensare e praticare una clinica aperta a tecniche, stru- menti, interventi diversificati: dal farmaco ai gruppi di auto-aiuto, attraverso snodi complessi ma sempre intesi come parti interagenti di un unico pensiero clinico e quindi di un percorso di cura “unitario e forte”, ma ab- bia al centro la prospettiva della “recovery” (Davidson, 1992; Farkas, 2007; Bonney et al., 2008), intesa come recupero di senso dell’esperienza di sofferenza e di ma- lattia. I servizi, in questa direzione, devono assumere una funzione di supporto e di catalizzatore per una cli- nica “recovery-oriented”, i cui punti centrale ci sembra- no essere (Ferrannini, 2002; Ferrannini e Peloso, 2005; Ferrannini, 2006): a) non fermarsi alle categorie; b) veri- ficare e sistematizzare le pratiche quotidiane; c) rifiutare le (pseudo)soluzioni sicure; d) sviluppare e promuove- re la formazione indipendente come manutenzione; e) mantenere la capacità di pensare nella turbolenza e nel vuoto; f) stabilire relazioni e servizi di “prossimità”; g) trasformare pratiche rigide, frammentate, standardizzate in pratiche personalizzate, connesse, condivise.
bibliografia
Bonney S, Stickley T. Recovery and mental health: a review
of the British Literature. J Psychiatr Ment Health Nurs
2008;15:140-53.
Davidson L, Strauss JS. Sense of self in recovery from severe
mental illness. Br J Med Psych 1992;65:131-45.
Farkas M. La concezione attuale della guarigione: che cos’è
e qual è il suo significato nei servizi. World Psychiatry
2007;6:4-10.
Ferrannini L. Il Dipartimento di Salute Mentale è un servizio di
psichiatria di comunità? Psichiatria di Comunità 2002;I:77-85.
Ferrannini L, Peloso PF. Il DSM tra modello organizzativo e con-
tenuti. Rivista Sperimentale di Freniatria 2005;CXXIX:59-75.
Ferrannini L. Crisi del mito dell’onniscienza e necessità di nuovi
paradigmi. Psichiatria di Comunità 2006;V:33-7.
Psichiatria prossimo futuro
L. Canova
Dipartimento di Neuroscienze/Psichiatria, Università di Siena
La psichiatria dei prossimi decenni dovrà svolgere nuo- vi compiti, in rapporto alle mutate condizioni culturali, socio-economiche e al nuovo tipo d’uomo che dovrà af- frontare le molteplici emergenze. Basti pensare alle mi- grazioni di popoli, al cambiamento del clima, alla ridot- ta disponibilità energetica e specialmente dell’acqua, ai conflitti sociali ed etnici, alle nuove aggregazioni pseu- doreligiose, ai fondamentalismi ideologici, al consumi- smo, alle povertà vecchie e nuove, all’invecchiamento crescente della popolazione, alla mancanza di lavoro, alla violenza urbana e altri ancora.
Si tratta d’impostare una “nuova igiene mentale” ten- dente a ridurre il rischio di patologie nevrotiche e de- pressive, di declino cognitivo precoce, di disturbi di per- sonalità e d’alterazioni del comportamento alimentare, di riduzione dell’uso di sostanze psicotrope, di conteni- mento degli atti di violenza ed aggressività.
Il problema che si pone è se la Psichiatria del prossimo futuro si caratterizzerà mediante l’istituzione di diverse sottospecialità, l’area neuroscientifica, l’area medico- clinica, quella psicoterapeutica e quella politico-sociale oppure le suddette aree si limiteranno solo al campo della ricerca e nel campo professionale potrà prevalere ancora la figura unitaria del nuovo specialista in psi- chiatria.
Lo psichiatra del prossimo futuro dovrà sviluppare la sua funzione del “prendersi cura” avvalendosi di una maggiore comprensione della natura delle malattie, di una rivalutazione del rapporto con il medico di base e d’altre specialità, della conoscenza della complessità delle nuove tecniche diagnostiche e terapeutiche, del- l’utilizzo di strumenti che consentiranno di valorizzare il profilo neurobiologico e le potenzialità psicologiche del singolo in una società che si mostrerà in continua evoluzione.
In sintesi lo psichiatra sarà lo specialista della comuni- cazione, il rinnovato mediatore tra la malattia e la città che propone dei bisogni e chiede allo specialista la ca- pacità di occuparsene e di risolverli in modo adeguato.
Quale psichiatria per quale religione?
G.G. Rovera
Professore Onorario di Psichiatria, Università di Torino Tra religione e psichiatria, vi sono stati e vi sono, impli- citamente, esplicitamente e storicamente presumibili ed importanti rapporti.
