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S49 Integrazione tra farmaci e psicoterapie: implicazioni teoriche e prove di efficacia

CooRdinatoRe A. Tundo

Integrazione tra farmaci e psicoterapia: implicazioni teoriche

A. Tundo

Istituto di Psicopatologia, Roma

A partire dagli anni Sessanta del secolo scorso il tratta- mento integrato farmaci-psicoterapia è stato largamen- te utilizzato nella pratica in modo empirico, come se si trattasse di una “panacea” utile per tutti i pazienti e per qualsiasi condizione clinica. Raramente psichia- tri e psicologi che ricorrono a questa modalità di cura riflettono sulle implicazioni teoriche che questa inte- grazione comporta 1. Essa richiede innanzitutto una ri-

definizione del confine tra cervello (struttura) e mente (funzione) che vada oltre i due classici modelli funzio- nalista (o aristotelico) e sostanzialista (o platonico). È infatti sempre più chiaro che gli antidepressivi di nuova generazione possono indurre modificazioni personolo-

giche simili a quella della psicoterapia 2 e, viceversa,

che un trattamento psicoterapeutico efficace può mo- dificare la plasticità sinaptica 3. Queste evidenze sono

meglio comprensibili se il rapporto mente cervello vie- ne inquadrato in una nuova cornice intellettuale, come quella proposta da Kandel 4. Un altro importante pro-

blema di carattere generale, messo in gioco ogni volta che si integrano farmaci e psicoterapia, è il paradigma a cui su fa riferimento. Questo non può essere quello medico-biologico, che relega la psicoterapia al ruolo di semplice supporto al trattamento farmacologico. Ma neanche quello psicologico, che vede il farmaco come una stampella temporaneamente utile per affrontare un momento critico la quale, peraltro, non deve portare alla completa risoluzione dei sintomi per evitare che il paziente perda la motivazione al lavoro psicoterapeu- tico. Più funzionale appare l’adozione di un paradigma bio-psico-sociale, in grado di dare una visione real- mente unitaria.

bibliografia

1 Tundo A. Modelli di integrazione a confronto. In: Atti del

XXXI Congresso Nazionale della Società Italiana di Terapia Cognitivo Comportamentale SITCC, 2006.

2 Andrews W, Parker G, Barret E. The SSRI antidepressant: exploring their other possible properties. J Affect Disord

1998;49:141-4.

3 Stein DJ. Emotional regulation: implication for the psychobi- ology of psychotherapy. CNS Spectrum 2008;13:195-8. 4 Kandel ER. A new intellectual framework for psychiatry. Am

J Psychiat 1998;155:457-69.

Integrazioni tra farmaci e psicoterapie: implicazioni teoriche e prove di efficacia

M. Biondi, A. Picardi*

UOC di Psichiatria e Psicofarmacologia Clinica – SPDC, Azienda Policlinico “Umberto I”, Sapienza Università di Roma; * Istituto Superiore di Sanità, Roma

L’impiego di psicofarmacoterapia (F) e psicoterapia (P) associate è prassi diffusa nella pratica clinica, forse più di quanto gli studi clinici controllati documentino. Alcune inchieste in Italia e in altri Paesi hanno rile- vato tra psichiatri prevalenze fino all’80% di forme di trattamenti associati o integrati, a seconda delle varie patologie. Diversi sono i problemi da affrontare. Espe- rienze personali e come gruppo di ricerca di vari anni in quest’ambito suggeriscono alcune considerazioni. In primo luogo è ovvio che l’associazione F e P non è indicata per tutti, ma solo per un sottogruppo sebbene ampio. Suggerire l’integrazione non significa che tutti i casi vadano trattati con farmaci o con psicoterapia. Ri- levante è ad esempio la preferenza espressa dalla per- sona che chiede aiuto. In secondo luogo, è utile avere consapevolezza delle potenzialità ma anche dei limiti sia della psicofarmacoterapia da sola che della psico- terapia da sola. L’idea di integrare i due trattamenti na- sce dal tentativo di migliorare l’accessibilità alle cure di una quota, anche se modesta, di pazienti e di poten- ziare l’intervento ove uno dei due abbia fallito o dato risultati parziali. In terzo luogo, è erroneo pensare che la somma di due trattamenti – diversi per natura e tec- nica – produca un risultato di “potenza” doppia. L’as- sociazione di questi due interventi richiede infatti di abbandonare il modello dicotomico (funzionale verso organico, psicologico contro biologico) spesso tuttora seguito. È preferibile utilizzare un modello nuovo, non conflittuale che suggerisca come F e P agiscano su una comune matrice, sebbene attraverso percorsi diversi. Verrà presentata una serie di studi effettuati a riguardo, nel disturbo di panico, fobia sociale, depressione, di- sturbo ossessivo-compulsivo.

