CooRdinatoRi U. Balottin, M. Bertolini
Tali disturbi, infatti, propongono particolari modalità di uso dell’oggetto esterno, nei suoi rapporti con l’attività fantasmatica e di messa alla prova del “sito analitico al- largato” istituzionale, quale garante per il consolidamen- to della funzione contenitiva interna. La fragilità delle basi narcisistiche, infatti, espone tali adolescenti ad un precario uso dell’oggetto e a sentimenti di vuoto. Il desi- derio è percepito come un bisogno essenziale, bisogno di un piacere che è urgente provare, di un oggetto che è ur- gente ottenere e che non deve, in nessun caso, mancare. Gli investimenti su di sé e sull’altro si traducono, quindi, nella sensazione di essere in balia dell’oggetto o nell’il- lusione di poterlo padroneggiare a proprio piacimento. La rabbia narcisistica, che invariabilmente ne consegue, esprime l’incapacità di interiorizzare l’esperienza del proprio funzionamento mentale e della relazione con l’altro. Pertanto è necessaria la presenza operante di una funzione terza fra il terapeuta e tali adolescenti (psichiatra prescrittore, medico internista, ambiente istituzionale). I disturbi del comportamento alimentare, per le affinità di un caso con l’altro, hanno portato ad ipotizzare non proprio la presenza di una struttura comune ma piutto- sto di una organizzazione del funzionamento mentale caratterizzata da un profondo conflitto arcaico con la madre e, al contempo, da un conflitto legato all’identità sessuale nascente, al rifiuto del corpo femminile. Que- st’ultimo conflitto si aggrava per la riattivazione del pri- mo e assistiamo perciò ad una compenetrazione di que- ste due condizioni: un disturbo primario del sentimento d’identità legato ad una falla nell’identificazione sia alla femminilità della madre sia alla sua funzione materna nutritiva e accudente.
Tensioni coniugali e facilitazioni dei sintomi anoressici dei figli
R. Nacinovich, C. Montrasio, F. Neri
Università di Milano, Bicocca
Data l’importanza della famiglia nello sviluppo del bambino e dell’adolescente, sono stati effettuati molti studi sull’ambiente familiare dei pazienti con distur- bi alimentari, ed in particolare sulla relazione madre- bambino.
Nelle ultime decadi si nota un crescente interesse anche per la figura paterna, sia per quanto riguarda il suo ruolo all’interno della famiglia, sia per quanto riguarda la re- lazione padre-figlio.
Non ci sono ancora invece sufficienti dati relativi al complesso intreccio psicopatologico tra caratteristiche della coppia genitoriale e sviluppo di una sintomatolo- gia anoressica nei figli.
In questo studio si vuole proprio indagare le relazioni tra le caratteristiche individuali di ognuno, le dinamiche del singolo genitore con il figlio, dei genitori tra loro come coppia e la patologia anoressica dei figli.
Il campione è costituito da adolescenti con diagnosi di anoressia nervosa e dai loro genitori.
Il materiale clinico, raccolto tramite almeno tre colloqui con i pazienti e separatamente con la coppia genitoria- le, è stato integrato con materiale testale ottenuto trami- te la somministrazione di test autocompilati:
il questionario Minnesota Multiphasic Personalità Inven- tory (MMPI, versione MMPI-2 per gli adulti e MMPIA-A per gli adolescenti) e la Toronto Alexithymia Scale (Tas-20). Viene discussa la rilevanza delle caratteristiche indivi- duate nei genitori e nelle dinamiche di coppia per la comprensione dei sintomi anoressici dei figli.
l’iperattività nell’anoressia nervosa dell’adolescenza: aspetti clinico-terapeutici
F. Muratori, C. Leggero, S. Calderoni
IRCCS Stella Maris, Università di Pisa
Nonostante dati storici e studi clinici abbiano rego- larmente individuato elevati livelli di attività fisica nei pazienti con Anoressia Nervosa (AN), l’iperattività è diventata solo recentemente oggetto di studi sistemati- ci. Poiché manca ancora una definizione operativa di iperattività, le stime sulla frequenza nell’AN variano dal 31 all’80%. Non è ancora chiaro se l’iperattività possa essere considerata un semplice sintomo secondario del- l’AN o possa giocare un ruolo importante anche nella sua patogenesi. La natura contraddittoria dell’associa- zione tra digiuno ed attività fisica eccessiva ha convinto molti autori a considerare l’iperattività come un modo per consumare calorie e quindi come un sintomo se- condario al nucleo psicopatologico della AN. Sebbene questo punto di vista sia il prevalente, diversi autori so- stengono che il digiuno autoindotto e l’esercizio fisico sono attività sorelle per quanto riguarda la patogenesi dei disturbi alimentari, per cui nell’AN si viene a creare il circolo vizioso restrizione alimentare-magrezza-ipe- rattività, così come nell’obesità si ha il circolo vizioso opposto iperfagia-obesità-inattività.