É pertanto utile una preliminare configurazione con- cettuale sulle più comuni accezioni che riguardano la religione: a) come complesso di credenze e di riti, sto- ricamente e teologicamente determinati; b) quale senti- mento profondo di deferenza e di devozione per qual- cosa o qualcuno e conseguenti riferimenti di rispettosa temperanza.
Articolandosi a questi presupposti di base la psichiatria (grazie ad un modello interattivo e pragmatico bio-psi- co-socioculturale) si pone almeno a tre livelli: a) quello dell’emergere della psichiatria “premoderna” attraverso lo studio della follia e della demonologia (“Il tramon- to del diavolo”); b) quello delle sette parareligiose che contaminano attualmente i rapporti tra psichiatria e reli- gione (“Neo-primavera del diavolo”); c) quello delle te- matiche riguardanti l’uso sacramentale dell’esorcismo, la posizione di discernimento e l’articolazione ventuale con le teoria e la prassi psichiatrica. Il contributo cli- nico personale riguarda una ricerca, durata per alcuni anni, effettuata in un contesto che da un lato ha offerto un accoglimento religioso spirituale per casi difficili e dall’altro un servizio specialistico per le rilevanze psi- copatologico-cliniche.
Le diverse prospettive tra religione e psichiatria debbo- no altresì venire colte attraverso gli studi della psichia- tria transculturale che può utilizzare: a) sia gli elementi di comparazione; b) sia le prospettive di testimonian- ze di psichiatri appartenenti a religioni diverse (vedi il Convegno Internazionale di Psichiatria Transculturale a Narni, fra esponenti islamici, cattolici e laici).
Nelle considerazioni conclusive si discutono gli ele- menti di tale complesso tema sottolineando la neces- sità di dialogo e di rispetto reciproco verso i moltepli- ci sistemi di valori e di credenze religiose. Tali studi devono inoltre essere compatibili sia con il pensiero scientifico, sia con le attuali posizioni della metodo- logia interculturale, sia con i diritti universali dell’in- dividuo umano.
la voce di dio: case report di sintomi e divinità
M. Ascoli, F. Zwatongwa
East London NHS Foundation Trust, London, UK In questo lavoro viene presentato il caso clinico di una giovane Africana residente a Londra, appartenente a una comunità religiosa Pentecostale. La paziente, in seguito al fallimento di una relazione amorosa, inizia a udire la voce di Dio e struttura una serie di convinzioni deliranti riguardo al suo prossimo matrimonio. Il caso si colloca, per le sue caratteristiche specifiche, al di là dell’espe- rienza religiosa e sconfina nella franca psicopatologia. Verranno inoltre illustrate le modalità attraverso le quali la comunità di fedeli, presso cui guarigioni miracolose, esperienze mistiche e stati alterati di coscienza rappre- sentano tappe usuali di un percorso spirituale del tutto sano, tenta di gestire i sintomi della giovane senza ricor- rere ad un invio presso i servizi psichiatrici locali, pur comprendendone la franca natura patologica. Infine, verranno illustrati i criteri attraverso i quali la comunità religiosa di appartenenza ha connotato in senso patolo- gico le esperienze religiose presentate dalla paziente.
Psicosi, dissociazione e dualismo culturale
V. De Luca
World Association of Cultural Psychiatry
I fenomeni dissociativi sono stati spesso indagati in psi- chiatria cultuale, sia perché molti sintomi psichiatrici e molte sindromi culturalmente determinate presentano una base culturale, sia perché ad una formulazione dia- gnostica ancora imprecisa corrispondono due modelli nettamente opposti, con paradigmi culturali socio-psi- chiatrici antitetici. In un caso si pone la possibilità di un’attività neurologica indipendente e comune tanto alle situazioni patologiche quanto alle persone prive di patologie, nell’altro la possibilità di interpretare i feno- meni dissociativi grazie ad esperienze, ruoli e aspettati- ve culturalmente determinati.
La psichiatria culturale recente (Miresco e Kirmayer, 2006; Seligman e Kirmayer, 2008) sta avanzando nuo- ve ipotesi circa una maggiore integrazione dei modelli psichiatrici che sottendono alle patologie psicotiche e ai fenomeni dissociativi.
Lo sviluppo di una neuroscienza culturale (Chiao e Am- bady, 2007), capace di sostituire il modello dualistico con una visione più coerente e integrata, appare dove-
gIOVedì 12 FebbraIO 2009 – Ore 15.30-17.30
Sala PintuRiCChio