efficacia del trattamento integrato nella depressione

F. Mancini*, M. Saettoni***

* Scuola di Psicoterapia Cognitiva, APC-SPC, Roma; ** U.F. Salute Mentale Adulti AUSL 2 Lucca

Nella terapia della depressione la combinazione di in- terventi farmacologici e psicologici è la regola (Korn- bluh et al., 2001) ma le ricerche a tal riguardo non chia- riscono ancora se tal approccio sia vantaggioso rispetto ai singoli trattamenti (Parker e Fletcher, 2007). La con- traddittorietà dei risultati può ricondursi a fattori quali l’eterogeneità dei campioni messi a confronto (età, invio dal “primary care” o dall’ambulatorio psichiatrico, pre- senza o assenza di comorbilità psichiatrica), dei disegni delle ricerche (psicoterapia vs. combinata, combinata vs. psicoterapia e placebo, combinata vs. treatment as usual, ecc.), delle modalità di combinazione (sequen- ziale, combinata dall’inizio).

Metodi: attraverso una rassegna della letteratura scien-

tifica si propone una riflessione su vantaggi e svantaggi della combinazione di farmaco- e psicoterapia nella de- pressione.

risultati: in una delle più recenti metanalisi, de Maat et

al. (2007) hanno evidenziato che il trattamento integrato appare più efficace della psicoterapia ma tale superiorità vale solo per la depressione cronica di moderata intensi- tà; gli Autori sottolineano piuttosto che solo meno della metà dei pazienti depressi va in remissione. D’altronde anche i dati relativi alla monoterapia con farmaci non sono molto confortanti: una metanalisi di Kirsch et al. (2008) indica che fra i gruppi in trattamento farmacolo- gico e quelli in placebo, non si trova una differenza di efficacia clinicamente significativa.

conclusioni: la ragione di questi deludenti risultati po-

trebbe essere ricondotta alla tendenza maturata negli ultimi decenni, sostenuta dall’illusione dell’esistenza di un farmaco buono per tutte le depressioni e dalle co- siddette psicopatologie di spettro, di accomunare ete- rogenee condizioni depressive. La minore attenzione alla valutazione qualitativa dell’esperienza depressiva a favore di una misurazione quantitativa rischia di ren- dere la depressione una galassia comprendente forme di sofferenza patologica e forme di normale infelicità legate alla percezione di uno scarto tra come si è e co- me si vorrebbe essere con inevitabili conseguenze sulla specificità dei trattamenti.

Il modello sequenziale nel trattamento della depressione

G.A. Fava, C. Rafanelli, E. Tomba, C. Belaise, E. Tossani

Dipartimento di Psicologia, Università di Bologna Psicoterapia e farmacoterapia sono state tradizional- mente associate in contemporanea nei disturbi ansiosi e

depressivi. I risultati sono stati spesso deludenti. Recen- temente è stata proposta l’associazione di diverse stra- tegie terapeutiche in ordine sequenziale (psicoterapia dopo farmacoterapia, farmacoterapia dopo il comple- tamento della psicoterapia, uso successivo di due tecni- che psicoterapiche).

L’applicazione della psicoterapia cognitivo-comporta- mentale per il trattamento della sintomatologia residua che persiste dopo trattamento farmacologico si è rivela- ta efficace nel ridurre le ricadute del disturbo depressivo maggiore in svariati studi controllati randomizzati. Il trattamento sequenziale non rientra tra le strategie di mantenimento: è un approccio intensivo, articolato in 2 fasi, basato sulla crescente consapevolezza che un singolo trattamento non risulta adeguato nella maggior

parte dei pazienti con disturbi ansiosi e depressivi. Una nuova applicazione del modello consiste nel contrasta- re la perdita di efficacia che si verifica nel corso del trat- tamento farmacologico prolungato.

L’approccio sequenziale richiede una sostanziale mo- difica nelle modalità di valutazione, basate su una di- versa organizzazione della comorbilità, una maggiore attenzione alla sintomatologia subclinica e l’uso della stadiazione per la definizione longitudinale del decorso del disturbo depressivo.

bibliografia

Fava GA, Ruini C, Rafanelli C. Sequential treatment of mood

and anxiety disorders. J Clin Psychiatry 2005;66:1392-400.

VeNerdì 13 FebbraIO 2009 – Ore 15.30-17.30

Sala MaSaCCio

S50. depressione materna e rischio psicopatologico

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