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S69 disturbo da deficit di attenzione ed iperattività (adHd) e comorbidità nel ciclo di vita

CooRdinatoRi A. Pasini, P. Curatolo

adHd e comorbilità in età evolutiva

G. Masi, S. Millepiedi, M. Mucci, S. Berloffa, C. Pfanner

IRCCS “Stella Maris” per la Neuropsichiatria dell’Infan- zia e dell’Adolescenza, Calambrone (Pisa)

Almeno i 2/3 dei bambini con ADHD presentano un disturbo psicopatologico associato. Tale comorbidità può condizionare la fenomenologia, la gravità, la pro- gnosi ed il trattamento. Inoltre la comorbidità consente di definire alcuni sottotipi di ADHD dotati di relativa specificità, in termini di percorsi evolutivi e di suscet- tibilità a difficoltà di adattamento successive. Scopo di questa presentazione è quello di descrivere le implica- zioni cliniche delle comorbidità più frequenti e rilevan- ti. Le associazioni di più frequente riscontro sono quelle tra l’ADHD ed i disturbi delle condotte esternalizzate, cioè il disturbo oppositivo-provocatorio e soprattutto il disturbo della condotta. La associazione con quest’ulti- mo appare dotata di un forte valore prognostico, condi- zionando probabilmente la vulnerabilità verso manife- stazioni di tipo antisociale, in particolare nelle forme a più precoce insorgenza e con le condizioni psicosociali più svantaggiate. Anche la associazione tra ADHD ed i disturbi d’ansia presenta possibili implicazioni sulla prognosi (minore rischio antisociale) e sul trattamento (maggiore sensibilità ad interventi non farmacologici). La associazione con disturbi dell’umore di tipo depressi- vo appare riportata in modo molto difforme nelle diver- se casistiche, essendo talora difficile la distinzione tra una vera depressione e la frequente demoralizzazione dei bambini con ADHD. La associazione con il disturbo bipolare, così come il problema della diagnosi differen- ziale tra le due condizioni, è particolarmente comples- so, a causa della fenomenologia frequentemente atipica

del disturbo bipolare in età evolutiva. È stata infine stu- diata più recentemente la associazione tra ADHD, tics. di Tourette e disturbo ossessivo-compulsivo, più fre- quente di quanto ritenuto in passato. Una più accurata valutazione dei soggetti con ADHD, che non consenta al disturbo di mascherare altre affezioni in associazione, potrà consentire la definizione dei più importanti fattori di rischio, dei più significativi mediatori prognostici, e soprattutto l’adozione di interventi, farmacologici e non farmacologici, più precoci e mirati.

eterogeneità neurobiologica dell’adHd e nuove evidenze per un possibile modello fisiopatolgico unitario

S. Carucci, N. Adamo, A. Zuddas

Centro Terapie Farmacologiche in Neuropsichiatria del- l’Infanzia e dell’Adolescenza, Clinica di Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento Neuroscienze, Università di Cagliari

L’ipotesi che le manifestazioni cliniche dell’ADHD sia- no causate principalmente da specifiche alterazioni del- le funzioni esecutive (es. capacità di inibizione, di piani- ficazione, memoria di lavoro, fluenza ecc.) ha stimolato numerosi studi sperimentali ed è stata considerata una sorta di “dogma” per oltre un decennio. Negli ultimi an- ni, una serie di evidenze ha però messo in discussione la specificità e lo stesso ruolo di tali alterazioni nella fisio- patologia del disturbo: è stato infatti evidenziato il ruolo fondamentale che meccanismi di gratificazione ed di percezione del tempo possono svolgere nella variabilità dell’espressione clinica dell’ADHD. Più recentemente, numerose evidenze mostrano come l’aumentata varia- bilità nei tempi di risposta agli stimoli (RT-ISV response

time intra-subject variability) possa costituire uno dei parametri più costantemente rilevabili in bambini ed adolescenti con ADHD.

I correlati neurobiologici dell’aumentata RT-ISV per- mettono di riconciliare i diversi modelli neuropsicolo- gici, proponendo una alterazione combinata di funzioni esecutive “fredde” (inibizione, pianificazione, memoria di lavoro, ecc.) e funzioni esecutive “calde” (gratifica- zione, percezione del tempo) quale base fisiopatologica per l’ADHD di cui l’aumentata RT-ISV potrebbe essere un marker affidabile.

Per valutare tale ipotesi, RT-ISV e la sua struttura tempo- rale è stata studiata in un gruppo di bambini con ADHD (età 7-13 anni) e comparata con un gruppo di bambini con sviluppo normale mediante Eriksen Flanker Task (6 minuti: 3 s inter-stimulus interval). Le oscillazioni di tali variazioni sono state misurate mediante Morlet-wavelet analyses. Le oscillazioni a bassa frequenza (0,027-0,07 Hz) del tempo medio di reazione appaiono significa- tivamente aumentate nei soggetti con ADHD rispetto ai controlli. Tali risultati saranno confrontati con i dati della letteratura e discussi alla luce delle recenti acqui- sizioni sulla connettività funzionale del sistema nervoso centrale e delle implicazioni per approcci terapeutici innovativi per l’ADHD.

