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CooRdinatoRe F. Gabrielli

la compliance dei pazienti con disturbi di personalità al trattamento psicofarmacologico

M. Balestrieri

Università di Udine, AOU di Udine

La compliance al trattamento con psicofarmaci rap- presenta un argomento centrale nella determinazione della risposta alle terapie. Spesso infatti si corre il ri- schio di attribuire ai farmaci defaillance collegabili ad una mancata incisività farmacodinamica. Un’attenta anamnesi della modalità e frequenza di assunzione del farmaco può rivelare in realtà che l’assunzione della pillola non è stata regolare o è stata interrotta antici- patamente. Questo avviene soprattutto quando la ge- stione del paziente avviene con appuntamenti la cui frequenza è dilatata nel tempo o quando non sono stati tenuti in debita considerazione quegli aspetti del pen- siero del paziente che attualmente vengono rubricati sotto la voce “agenda del paziente”, vale a dire le sue idee, aspettative, desideri, rimandi del contesto in cui vive. Due fenomeni importanti di non compliance so-

no poi la farmacofilia e la farmacofobia. Essi riflettono un rapporto con un farmaco investito di significati sim- bolici, attraverso i quali si esprimono timori, speranze e attese profonde. Entrambi i fenomeni contribuiscono ad un uso non corretto del farmaco e, in sostanza, al- la sua inefficacia. Un elemento di particolare rilievo nel complesso gioco di interazioni tra convinzioni del terapeuta e convinzioni del paziente è dato infine dai tratti di carattere. In particolare, alcuni assetti di per- sonalità pongono particolari difficoltà di gestione. Tra questi, vi sono la sospettosità verso il medico e verso la terapia, le aspettative irrealistiche caratterizzate da logiche del tipo “tutto o nulla”, un’ansia di tratto che porta a preoccupazioni eccessive rispetto alla terapia, le oscillazioni ciclotimiche che modificano nel tempo le indicazioni di assunzione. La domanda che si pone è se ed in che misura la presenza di disturbi di persona- lità possa modificare l’efficacia dell’intervento farma- cologico. Ma la domanda più significativa riguarda le strategie da adottare con quei pazienti che, presentan- do tratti di personalità, non aderiscono ai trattamenti prescritti.

disturbi di personalità e outcome nel trattamento della depressione

C. Gala, I. Iandoli, L. Pasquale, A. Peirone, C. Redaelli

UO di Psichiatria 1, AO “San Paolo” di Milano

Sono stati effettuati diversi studi sulla frequenza dei di- sturbi di asse II e sulle conseguenze della comorbidità relativamente alla manifestazione, al decorso e all’esito dei disturbi depressivi. La ricerca sulla relazione tra de- pressione e disturbi di personalità è ostacolata da nu- merosi fattori metodologici, tra cui la validità della dia- gnosi di disturbo di personalità, l’interferenza del tono dell’umore sulla diagnosi e la sovrapposizione tra alcuni sintomi del disturbo di personalità e i sintomi dell’umo- re, di conseguenza i dati finora ottenuti non sono del tutto concordi. Tuttavia, sembra prevalere l’opinione che i pazienti depressi con disturbo di personalità mo- strano una risposta al trattamento più scarsa o più lenta e hanno una prognosi a lungo termine meno favorevole. Alcuni studi indicano che i disturbi di personalità sono significativamente più comuni nei pazienti depressi non melanconici rispetto ai melanconici o ai depressi bipo- lari. È stato osservato che la presenza di un disturbo di personalità non influenza la manifestazione di sintomi, ma si correla ad un’insorgenza più precoce della pato- logia depressiva e ad un esito peggiore all’interno del gruppo di pazienti non melanconici. Anche la risposta al trattamento è risultata essere sostanzialmente più sod- disfacente nei pazienti non melanconici senza disturbo di personalità, rispetto a quelli con disturbo di persona- lità (91% vs. 49%). Relativamente al decorso della de- pressione è stato anche evidenziato che i disturbi di per- sonalità del Cluster C, con caratteristiche di tipo ansioso ed evitante, sono predittivi di cronicità, mentre quelli del Cluster B, con aspetti istrionici ed impulsivi, influen- zano la gravità e la durata del disturbo depressivo. Studi sull’esito di trattamento indicano che nei pazienti depressi in cui il disturbo di personalità comorbile non viene trattato la risposta al trattamento antidepressivo sarà meno efficace rispetto ai pazienti senza disturbo di personalità. I risultati delle ricerche finora effettuate enfatizzano l’importanza di uno studio simultaneo sul trattamento della depressione e su quello del disturbo di personalità comorbile, poiché ci sono dati a favore dell’efficacia sia di trattamenti psicologici che farmaco- logici specificatamente indirizzati alla personalità pato- logica.

Personalità anoressica e anoressia nervosa

M. Bellomo, S. Gotelli

DINOG, Sezione Psichiatria, Università di Genova Nell’ambito di un gruppo di pazienti con diagnosi di anoressia nervosa è stato isolato un sottogruppo che ha presentato peculiari aspetti di personalità. I risultati di

questo lavoro hanno indicato la necessità di applicare protocolli di trattamento differenziati.