Tra i meccanismi che possono essere all’origine del- l’iperattività sono stati chiamati in causa l’ipoleptine- mia, alterazioni del sistema serotoninergico, noradre- nergico e dopaminergico, dell’asse ipotalamo-ipofisi- surrene, degli oppioidi endogeni. Verrà proposto uno studio clinico su un campione di 105 adolescenti con AN. Verranno inoltre riportati alcuni risultati relativi alla evoluzione in corso di trattamento di un sottocam- pione ed in particolare del possibile ruolo dell’olanza- pina come strumento terapeutico specifico nella ridu- zione dell’iperattività.
Il lavoro ospedaliero nei disturbi del comportamento alimentare
G. Rossi, T. Carigi, M. Rossi, U. Balottin
Dipartimento di Clinica Neurologica e Psichiatrica del- l’Età Evolutiva, IRCCS Fondazione “Istituto Neurologico C. Mondino”, Pavia
Il ricorso al ricovero ospedaliero, in neuropsichiatria dell’infanzia e adolescenza, per anoressia e bulimia nervosa, e per i disturbi del comportamento alimentare non altrimenti specificati, si rende necessario quando si presentino condizioni cliniche particolarmente com- promesse sul piano medico. Questi problemi clinici, non infrequenti negli esordi in adolescenza dei disturbi del comportamento alimentare (DCA), sono in gene- re associati a più tenaci distorsioni dell’immagine del sé corporeo e resistenze al cambiamento, a difficoltà relazionali intrafamiliari più importanti rispetto alla popolazione ambulatoriale. Talvolta i casi che richie- dono il ricovero sono per altro difficili anche per la compresenza di altri aspetti psicopatologici rilevanti, quali i disturbi di personalità, in particolare il disturbo borderline, e la presenza di disturbi psicotici, oltre a depressione e disturbo ossessivo compulsivo. Il lavoro dell’Istituzione ospedaliera richiede dunque interventi integrati tra i vari membri dell’équipe, per arginare le dinamiche patologiche attive e talvolta contaminanti l’équipe stessa, se non vi si pone attenzione. Il percor-
so di cura in ospedale prevede l’utilizzo di tecniche psicoterapeutiche brevi, sia individuali che di gruppo, che siano anche di motivazione ad un lavoro clinico di più lunga durata successivo, e di facilitazione degli interventi nutrizionali proposti. Oltre all’obiettivo di ristabilire condizioni fisiche accettabili, il ricovero si propone come obiettivo, apparentemente secondario al compito ospedaliero ma fondamentale, di favorire la psicoterapia sia individuale che familiare eventual- mente in corso. Tale percorso in età evolutiva, laddove le (i) pazienti sono condotte forzosamente a curarsi dai genitori e non hanno in genere una vera motivazio- ne personale, comporta una particolare difficoltà ad ottenere l’alleanza alla cura; il reparto deve prestare attenzione a non risultare persecutorio e coercitivo, mentre deve contribuire a ristabilire il senso del limite e la ripresa di una vita più adattiva, lontana dalla au- tosufficienza talora mortale di queste ragazze. Viene presentato il lavoro di reparto relativo a 25 soggetti se- guiti in regime di ricovero nel 2007, di età compresa tra i 10 e i 17 anni.
la criminologia tra “comprensione” e “spiegazione”
O. Greco
Professore di Criminologia, Università di Lecce La criminologia è espressamente richiamata nella decla- ratoria dei tre settori scientifico-disciplinari (MED/43- Medicina legale, IUS/17-Diritto penale, SPS/12-Sociolo- gia giuridica, della devianza e mutamento sociale) che classicamente l’hanno coltivata.
Secondo le nuove tabelle ministeriali, competenze di tipo criminologico sono chiaramente indicate tra gli obbiettivi formativi qualificanti di almeno cin- que classi di lauree triennali (L-14 Scienze dei ser- vizi Giuridici, L-19 Scienze dell’Educazione e della Formazione, L-24 Scienze e Tecniche Psicologiche, L-39 Servizio Sociale, L-40 Sociologia) e di sei clas- si di lauree magistrali (LM-41 Medicina e Chirurgia, LM-50 Programmazione gestione dei servizi educativi, LM-51 Psicologia, LM-85 Scienze Pedagogiche, LM-87 Servizio sociale politiche sociali, LM-88 Sociologia e Ricerca sociale).
Il fenomeno della devianza in senso lato merita atten- zione a livello scientifico; si rende necessario proget- tare adeguati percorsi formativi che individuino con chiarezza la proiezione operativa, cioè i problemi che gli operatori potrebbero essere chiamati e risolvere, e il patrimonio concettuale cui attingere le competenze necessarie per la soluzione di quei problemi.
Il bagaglio culturale, cioè i contenuti di un adeguato progetto formativo, copre un arco ampio di conoscenze variegate ed eterogenee implicate nel “comprendere” e nello “spiegare” il comportamento umano allo scopo di progettare strategie di prevenzione ed attuare interventi di trattamento. Con la “comprensione” la criminologia si accosta alle scienze dell’uomo (psicologia, filosofia, letteratura, ecc.) e la sua autonomia deriva dalla specifi- cità dell’oggetto di studio; con la “spiegazione” diventa funzionale all’inquadramento delle varie sfumature del comportamento umano sotto il profilo trattamentale in senso lato e/o forense ed in tal modo si accosta alle scienze criminalistiche.
gIOVedì 12 FebbraIO 2009 – Ore 15.30-17.30
Sala MaSaCCio