Trattamento psicofarmacologico a breve e a lungo termine dell’adHd in comorbilità con il disturbo oppositivo provocatorio

A. Pasini, C. Paloscia, M.B. Pitzianti, L. Casarelli, C. Rosa, R. Alessandrelli, P. Curatolo

UOC Neuropsichiatria Infantile, AFA Neuroscienze Cliniche, Policlinico di Tor Vergata, Roma

Introduzione: la disattenzione e l’iperattività rappre-

sentano i principali sintomi bersaglio del trattamento con il MPH. Il MPH si è dimostrato agire anche sulla sintomatologia oppositivo-provocatoria frequentemen- te associata all’ADHD. Dalla letteratura sta emergendo l’importanza del trattamento farmacologico, anche per migliorare le disfunzioni neurocognitive che caratteriz- zano il disturbo da deficit dell’attenzione con o senza iperattività (ADHD). Le loro eventuali variazioni nel corso del trattamento psicofarmacologico e la loro as- sociazione con il miglioramento della sintomatologia dell’ADHD, sono state, finora, poco studiate. Inoltre, non esistono studi scientifici che hanno misurato le fun- zioni neurocognitive dell’ADHD durante la cosiddetta “vacanza terapeutica”, il periodo in cui, per alcuni pa- zienti, viene sospeso il trattamento con MPH, periodo che coincide con la sospensione estiva della frequenza scolastica.

Metodi: è stato studiato un campione di 40 pazienti (6-

13 anni), di sesso maschile, con ADHD, in trattamen- to con metilfenidato (MPH). È stata valutata la risposta clinica e neurocognitiva a 4 settimane, a 24 settimane e dopo 8 settimane di sospensione (“vacanza terapeu-

tica”). Per la valutazione clinica sono state utilizzate la K-SADS-PL, la SNAP-IV e le scale CRS-R, la MASC e la CDI. Per la valutazione neuropsicologica sono stati uti- lizzati lo Stroop Test, il CPT, l’n-Back e la Figura di Rey. I valori rilevati all’inizio del trattamento sono stati messi a confronto con quelli di un gruppo di controllo di 45 ragazzi senza disturbi mentali.

risultati: i risultati hanno rivelato un miglioramento del-

la sintomatologia clinica (disattenzione, iperattività e oppositività) misurata con le CRS-R (p < 0,001) e della working memory e del deficit di inibizione dopo le pri- me 4 settimane di trattamento con MPH (p < 0,001). Il miglioramento è rimasto costante fino a 24 settimane. La rivalutazione dopo 8 settimane di sospensione del MPH ha evidenziato un peggioramento di alcune funzioni neu- rocognitive, prima tra tutte il controllo dell’inibizione (p < 0,001). L’effetto sull’attenzione appariva, anche se ridot- to, mantenersi dopo la sospensione del trattamento.

discussione: la ricerca ha posto in evidenza l’esistenza

di un profilo di disfunzioni neurocognitive sensibile al trattamento con MPH, articolato su alcuni aspetti del deficit dell’inibizione e della memoria di lavoro. Il mi- glioramento era evidente già dopo le prime 4 settimane di terapia e rimaneva costante fino a 24 settimane, indi- cando il mantenimento dell’effetto terapeutico durante la terapia a lungo termine. Il miglioramento clinico e del deficit di inibizione mostravano un andamento solo parzialmente sovrapponibile.

disturbo da deficit di attenzione ed iperattività (adHd) e comorbidità nel ciclo di vita

P. Panei, R. Arcieri

Istituto Superiore di Sanità, Roma

La sindrome da deficit di attenzione ed iperattività (ADHD) è stata finora considerata tipica dell’età evo- lutiva e, almeno nel nostro Paese, si è misconosciuta l’importanza di questo disturbo per la vita dell’adulto. In realtà da tempo è noto che almeno il 30% dei soggetti affetti da ADHD durante l’infanzia e l’adolescenza con- tinuano a manifestare il disturbo anche in età adulta. La prevalenza di ADHD nell’adulto, peraltro, tende ad es- sere ancora più alta se la sindrome non è trattata nell’in- fanzia: in questo caso oltretutto si associano spesso altre patologie psichiatriche già presenti nell’età evolutiva o di nuova insorgenza. La concomitanza di altre malattie psichiatriche rappresenta la condizione potenzialmente a più alto impatto per la sanità pubblica nel prossimo de- cennio. Infatti l’Organizzazione Mondiale della Manità (OMS/WHO) stima che la salute mentale rappresenterà nel 2020 il secondo problema sanitario nei Paesi svilup- pati con importanti ricadute sull’organizzazione sociale e sull’attività lavorativa degli individui affetti da queste patologie. L’associazione frequente di ADHD e disturbo oppositivo-provocatorio, ad esempio, può rappresenta- re un mix altamente dirompente sulle relazioni sociali della popolazione adulta. È importante, perciò, ricono-

scere e trattare il più precocemente possibile l’ADHD e

le eventuali comorbidità per attutire l’impatto di queste patologie sulla vita dell’individuo e della collettività di appartenenza.

SabaTO 14 FebbraIO 2009 – Ore 15.30-17.30

Sala PeRugino

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