Lo studio ha previsto la valutazione psichiatrica, nutri- zionale, un’intervista semistrutturata e la somministra- zione dell’MMPI-2. Il campione è rappresentato da 90 pazienti seguiti in trattamento ambulatoriale (87 fem- mine, 3 maschi), così distribuiti dal punto di vista dia- gnostico: 63 pazienti con anoressia nervosa; 19 pazienti presentano comorbilità con disturbo borderline di per- sonalità; 8 altre comorbilità.

Le pazienti con diagnosi di AN tout court (gruppo 1) presentano all’MMPI-2, caratteristiche di personali- tà, suggestive per descrivere un profilo di Personalità Anoressica: tendenza all’elaborazione depressiva del- l’esperienza, bassa autostima, alterazioni dell’immagi- ne corporea, scissione somato-psichica, scarsa capaci- tà di modulare gli impulsi aggressivi. Il perfezionismo, l’ossessività, la cura maniacale del corpo, il controllo sull’appetito e iperattività fanno parte delle anoressiche che appartengono a questo gruppo.

Le pazienti del gruppo AN associata a disturbo border- line di personalità (gruppo 2), rispetto al gruppo di con- fronto, mostrano una maggiore gravità sul piano clinico, con comportamenti autodistruttivi, spesso associati a le- sioni corporee. Lo stesso sottogruppo in precedenti stu- di, aveva presentato: scarsa motivazione al trattamento, tendenza al drop out precoce, frequente associazione con disturbi da abuso di sostanze, fobie multiple. Le pazienti mostrano un comportamento di risposta alla terapia che si differenzia soprattutto in termini di aderen- za. Le anoressiche del gruppo 2, manipolano la riabili- tazione nutrizionale, tendono all’acting out, presentano più frequentemente comportamenti di eliminazione e nella maggioranza dei casi, esiste una patologia familia- re. Queste forme di anoressia, con il tempo si esaurisco- no e lasciano l’assetto del disturbo alimentare per pre- sentare caratteristiche sintomatologiche polimorfe. Le anoressiche del gruppo 1, aderiscono favorevolmente all’approccio multidisciplinare integrato e rispondono al lavoro psicoterapeutico di motivazione al trattamen- to, finalizzato all’integrazione somatopsichica.

Il contratto terapeutico nella psicoterapia psicodinamica dei pazienti borderline

F. Gabrielli, G.L. Gavotti*, P. Solano

Dipartimento di Neuroscienze, Oftalmologia e Genetica, Università di Genova, Sezione di Psichiatria, AOU “San Martino”, UO Clinica Psichiatrica; * Scuola

di Specializzazione in Psicologia Clinica, Università di Genova

Kernberg e il suo gruppo (Yeomans et al., 1993; Clarkin et al., 1999) considerano il contratto terapeutico un im- portante fattore per coinvolgere i pazienti con DBP nella psicoterapia esplorativa, ridurne l’elevato drop out ed evitare il rischio di evoluzioni improduttive. Il processo che porta alla formulazione del contratto consiste nello

stabilire un accordo preliminare tra paziente e terapeuta circa le condizioni minime per il trattamento: ruoli e limiti di responsabilità dei due attori, chiara definizione del setting, esplorazione fin dall’inizio in forma attiva delle dinamiche centrali che costituiscono la patologia del carattere del paziente. Vengono anticipate le mi- nacce prevedibili al trattamento e viene definito come esse verranno gestite. Le risposte del paziente, durante il processo di formulazione del contratto, forniscono un panorama caleidoscopico delle sue dinamiche interne. Uno degli scopi principali del contratto è quello di di- stinguere la psicoterapia esplorativa basata sull’interpre- tazione del transfert dalla gestione del comportamento: il coinvolgimento del terapeuta nella vita del paziente fuori delle sedute, ed eccetto per le vere emergenze, può minare infatti il trattamento e portarlo al fallimento. Gunderson (2001) per contro, preferisce un contrat-

to meno dettagliato obiettando che molti pazienti con DBP non saranno capaci di discuterlo in un modo signi- ficativo o di rispettarlo. Egli ritiene invece che il primo compito sia quello di assegnare al paziente un clinico di riferimento (non necessariamente colui che sarà in se- guito anche lo psicoterapeuta) che lo aiuti a sviluppare un’alleanza terapeutica e ad evitare gesti autolesivi fino a che, eventualmente, sia pronto per la psicoterapia. Il terapeuta, a terapia avviata, concentra i suoi interventi col paziente per discutere il significato dei comporta- menti negativi dopo che essi si sono manifestati. Viene presentata una possibile integrazione tra i diffe- renti punti di vista di Kernberg e di Gunderson.

Vengono riportati alcuni casi clinici per evidenziare gli ostacoli e i rischi emergenti da un contratto terapeutico carente o mancante e discusse le possibili cause che in- terferiscono con la sua formulazione.

VeNerdì 13 FebbraIO 2009 – Ore 11.10-13.10

Sala BeRnini

S46. eventi traumatici e disturbi psichiatrici:

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